Il libro sarà illustrato dal prof. Flavio Fabbroni dell'Istituto friulano per la Storia del Movimento di Liberazione; sarà presente l'Autore, fratello del comandante partigiano "Barba Mario".
Uno spazio per documentarsi e confrontarsi sulle vicende della seconda guerra mondiale in Friuli, in particolare nella zona del Gemonese
Album di guerra
mercoledì 28 dicembre 2011
Un nuovo libro sulla Resistenza in Carnia: le "Memorie" di Dante Candotti
Nuova occasione per "rileggere" le vicende della Resistenza in Carnia con la presentazione del Libro “Memorie” di Dante Candotti, che si terrà il giorno di giovedì 29 dicembre 2011 alle ore 11.00 presso il palazzo del Museo di Ampezzo, Sala Unfer.
Il libro sarà illustrato dal prof. Flavio Fabbroni dell'Istituto friulano per la Storia del Movimento di Liberazione; sarà presente l'Autore, fratello del comandante partigiano "Barba Mario".
Il libro sarà illustrato dal prof. Flavio Fabbroni dell'Istituto friulano per la Storia del Movimento di Liberazione; sarà presente l'Autore, fratello del comandante partigiano "Barba Mario".
venerdì 23 dicembre 2011
Natale 1944, un augurio dalle baite di Porzus
A chi segue il Blog, una occasione per riflettere, durante il periodo natalizio, con un documento singolare, assai poco conosciuto: il messaggio lanciato ai partigiani dal comando osovano sulle baite di Porzus. Era un natale di guerra, pieno di incognite e di incertezze sull'avvenire. Poco più di un mese dopo, i fatti avrebbero avuto, per quella postazione partigiana, una tragica evoluzione. Il testo, dunque, si presta a una doppia chiave di lettura.
Ordine del giorno n. 6 23 dicembre 1944
Ricorrenza natalizia.
In occasione della Festa del Santo Natale e di Capodanno, questo Comando invia a tutti i raparti dipendenti il più affettuoso augurio, che vuole essere esteso anche alle famiglie di tutti i patrioti. E’ un altro Natale di guerra che ci trova ancora lontani dalle persone care, dal focolare domestico; che ci trova lontano dagli agi della vita civile. E’ ancora un grande sacrificio che la Patria chiede a noi e alle nostre famiglie. Proprio in questi giorni di festa, più acuta si fa la nostalgia della casa e della famiglia; e più si sente il peso di questa nostra dura vita. Ma è necessario pensare che questo sacrificio servirà a risparmiare di più grandi ai nostri figli, alle persone care che abbiamo lontane, per le quali noi combattiamo, serve a donare finalmente la libertà e la pace all’Italia e a tutti gli Italiani degni di questo nome. E’ l’augurio che più spontaneo esce dal nostro cuore in questi giorni, e che presto venga la vittoria e, con questa, la libertà e la Pace.
Nelle nostre malghe, intorno ai focolari, anche se fuori ulula il vento, stretti in una sola volontà e in una sola Fede, dobbiamo anche noi sentirci uniti alle nostre famiglie che festeggiano raccolte nella intimità il Santo Natale. Quello che manca di benessere materiale, sia sostituito in noi dalla nostra coscienza che stiamo compiendo e che compiremo fino in fondo il nostro dovere, per l’avvenire della Patria e delle nostre famiglie per la fine d’una triste epoca di violenza e di ingiustizia.
Il Delegato Politico Il Comandante
Paolo Bolla
Corpo Volontari della Libertà
Comando Gruppo Brigate Osoppo dell’Est
Ordine del giorno n. 6 23 dicembre 1944
Ricorrenza natalizia.
In occasione della Festa del Santo Natale e di Capodanno, questo Comando invia a tutti i raparti dipendenti il più affettuoso augurio, che vuole essere esteso anche alle famiglie di tutti i patrioti. E’ un altro Natale di guerra che ci trova ancora lontani dalle persone care, dal focolare domestico; che ci trova lontano dagli agi della vita civile. E’ ancora un grande sacrificio che la Patria chiede a noi e alle nostre famiglie. Proprio in questi giorni di festa, più acuta si fa la nostalgia della casa e della famiglia; e più si sente il peso di questa nostra dura vita. Ma è necessario pensare che questo sacrificio servirà a risparmiare di più grandi ai nostri figli, alle persone care che abbiamo lontane, per le quali noi combattiamo, serve a donare finalmente la libertà e la pace all’Italia e a tutti gli Italiani degni di questo nome. E’ l’augurio che più spontaneo esce dal nostro cuore in questi giorni, e che presto venga la vittoria e, con questa, la libertà e la Pace.
Nelle nostre malghe, intorno ai focolari, anche se fuori ulula il vento, stretti in una sola volontà e in una sola Fede, dobbiamo anche noi sentirci uniti alle nostre famiglie che festeggiano raccolte nella intimità il Santo Natale. Quello che manca di benessere materiale, sia sostituito in noi dalla nostra coscienza che stiamo compiendo e che compiremo fino in fondo il nostro dovere, per l’avvenire della Patria e delle nostre famiglie per la fine d’una triste epoca di violenza e di ingiustizia.
Il Delegato Politico Il Comandante
Paolo Bolla
venerdì 16 dicembre 2011
Il "caso Seravalli", tra Buja e la Val del Lago del 1945
Leonardo Serravalli fucilato a Buja il 1º maggio 1945
Messaggero Veneto, 15 dicembre 2011
Un’inedita pagina della storia di Buja all’indomani dell’8 settembre 1943 è raccontata da Celso Gallina, appassionato di storia locale nel libro (Aviani & Aviani) “Con un manifesto avverti che mi hanno ucciso innocente”. Tema, l’uccisione del fascista Leonardo Seravalli, fucilato dai partigiani il primo maggio ’45 nei pressi del cimitero di Buja. «La storia di quest’uomo e la sua veemente dichiarazione di innocenza sono giunte fino a noi attraverso un percorso curioso e apparentemente casuale – racconta l’autore –: l’accorata lettera-testamento che Seravalli ha consegnato a don Pacifico Durisotti prima di morire». Una missiva che in oltre mezzo secolo è passata di mano in mano fino a raggiungere l’autore, il quale ha deciso di ricostruire il caso Seravalli «per riconsegnarlo alla memoria collettiva». Originario di Gemona, padre di famiglia impiegato dalla locale banca popolare quale esattore delle tasse, nonché segretario del fascio di Trasaghis, Seravalli fu condannato a morte e assassinato da alcuni partigiani della Brigata Rosselli nei pressi del cimitero di San Bartolomeo. (m.d.c.)
Il cippo collocato un tempo sul luogo della fucilazione |
lunedì 5 dicembre 2011
Venerdì Folco Quilici a Verzegnis presenta il suo libro sui cosacchi
Venerdì 9 dicembre alle 20.45, nella sala consiliare del municipio di Verzegnis, Gianpaolo Carbonetto presenterà il romanzo di Folco Quilici, La dogana del vento, la storia di Guido e di Pjotr, un soldato cosacco delle milizie occupanti giunte in Italia a seguito dei tedeschi nel 1944-’45. Interverrà l’autore.
Condurrà la serata Monica Tallone, intermezzi musicali di Mariko Masuda con Paolo Gonnelli. Letture a cura di Renza Marzona e Luciano Marsili.
Nell'occasione sarà possibile visitare la Mostra fotografica: “Cosacchi: popolo di intrepidi cavalieri e generosi cavalli” per concessione del curatore Cristiana Pasianotto.
(notizia riferita dal sito carnia.la)
lunedì 21 novembre 2011
1° maggio 1945: quell'esecuzione davanti al cimitero di Buja
Le ricerche di Celso Gallina ed Egidio Tessaro consentono di fare luce su un episodio dai contorni sinora oscuri, l'uccisione - nelle turbinose giornate della fine della guerra - del bujese Leonardo Seravalli, che aveva rivestito anche la carica di Segretario del fascio di Trasaghis. Catturato dai partigiani, venne fucilato il 1° maggio 1945 nei pressi del cimitero di Buja.
La tragica vicenda di Leonardo Seravalli, un bujese che come tanti aveva aderito al fascismo, rivive infatti nel libro “Con un manifesto avverti che mi hanno ucciso innocente”, nel quale l’autore, Celso Gallina, dialoga con Egidio Tessaro. Il volume, edito da Aviani&Aviani, sarà presentato venerdì 25, alle 20.30, alla Casa della gioventù di Santo Stefano di Buja da Gianni Cappelletti.
La tragica vicenda di Leonardo Seravalli, un bujese che come tanti aveva aderito al fascismo, rivive infatti nel libro “Con un manifesto avverti che mi hanno ucciso innocente”, nel quale l’autore, Celso Gallina, dialoga con Egidio Tessaro. Il volume, edito da Aviani&Aviani, sarà presentato venerdì 25, alle 20.30, alla Casa della gioventù di Santo Stefano di Buja da Gianni Cappelletti.
lunedì 14 novembre 2011
Buja: voci di un arsenale tedesco lasciato a Villa Barnaba
Storia e "leggende" paesane spesso si intrecciano. Il dato di cronaca del passaggio di villa Barnaba al Comune di Buja ha ridato linfa alla ricostruzione della figura del Podestà di Udine negli anni della guerra, Pier Arrigo Barnaba, e anche al rinascere di "leggende metropolitane" su fantomatici arsenali abbandonati (è già tanto che non si parli di tesori!). Se può essere valida una indicazione statistica, nei giorni convulsi di fine guerra, dappertutto tutti gli edifici, tutte le strutture in precedenza adoperate dai nazisti sono state "visitate" dalle forze partigiane e dalla popolazione civile, con conseguente requisizione e asporto di tutto quanto ritenuto utile alla bisogna. Difficilmente villa Barnaba avrà avuto un destino diverso....
Villa Barnaba, il mistero dell’arsenale dei nazisti
Messaggero Veneto, 13 novembre 2011
La notizia della maxi eredità lasciata da Enrico Marchetti (nella foto) in parte al Comune di Buja, in parte a una signora friulana che gli ha prestato assistenza negli ultimi anni, è arrivata ieri fino all’orecchio dei parenti romani dell’ingegnere. «Non lontani, ma a lui vicini sia per grado di parentela che per frequentazione», precisa la cugina Patrizia Marchetti, che ricorda anche: «La malattia della moglie nel giugno del 2005 ha determinato contatti meno frequenti a causa del trasferimento dell’uno e dell’altra a Buja, ma ciò non ha impedito ai parenti di seguire tutto quel che è accaduto». «La conoscenza di una vita dell’ingegnere – conclude - ci obbliga a precisare quanto ci sorprenda apprendere il contenuto delle ultime volontà». (m.d.c.) BUJA I colpi di scena legati all’eredità milionaria di Per Arrigo Barnaba non sono finiti. Dopo le inaspettate volontà testamentarie di Enrico Marchetti, il genero di Barnaba che, deceduto lo scorso 2 novembre, ha nominato erede universale la signora friulana che gli ha prestato assistenza negli ultimi anni della sua vita, è il lascito destinato al Comune a far parlare di sé. Si dice infatti che all’interno della grande proprietà della famiglia Barnaba, sede durante gli anni dell’occupazione tedesca di un comando della Wehrmacht, sia sepolto un vero e proprio arsenale. Un considerevole quantitativo di materiale bellico, che i nazisti avrebbero nascosto prima d’esser costretti alla fuga nell’aprile del ‘45. Verità storica o leggenda? Difficile dirlo, anche se il sindaco Stefano Bergagna, che per anni ha studiato la complessa figura di Barnaba, podestà di Udine dal ’37 al ‘44, propende per la prima ipotesi e si propone di vederci chiaro. «Sappiamo per certo che esistono cartografie e documentazioni oggi in mano al figlio dell’ufficiale tedesco che comandava la Wehrmacht a Buja ed è nostra intenzione andare a fondo e verificare se questo deposito bellico esista davvero». Bergagna racconta che in paese se ne favoleggia da tempo. «Si dice che le armi siano state seppellite sul retro della villa, sotto il pozzo, a oltre due metri di profondità dove i metal detector non sono in grado di arrivare». La storia dell’arsenale sepolto nel giardino di villa Barnaba era venuta alla luce anche un paio di anni or sono quando un esperto d’armi di Tarcento, dopo aver rintracciato in Germania l’ufficiale che comandava i nazisti a Buja, si era rivolto a Marchetti per renderlo edotto del problema. «L’ingegnere si era infuriato e aveva informato le forze dell’ordine che avevano poi effettuato qualche controllo ma senza trovare nulla», ricorda ancora il sindaco Bergagna. Dunque è solo una diceria… o forse no. «Se fosse infatti vero che il materiale bellico è stato seppellito a diversi metri di profondità – azzarda il primo cittadino - solo una minuziosa e accurata ricerca potrebbe riuscire a trovarlo, anche a fronte delle dimensioni del parco». Esteso, ricordiamolo, su circa 3 ettari di terreno. Al setaccio non potrà certo pensare il Comune, anche se l’amministrazione un tentativo vuol comunque farlo «per amore della verità storica», dice ancora il primo cittadino che nel corso delle prossime settimane intende recuperare (sempre che esistano davvero) le cartografie e i documenti inerenti la villa durante l’occupazione nazista, quando i prigionieri venivano rinchiusi e interrogati nelle cantine della prestigiosa dimora bujese. I tedeschi vi s’insediano subito dopo il 12 settembre ‘43. Nelle vicine scuole viene ospitato il reparto motorizzato, mentre la villa è il quartier generale dei tedeschi, con tanto di prigione nelle cantine da dove passano sia i partigiani che le persone da interrogare. Così fino all’aprile ’45 quando i tedeschi si danno alla fuga. «E’ in quel momento – afferma Bergagna – che si dice abbiano nascosto le armi, chissà, forse pensando di averne bisogno in un secondo momento o forse solo per evitare che se ne impossessassero i partigiani». Se ne potrà sapere di più una volta effettuate le ricerche promesse dal primo cittadino, che assicura: «Nel caso dovesse venir fuori, in futuro, che il deposito esiste provvederemo subito ad informare i Carabinieri e il Prefetto di Udine».
Maura Delle Case
sabato 12 novembre 2011
Pier Arrigo Barnaba, il Podestà Fascista che non amava i tedeschi
Si è riparlato in questi giorni della figura del bujese Pier Arrigo Barnaba, medaglia d'oro nella prima guerra mondiale e podestà di Udine durante la seconda guerra mondiale. Si tratta di una personalità complessa, dalle molte sfaccettature.
Ecco il profilo che ne ha tracciato il "Messaggero Veneto" del 12 novembre:
In rete ci sono diverse pagine web dedicate a P.A. Barnaba; tra le tante, proponiamo un profilo redatto sulla base della documentazione amministrativa:
Arrigo fu il primo paracadutista alpino della storia nazionale (il terzo paracadutista in assoluto, dopo i tenenti Tandura e Nicoloso, che però non erano alpini). Il nome di Barnaba è molto celebrato nell'ambito dei paracadutisti alpini essendo lui il loro precursore. Per l'occasione esporremo il paracadute originale del Barnaba che si trova nel museo della Julia (Donato al museo dalla figlia Simonetta Barnaba) e una serie di fotografie di Pier Arrigo. Pier arrigo nel '44 si dimette da Podestà di Udine. Gli risultava troppo difficile, quasi intollerabile, collaborare con i tedeschi. Suo padre e i suoi zii avevano scacciato i teutonici dall'Italia, avevano combattuto con Garibaldi. Lui stesso durante la prima guerra mondiale aveva combattuto contro gli austro-tedeschi dove ricevette diverse medaglie, tra cui quella d'oro per il lancio con il paracadute dietro le linee nemiche. Come sapete nel febbraio '44 i tedeschi arrestarono il fratello Adolfo che poi fu deportato in Germania dove morì. Ermanno Barnaba, figlio di un altro fratello (Nino) fu ucciso ad atene il 6 dicembre 1943 dai tedeschi. Era logico che Pier Arigo non potesse essere amico del tedesco occupatore dell'Italia. Pier arrigo è stato un gerarca fascista tra i più importanti del Friuli. Nel '25 fu segretario amministrativo del partito fascista assieme a Farinacci a Roma ed anche deputato, eletto nelle liste del Blocco Nazionale. Nel '38 sempre da Podestà ricevette Mussolini ad Udine con una cerimonia e una partecipazione di folla immensa. Tuttavia dopo l' 8 settembre 1943 anche per lui cambiò il mondo. Come dicevo, nel maggio del 1944 si dimette da Podestà e in luglio i tedeschi lo arrestano perchè sospettato di collaborare con i partigiani( forse lo arrestano a Belluno e poi lo portano nelle carceri di Udine). Da quel momento tutto diventa poco chiaro, non ci sono molti documenti per ricostruire la vicenda. Sembra che verrà liberato grazie all'intervento di camerati, come il federale fascista Cabai e dopo, in qualche modo, riesce ad eclissarsi fino alla fine della guerra. Pier Arrigo dopo la guerra si candiderà alla camera dei deputati con il partito monarchico. In effetti lui era un nazionalista, aveva giurato fedeltà al Re non al Duce. Sarà il candidato monarchico più votato nel collegio di Udine, a testimonianza che la gente gli voleva ancora bene, ma il Partito monarchico non ebbe nessun seggio nel collegio di Udine. Ho consultato gli atti del Comune di Udine quando Pier Arrigo fù Podestà. Egli si adoperò moltissimo per risolvere i problemi dei cittadini in quei difficilissimi anni di guerra. Il giudizio che possiamo avere di lui, anche nel periodo fascista è comunque positivo. Non si macchiò di nessun crimine e questo gli fu riconosciuto pubblicamente anche dal Sindaco di Udine, Cadetto (democristiano) nell' orazione funebre del 1967 quando Pier Arrigo morì.
Stefano Bergagna
(http://xoomer.virgilio.it/bacar/ARRIGO.htm)
Per la Valle del Lago, alcune testimonianze riferiscono che P.A.Barnaba sia intervenuto, nell'autunno del 1944, per mitigare la durezza dell'intervento tedesco che aveva imposto lo sfollamento alle popolazioni del Comune di Trasaghis per far posto ai cosacchi: sarebbe un episodio che, se accertato, avrebbe una sua significatività.
Ecco il profilo che ne ha tracciato il "Messaggero Veneto" del 12 novembre:
Nato ad Avilla nel 1891, l’illustre bujese è ricordato per la missione che nel ’17, all’indomani della disfatta di Caporetto, lo vide paracadutarsi, primo alpino nella storia, oltre le linee nemiche. Dopo quell’episodio, che gli è valso la medaglia d’oro al valor militare, la carriera di Barnaba è stata in continua ascesa, accelerata dall’amicizia con Italo Balbo che nel ’23 Balbo lo nomina luogotenente generale della Milizia. Grazie ai legami che sa crearsi in questo periodo, Barnaba viene eletto onorevole tra le file del “Blocco Nazionale” di Benito Mussolini, poi nominato, giugno del 1925, segretario amministrativo del Partito nazionale fascista, nomina che porta il bujese a partecipare a importanti avvenimenti celebrativi del Pnf in giro per l’Italia. Le cariche per lui non finiscono qui. Subito dopo viene nominato nel consiglio direttorio nazionale del partito, quindi nel Gran consiglio del fascismo. È vicino a Mussolini, tanto che il 20 ottobre 1927 così scrive al Duce, annunciando la nascita della figlia: «La mia Simonetta ha visto la luce: sarà una futura buona madre di soldati. Ne sono certo!».
Dopo aver partecipato alla guerra in Etiopia viene nominato Podestà di Udine, nel ’37, carica che manterrà fino al ’44. Arrestato dai tedeschi con l’accusa d’aver aiutato i partigiani mentre era Podestà, viene poi liberato dietro pagamento di una cauzione e mai processato per il suo passato fascista.
La sua ultima comparsa sulla scena politica risale al ’65, quando è eletto consigliere comunale a Udine, tra le file dell’Msi. Muore due anni dopo, nel ’67. Almirante lo commemora ufficialmente in Parlamento, mentre ai funerali la bara viene avvolta nel tricolore, scortata dai carabinieri in alta uniforme a salutare un protagonista della storia d’Italia, fatto di luci ma anche di ombre.(m.d.c.)
In rete ci sono diverse pagine web dedicate a P.A. Barnaba; tra le tante, proponiamo un profilo redatto sulla base della documentazione amministrativa:
Arrigo fu il primo paracadutista alpino della storia nazionale (il terzo paracadutista in assoluto, dopo i tenenti Tandura e Nicoloso, che però non erano alpini). Il nome di Barnaba è molto celebrato nell'ambito dei paracadutisti alpini essendo lui il loro precursore. Per l'occasione esporremo il paracadute originale del Barnaba che si trova nel museo della Julia (Donato al museo dalla figlia Simonetta Barnaba) e una serie di fotografie di Pier Arrigo. Pier arrigo nel '44 si dimette da Podestà di Udine. Gli risultava troppo difficile, quasi intollerabile, collaborare con i tedeschi. Suo padre e i suoi zii avevano scacciato i teutonici dall'Italia, avevano combattuto con Garibaldi. Lui stesso durante la prima guerra mondiale aveva combattuto contro gli austro-tedeschi dove ricevette diverse medaglie, tra cui quella d'oro per il lancio con il paracadute dietro le linee nemiche. Come sapete nel febbraio '44 i tedeschi arrestarono il fratello Adolfo che poi fu deportato in Germania dove morì. Ermanno Barnaba, figlio di un altro fratello (Nino) fu ucciso ad atene il 6 dicembre 1943 dai tedeschi. Era logico che Pier Arigo non potesse essere amico del tedesco occupatore dell'Italia. Pier arrigo è stato un gerarca fascista tra i più importanti del Friuli. Nel '25 fu segretario amministrativo del partito fascista assieme a Farinacci a Roma ed anche deputato, eletto nelle liste del Blocco Nazionale. Nel '38 sempre da Podestà ricevette Mussolini ad Udine con una cerimonia e una partecipazione di folla immensa. Tuttavia dopo l' 8 settembre 1943 anche per lui cambiò il mondo. Come dicevo, nel maggio del 1944 si dimette da Podestà e in luglio i tedeschi lo arrestano perchè sospettato di collaborare con i partigiani( forse lo arrestano a Belluno e poi lo portano nelle carceri di Udine). Da quel momento tutto diventa poco chiaro, non ci sono molti documenti per ricostruire la vicenda. Sembra che verrà liberato grazie all'intervento di camerati, come il federale fascista Cabai e dopo, in qualche modo, riesce ad eclissarsi fino alla fine della guerra. Pier Arrigo dopo la guerra si candiderà alla camera dei deputati con il partito monarchico. In effetti lui era un nazionalista, aveva giurato fedeltà al Re non al Duce. Sarà il candidato monarchico più votato nel collegio di Udine, a testimonianza che la gente gli voleva ancora bene, ma il Partito monarchico non ebbe nessun seggio nel collegio di Udine. Ho consultato gli atti del Comune di Udine quando Pier Arrigo fù Podestà. Egli si adoperò moltissimo per risolvere i problemi dei cittadini in quei difficilissimi anni di guerra. Il giudizio che possiamo avere di lui, anche nel periodo fascista è comunque positivo. Non si macchiò di nessun crimine e questo gli fu riconosciuto pubblicamente anche dal Sindaco di Udine, Cadetto (democristiano) nell' orazione funebre del 1967 quando Pier Arrigo morì.
Stefano Bergagna
(http://xoomer.virgilio.it/bacar/ARRIGO.htm)
Per la Valle del Lago, alcune testimonianze riferiscono che P.A.Barnaba sia intervenuto, nell'autunno del 1944, per mitigare la durezza dell'intervento tedesco che aveva imposto lo sfollamento alle popolazioni del Comune di Trasaghis per far posto ai cosacchi: sarebbe un episodio che, se accertato, avrebbe una sua significatività.
sabato 5 novembre 2011
Quelle stragi di civili nel 1943-45. Un intervento di Franco Giustolisi
Franco Giustolisi, l'autore de "L'Armadio della vergogna", recentemente uscito in una nuova edizione, interviene sul "Corriere della Sera" proponendo nuovamente una riflessione sui "perchè" di quei silenzi che impedirono le indagini sui crimini. Sono tematiche che riguardano anche il Friuli e di cui si è discusso, a suo tempo, anche a Trasaghis nel corso della presentazione del libro alla presenza dell'autore.
Le stragi naziste di civili dal ' 43 al ' 45
Caro direttore, ti pongo gli estremi di un grande mistero. E chiedo a te, nonché a tutti i cittadini italiani, ogni aiuto possibile per risolverlo. Domenica 9, sul tuo stesso giornale, Paolo Fallai ne ha tratteggiato mirabilmente la sintesi: centinaia di stragi (615 solo nell' armadio della vergogna, ma ne sono scaturite moltissime altre neanche finite in quell' armadio), e decine di migliaia di vittime, io calcolo intorno alle 30.000, tra civili inermi, non partigiani, per lo più bambini, vecchi, donne, e nostri militari trucidati dopo che avevano alzato bandiera bianca. Questo enorme fiume di sangue italiano fu versato da mani nazifasciste tra il settembre del ' 43 e l' aprile del ' 45. Ma non basta, dato che l' Italia libera con un suo governo, il primo o il secondo a guida Alcide De Gasperi, decise di occultare il tutto per ragioni di Stato, che non spiego per motivi di spazio. Facendo così annullò le iniziative del precedente governo di centro sinistra presieduto da Ferruccio Parri che invece voleva perseguire i responsabili di quelle super feroci e immani stragi. Quindi giustizia, storia e memoria, civiltà e responsabilità varie finirono in un vecchio mobile situato in un vano semi nascosto della Procura generale militare di Roma. E lì fu «discoperto», ma ormai si trattava di una patata bollente di cui tutti cercavano di disfarsi, nella tarda primavera del 1994. Salto una serie di passaggi, per dire che ancora non era finita perché i processi aperti, dopo difficilissime e logoranti ricerche, sono stati di fatto annullati. Basti pensare che a fine 2010 i condannati all' ergastolo per quelle stragi erano 21, dicasi 21. Poi qualcuno ha tirato le cuoia, perché neanche i nazisti sono immortali, ma i sopravvissuti stanno tranquilli nelle loro residenze tedesche dato che nonostante gli appelli pubblici dei procuratori generali militari non più al soldo del potere governativo come negli anni ' 40, ai ministri della Difesa, della Giustizia e degli Esteri, in occasione delle aperture degli anni giudiziari militari, non c' è stata risposta. E non c' è stata risposta della politica di centro, di destra o di sinistra. Idem per la quasi totalità della stampa. E soprattutto tace, anzi si nasconde, chi avrebbe la responsabilità primaria di intervenire, cioè l' Anpi nazionale (anche se il neopresidente Carlo Smuraglia sembra aver ripreso l' iniziativa) dato che i civili massacrati rappresentavano le retrovie senza le quali i combattenti per la libertà non avrebbero potuto sopravvivere, e le rappresentanze dei militari. Il muro del silenzio non accenna a sbrecciarsi. Eppure, come ho scritto sul Manifesto in contemporanea con l' articolo di Fallai, si è ricordato con grande evidenza il decennale dell' attentato delle torri gemelle. E giustamente; ma perché si tace sulla più grande tragedia italiana che ha fatto per lo meno 10 volte tanto le vittime di New York ed è tra le più singolari al mondo per le sue specificità? Io, per quanto mi sia ingegnato, adoperato e indignato, non so trovare risposte. Ed ecco perché questo mio tentativo, che non sarà certamente l' ultimo, di porre il problema in modo corale attraverso il tuo giornale.
Franco Giustolisi
(da: Corriere della Sera, 30 ottobre 2011)
Le stragi naziste di civili dal ' 43 al ' 45
Caro direttore, ti pongo gli estremi di un grande mistero. E chiedo a te, nonché a tutti i cittadini italiani, ogni aiuto possibile per risolverlo. Domenica 9, sul tuo stesso giornale, Paolo Fallai ne ha tratteggiato mirabilmente la sintesi: centinaia di stragi (615 solo nell' armadio della vergogna, ma ne sono scaturite moltissime altre neanche finite in quell' armadio), e decine di migliaia di vittime, io calcolo intorno alle 30.000, tra civili inermi, non partigiani, per lo più bambini, vecchi, donne, e nostri militari trucidati dopo che avevano alzato bandiera bianca. Questo enorme fiume di sangue italiano fu versato da mani nazifasciste tra il settembre del ' 43 e l' aprile del ' 45. Ma non basta, dato che l' Italia libera con un suo governo, il primo o il secondo a guida Alcide De Gasperi, decise di occultare il tutto per ragioni di Stato, che non spiego per motivi di spazio. Facendo così annullò le iniziative del precedente governo di centro sinistra presieduto da Ferruccio Parri che invece voleva perseguire i responsabili di quelle super feroci e immani stragi. Quindi giustizia, storia e memoria, civiltà e responsabilità varie finirono in un vecchio mobile situato in un vano semi nascosto della Procura generale militare di Roma. E lì fu «discoperto», ma ormai si trattava di una patata bollente di cui tutti cercavano di disfarsi, nella tarda primavera del 1994. Salto una serie di passaggi, per dire che ancora non era finita perché i processi aperti, dopo difficilissime e logoranti ricerche, sono stati di fatto annullati. Basti pensare che a fine 2010 i condannati all' ergastolo per quelle stragi erano 21, dicasi 21. Poi qualcuno ha tirato le cuoia, perché neanche i nazisti sono immortali, ma i sopravvissuti stanno tranquilli nelle loro residenze tedesche dato che nonostante gli appelli pubblici dei procuratori generali militari non più al soldo del potere governativo come negli anni ' 40, ai ministri della Difesa, della Giustizia e degli Esteri, in occasione delle aperture degli anni giudiziari militari, non c' è stata risposta. E non c' è stata risposta della politica di centro, di destra o di sinistra. Idem per la quasi totalità della stampa. E soprattutto tace, anzi si nasconde, chi avrebbe la responsabilità primaria di intervenire, cioè l' Anpi nazionale (anche se il neopresidente Carlo Smuraglia sembra aver ripreso l' iniziativa) dato che i civili massacrati rappresentavano le retrovie senza le quali i combattenti per la libertà non avrebbero potuto sopravvivere, e le rappresentanze dei militari. Il muro del silenzio non accenna a sbrecciarsi. Eppure, come ho scritto sul Manifesto in contemporanea con l' articolo di Fallai, si è ricordato con grande evidenza il decennale dell' attentato delle torri gemelle. E giustamente; ma perché si tace sulla più grande tragedia italiana che ha fatto per lo meno 10 volte tanto le vittime di New York ed è tra le più singolari al mondo per le sue specificità? Io, per quanto mi sia ingegnato, adoperato e indignato, non so trovare risposte. Ed ecco perché questo mio tentativo, che non sarà certamente l' ultimo, di porre il problema in modo corale attraverso il tuo giornale.
Franco Giustolisi
(da: Corriere della Sera, 30 ottobre 2011)
martedì 25 ottobre 2011
Parla di noi, l'home page dell'Anpi
Sulla pagina principale del rinnovato sito dell'Anpi provinciale, vi sono dei link ai siti e ai blog che si occupano delle tematiche della seconda guerra mondiale e della Resistenza in Friuli: tra questi, c'è anche il link al nostro Blog, che riceve così una forma di riconoscimento ufficiale e vede allargarsi la possibilità di offrire motivi di interesse e, potenzialmente, mettere in contatto quanti seguono questi filoni.
Nella medesima sezione, sono citati anche il sito di "nn-media" e i blog "2 di maj" e "Alesso e Dintorni", a testimoniare come dalla zona della Valle del Lago e del Gemonese nascano proposte di ricerca e di documentazione che hanno una validità e costituiscono motivo di interesse.
E', una volta di più, un incoraggiamento ad andare avanti ....
Nella medesima sezione, sono citati anche il sito di "nn-media" e i blog "2 di maj" e "Alesso e Dintorni", a testimoniare come dalla zona della Valle del Lago e del Gemonese nascano proposte di ricerca e di documentazione che hanno una validità e costituiscono motivo di interesse.
E', una volta di più, un incoraggiamento ad andare avanti ....
lunedì 24 ottobre 2011
Gli eccidi di Avasinis e di Ovaro citati nel libro "Viva l'Italia!"di Aldo Cazzullo
Oggi che è in dubbio perfino la sopravvivenza stessa della nazione, stemperata nell'Europa e nel mondo globale, frammentata dalle leghe, dai particolarismi, dai campanili, Aldo Cazzullo (una delle più prestigiose firme del "Corriere") ha scritto un libro di storia e, insieme, politico: "Viva l'Italia" (Mondadori, 2010). Il racconto - privo di retorica e ricco di tanti dettagli curiosi - dell'idea di patria, dei protagonisti del Risorgimento e della Resistenza, dei combattenti che sono morti gridando “Viva l'Italia”; con un capitolo sulla Grande Guerra - Ungaretti in uniforme, Gadda indignato da “La grande guerra” di Monicelli che considera antipatriottico - e un capitolo sui caduti dell'Iraq e dell' Afghanistan. Accanto al racconto, una forte tesi politica in difesa dell'Unità nazionale e di un dato storico: in epoche diverse gli italiani hanno dimostrato di saper combattere per un'idea di Italia che non fosse solo quella del Belpaese e del “tengo famiglia”.
In un testo che ha suscitato interesse e discussioni in tutta Italia, il Friuli è citato (oltre che per le vicende della prima guerra mondiale), per gli eccidi di Porzus, di Avasinis e di Ovaro.
Interessante, per le tematiche di questo Blog, riproporre quindi la descrizione che Cazzullo fa dei fatti del 2 maggio 1945:
"Ancora il 2 maggio 250 SS, debellate le difese partigiane cui alcune fonti attribuiscono i primi colpi, aprono il fuoco sugli abitanti di Avasinis, sul confine orientale: cadono 51 civili. La strage viene interrotta a mezzogiorno da un ufficiale tedesco, che i superstiti ricordano apparire all'improvviso su un cavallo bianco. Alcuni nazisti si sono procurati abiti civili e si danno alla macchia. Nelle stesse ore s Ovaro i cosacchi in ritirata, respinto un attacco, accerchiano il paese e uccidono decine di partigiani, fra cui otto georgiani che si sono uniti alla Resistenza, e ventidue civili compreso il parroco, don Cortiula. Nei giorni successivi i partigiani si vendicano su nazisdti e cosacchi sbandati".
Una sintesi, certamente e, a parte qualche approssimazione, anche corretta (chi, da lontano, si è occupato di queste vicende, ha spesso fornito versioni approssimate e imprecise). Assai interessanti anche le conclusioni che Cazzullo trae da questo tipo di episodi:
"Su queste stragi finali la discussione è aperta. Alcune furono gli ultimi fuochi di un esercito feroce e sconfitto, altre rappresaglie contro gli attacchi dei partigiani. E, in effetti, sparare sui soldati in ritirata era spesso inutile militarmente ed esponeva i civili a gravi rischi. Ciò non toglie che la responsabilità dei massacri di donne e bambini ricada innanzitutto su chi li ha commessi. In ogni caso, non è difficile intuire quanto fossero esasperati gli animi di coloro che vedevano finalmente passare la bufera, ma dovevano sopportare indifesi gli ultimi colpi di coda del nazifascismo morente".
Dal Blog "2 di Maj":
http://blog.libero.it/2diMaj/10740145.html
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venerdì 21 ottobre 2011
La cerimonia di Rattendorf sulle pagine di"Patria Indipendente"
La rivista nazionale dell'Anpi "Patria Indipendente" ospita, nel numero 8 datato settembre 2011, un articolo del presidente provinciale Federico Vincenti sulla cerimonia tenutasi lo scorso luglio a Rattendorf Alm, in Austria, quando è stata ricordata la figura del comandante partigiano carnico "Augusto" e, con lui, quella del movimento di Liberazione che ha operato nella Carnia. L'articolo di Vincenti si sofferma anche sulle indagini svolte recentemente per arrivare alla definizione precisa del contesto di quelle lontane vicende, facendo fronte così al diffondersi di ricostruzioni affrettate se non palesemente falsate. Le vicende della zona confinaria tra Carnia ed Austria trovano così un importante spazio di documentazione su una rivista diffusa a livello nazionale.
martedì 18 ottobre 2011
Addio a Matteo Brunetti, vigile "custode della memoria"
Matteo Brunetti se ne è andato in punta di piedi. Non ha voluto "sunsûrs", nè cerimonie particolari nè necrologi. A noi piace ricordarlo per la sua costante, ferma difesa del "dovere della memoria": lui che si era trovato, ragazzo, orfano del padre, ucciso da una controbanda nazista a Malga Pramosio nel 1944, si è posto continuamente come "vigile custode", chiedendo e pretendendo che quei fatti lontani venissero conosciuti, studiati, analizzati e che di essi non venisse fatta alcuna strumentalizzazione.
Ha raccontato la sua personale esperienza in alcune videointerviste raccolte da Dino Ariis (e pubblicate nei video "Pramosio il giorno dell'infamia" e "Carnia Libera!"): sono documenti dove, accanto al dramma personale, viene ricostruito con lucidità il clima della Carnia negli anni di guerra.
Alcuni stralci presi da quelle interviste possono aiutare a conoscere la persona e tanti aspetti delle storie collettive di Paluzza e della Valle del But:
Il 20 luglio 1944 ero in malga Pramosio con mia sorella e dovevo attendere che arrivasse mio padre: sarebbe venuto la sera per la consuetudine precisa che il proprietario doveva recarsi in malga almeno 2 volte lungo la stagione per le operazioni di pesatura del latte di ogni proprietario per poi alla fine della stagione poter dare la percentuale di diritto in latticini. La data cadeva proprio il 21 luglio. Il 20, andando con un mio amico pastorello diciassettenne siamo saliti più in alto, sulle rocce e siamo stati presi di mira da fucilate di due guardie di confine austriache. Si siamo precipitati al riparo dietro una cengia per almeno due ore e poi ridiscesi con paura. Mia sorella, arrabbiatissima, ha preteso che rientrassi in paese con lei, senza fermarmi in malga. So che mio padre si è poi arrabbiato con me per non averlo aspettato ed è andato su in malga a piedi senza salutarmi.
L’indomani è successo quello che è successo… le voci di questo eccidio cominciavano a diffondersi. (...)
Ora questo gruppo (erano tutti molto giovani, giovanissimi, com’era consuetudine nelle SS.) è venuto in paese: penso che i partigiani siano venuti a conoscenza che erano scesi, perché c’è stata una scaramuccia, alcuni partigiani si sono avvicinati e hanno tirato addosso qualche raffica, ma è durato molto poco.
Loro poi se ne sono andati a passare la notte nel vivaio forestale di Cercivento , indisturbati. Erano in collegamento radio con le SS di Tolmezzo che, il giorno dopo, a piedi, sono venuti su, con armi leggere, non motorizzati. Saranno stati 25-30. Si sono congiunti con i tedeschi e si sono abbracciati, in piazza, urlando e ridendo perché erano della stessa famiglia.
A Paluzza è cominciata l’altra brutta giornata: hanno fatto i rastrellamenti e trovati tanti uomini in casa. Erano il barbiere, il meccanico… era gente che non era scappata, che faceva il suo lavoro.
Con una ferocia estrema hanno radunato tutti in piazza: dalla terrazza vedevo alcuni miei coetanei, più grandi di statura di me, scappare nel bosco, mentre io ero minuto. Vedevo scene raccapriccianti di gente picchiata a sangue, col calcio del fucile… In piazza hanno caricato addosso con degli zaini e li hanno fatti incamminare verso Tolmezzo. Arrivati al ponte di Sutrio c’è stata l’uccisione di 3-4 partigiani presi là. Il tenente della Ss che comandava il rastrellamento, giovanissimo, a cavallo, in calzoni corti, faceva togliere il tascapane a quello che era l’ultimo della fila, lo uccideva e lo gettava nel fiume: è proseguito così sino all’uccisione degli ostaggi, tranne due(...).
Per quanto riguarda la procedura delle indagini della Magistratura, per aprire un possibile processo per individuare i possibili autori di questo eccidio, non mi risulta sia stato fatto niente. La nostra famiglia non ha mai fatto alcuna azione giudiziaria: non sono in grado di dare una risposta sul perché non sia stato fatto.
Non c’era spirito di vendetta, ma di giustizia: qualcuno può essere ancora vivo. Ci sono migliaia di fatti come questi non perseguiti, anche se non è una giustificazione. Mia madre stessa ha sempre ribadito che non le interessavano vendette. D’altronde nessun altro si è mosso: un’indagine del genere poteva partire anche d‘ufficio.
Ha raccontato la sua personale esperienza in alcune videointerviste raccolte da Dino Ariis (e pubblicate nei video "Pramosio il giorno dell'infamia" e "Carnia Libera!"): sono documenti dove, accanto al dramma personale, viene ricostruito con lucidità il clima della Carnia negli anni di guerra.
Alcuni stralci presi da quelle interviste possono aiutare a conoscere la persona e tanti aspetti delle storie collettive di Paluzza e della Valle del But:
Il 20 luglio 1944 ero in malga Pramosio con mia sorella e dovevo attendere che arrivasse mio padre: sarebbe venuto la sera per la consuetudine precisa che il proprietario doveva recarsi in malga almeno 2 volte lungo la stagione per le operazioni di pesatura del latte di ogni proprietario per poi alla fine della stagione poter dare la percentuale di diritto in latticini. La data cadeva proprio il 21 luglio. Il 20, andando con un mio amico pastorello diciassettenne siamo saliti più in alto, sulle rocce e siamo stati presi di mira da fucilate di due guardie di confine austriache. Si siamo precipitati al riparo dietro una cengia per almeno due ore e poi ridiscesi con paura. Mia sorella, arrabbiatissima, ha preteso che rientrassi in paese con lei, senza fermarmi in malga. So che mio padre si è poi arrabbiato con me per non averlo aspettato ed è andato su in malga a piedi senza salutarmi.
L’indomani è successo quello che è successo… le voci di questo eccidio cominciavano a diffondersi. (...)
Ora questo gruppo (erano tutti molto giovani, giovanissimi, com’era consuetudine nelle SS.) è venuto in paese: penso che i partigiani siano venuti a conoscenza che erano scesi, perché c’è stata una scaramuccia, alcuni partigiani si sono avvicinati e hanno tirato addosso qualche raffica, ma è durato molto poco.
Loro poi se ne sono andati a passare la notte nel vivaio forestale di Cercivento , indisturbati. Erano in collegamento radio con le SS di Tolmezzo che, il giorno dopo, a piedi, sono venuti su, con armi leggere, non motorizzati. Saranno stati 25-30. Si sono congiunti con i tedeschi e si sono abbracciati, in piazza, urlando e ridendo perché erano della stessa famiglia.
A Paluzza è cominciata l’altra brutta giornata: hanno fatto i rastrellamenti e trovati tanti uomini in casa. Erano il barbiere, il meccanico… era gente che non era scappata, che faceva il suo lavoro.
Con una ferocia estrema hanno radunato tutti in piazza: dalla terrazza vedevo alcuni miei coetanei, più grandi di statura di me, scappare nel bosco, mentre io ero minuto. Vedevo scene raccapriccianti di gente picchiata a sangue, col calcio del fucile… In piazza hanno caricato addosso con degli zaini e li hanno fatti incamminare verso Tolmezzo. Arrivati al ponte di Sutrio c’è stata l’uccisione di 3-4 partigiani presi là. Il tenente della Ss che comandava il rastrellamento, giovanissimo, a cavallo, in calzoni corti, faceva togliere il tascapane a quello che era l’ultimo della fila, lo uccideva e lo gettava nel fiume: è proseguito così sino all’uccisione degli ostaggi, tranne due(...).
Per quanto riguarda la procedura delle indagini della Magistratura, per aprire un possibile processo per individuare i possibili autori di questo eccidio, non mi risulta sia stato fatto niente. La nostra famiglia non ha mai fatto alcuna azione giudiziaria: non sono in grado di dare una risposta sul perché non sia stato fatto.
Non c’era spirito di vendetta, ma di giustizia: qualcuno può essere ancora vivo. Ci sono migliaia di fatti come questi non perseguiti, anche se non è una giustificazione. Mia madre stessa ha sempre ribadito che non le interessavano vendette. D’altronde nessun altro si è mosso: un’indagine del genere poteva partire anche d‘ufficio.
venerdì 14 ottobre 2011
Nuova edizione per "L'Armadio della vergogna". Il libro di Giustolisi è stato presentato anche a Trasaghis
"L'armadio della vergogna", il libro di Franco Giustolisi che documenta l'insabbiamento di numerose inchieste avviate contro i responsabili delle stragi naziste in Italia, ha ora una nuova edizione. Già all'epoca della sua uscita il libro aveva fatto assai discutere. Franco Giustolisi era venuto anche a Trasaghis, il 2 febbraio 2006, quando aveva illustrato le tappe della sua ricerca e gli elementi raccolti relativamente a quelle 2273 stragi che non avevano visto individuare responsabilità. Nell'incontro di Trasaghis si era discusso anche dell'eccidio di Avasinis, un evento doloroso che pare non abbia avuto nemmeno "l'onore" di un fascicolo aperto nell'«armadio della vergogna». Una video intervista a Franco Giustolisi, registrata quella sera a Trasaghis, è stata inserita nel video di Dino Ariis "Avasinis luogo della memoria".
Può essere visionata all'indirizzo web:
http://www.youtube.com/watch?v=kAznTEugaoA
Una recensione relativa alla riedizione del libro di Giustolisi è stata pubblicata dal "Corriere della Sera" il 9 ottobre:
Leggi tutto l'articolo:
http://archiviostorico.corriere.it/2011/ottobre/09/vergogna_dell_armadio_della_vergogna_co_9_111009039.shtml
Può essere visionata all'indirizzo web:
http://www.youtube.com/watch?v=kAznTEugaoA
Una recensione relativa alla riedizione del libro di Giustolisi è stata pubblicata dal "Corriere della Sera" il 9 ottobre:
La vergogna dell' armadio (della vergogna)
di Paolo Fallai
Franco Giustolisi è tornato in libreria con una nuova edizione de «L' armadio della vergogna» N on può esserci pace senza giustizia. E sarebbe una verità quasi banale, se non vivessimo in un Paese che, da decenni, si sforza con ogni mezzo di negarla. È tornato in libreria, con una nuova edizione, il libro di Franco Giustolisi, che ne è diventato l' assioma: L' armadio della vergogna (Beat, pagine 383, 9). La storia che Giustolisi racconta è semplice e terribile: fra il 1943 e il 1945 decine di migliaia di civili, tra loro bambini, donne, vecchi, vennero uccisi nel corso di 2.273 stragi compiute dai nazisti e dai fascisti. Avete capito bene: 2.273 stragi, in una geografia dell' orrore che non risparmia un angolo d' Italia. In questo lugubre elenco vi sono nomi conosciuti, come Stazzema, Marzabotto Fivizzano, Fossoli, Cefalonia, accanto a un elenco impressionante di località grandi e piccole che si fa fatica a trovare anche sulla carta geografica. Giustolisi, giornalista e scrittore, ricostruisce come dopo la Liberazione, molti dei responsabili di questi orrendi massacri vennero individuati. E di come siano stati aperti centinaia di fascicoli in vista di processi che avrebbero dovuto punire i colpevoli. Ma non ci furono né istruttorie, né processi. Nel 1947 migliaia di fascicoli vennero sepolti in un vecchio armadio «marrone scuro, in più parti tarlato» finito in un «andito seminascosto» di palazzo Cesi, in via degli Acquasparta a Roma, sede della Procura generale militare. Per essere sicuri che a nessuno venisse in mente di aprirlo, quel mobile aveva le ante rivolte verso il muro. Venne scoperto solo nel 1994 quando il procuratore militare Antonino Intelisano, preparando l' estradizione dall' Argentina dell' ufficiale delle SS Erich Priebke, chiese e ottenne i documenti sulla strage delle Fosse Ardeatine. È in quel momento che un vecchio mobile da ufficio, diventa «l' armadio della vergogna». Dalla sua scoperta sarebbe stato lecito aspettarsi uno scatto di dignità, capace di restituire al nostro Paese il coraggio di perseguire e finalmente processare i massacratori. Neppure questo è successo. Neanche dopo la pubblicazione della prima edizione di questo libro, ormai sette anni fa. «L' armadio della vergogna - dice Franco Giustolisi, che non ha perso la volontà di combattere, ma fatica a trovare ragioni di speranza - ormai è diventato la "vergogna dell' armadio"».
Leggi tutto l'articolo:
http://archiviostorico.corriere.it/2011/ottobre/09/vergogna_dell_armadio_della_vergogna_co_9_111009039.shtml
martedì 11 ottobre 2011
A Villach, in Austria, la mostra "Quando morì mio padre", testimonianze dai campi di concentramento sul confine orientale
12 ottobre 2011, ore 10:40 HTL (liceo tecnico) Villacco, Tschinowitscher Weg 5
Quando morì mio padre / Ko je umrl moj oče / Als mein Vater starb
Zeichnungen und Zeugnisse von Kindern aus Konzentrationslagern an der italienischen Ostgrenze.Eröffnung: Mittwoch 12. Oktober 2011, 10:40 Uhr HTL Villach, Tschinowitscher Weg 5
Begrüßung, Grußworte: Hans Haider, Bürgermeister Helmut Manzenreiter.
Einleitender Vortrag: Disegni e testimonianze di bambini dai campi di concentramento del confine orientale(Zeichnungen und Zeugnisse von Kindern aus den Konzentrationslagern der italienischen Ostgrenze) Dario Mattiussi, Centro Isontino di Ricerca e Documentazione Storica e Sociale
Öffnungszeiten: an Schultagen vom 13. bis 28. Oktober von 08:00 bis 16:00 Uhr.
Führungen: Hans Haider -04242 41675, Horst Ragusch/Silvia Biazzo-0650 2424555.
Offene workshops: Anfrage an: Silvia Biazzo und Horst Ragusch -0650 2424555, horst.ragusch@gmail.com
1.Entdecken neuer Wege im Umgang mit Ausstellungen
- Wodurch berühren und was bewirken die Zeichnungen traumatisierten Kinder?
- ihre kindliche Kunst - therapeutisch wirksam und ein unmittelbarer Zugang zu Geschichte?
2.„razza e lager“ : die verdrängte dunkle Seite Italiens: Die KZ des duce und kultureller Rassismus.
.
Stane Kumar, 1943
Es gibt kaum eine Region in Europa, in der nahezu alle Kriege und gewalttätigen Konflikte des 20. Jahrhunderts so direkte und unmittelbare Folgen hatten, wie im Alpen-Adria-Raum. Dies gilt für den Ersten Weltkrieg, wo die Region Frontlinie war, dies gilt für den antifaschistischen Widerstand, der hier begonnen hat, noch bevor in Deutschland die Nationalsozialisten die Macht ergriffen, dies gilt für den Zweiten Weltkrieg, in dem es hier nicht nur zu regulären Kämpfen kam, sondern starke Partisaneneinheiten aktiv waren, dies gilt für den Kalten Krieg, als die Ost-West-Grenze direkt durch die Region verlief und die Stadt Görz, wie Berlin, in zwei Teile spaltete. Die Elementarereignisse des 20. Jahrhunderts, – Weltkriege, Nationalsozialismus, Faschismus, antifaschistischer Widerstand, Vernichtung des Judentums, Kommunismus, post-kommunistischer Bürgerkrieg und demokratischer Wiederaufbau – für all dies war diese kleine Region ein großer Schauplatz.
Werner Wintersteiner
Die AusstellungWerner Wintersteiner
Die Zeichnungen und Schriften wurden vom Archiv der Republik Slowenien und vom Slowenischen Museum für Zeitgeschichte zur Verfügung gestellt und von Metka Gombac, Boris M. Gombac und Dario Mattiussi zusammengestellt..
Begleitende Vortragsreihe:
I campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi
(Die italienischen Konzentrationslager für die jugoslawische Zivilbevölkerung)
Alessandra Kersevan, Coordinatrice di Resistenza Storica Udine
Mittwoch, 19. Oktober 2011, 19:00 Uhr, Kulturhofkeller, Lederergasse 12
Das anständige Kärnten – eine Drohung
Zur sonderbaren Kontinuität rechten Denkens in der liberalen Gesellschaft
mit Walther Schütz, ÖIE Kärnten/Bündnis für eine Welt
Dienstag, 25. Oktober 2011, 19:00 Uhr, Kulturhofkeller, Lederergasse 12
»adesso vivevamo in un lager«Zur sonderbaren Kontinuität rechten Denkens in der liberalen Gesellschaft
mit Walther Schütz, ÖIE Kärnten/Bündnis für eine Welt
Dienstag, 25. Oktober 2011, 19:00 Uhr, Kulturhofkeller, Lederergasse 12
Präsenz von Lager und Rassismus – Absenz der Erinnerung
mit Silvia Biazzo & Horst Ragusch (Universität Klagenfurt)
Dienstag, 8. November 2011, 19:00 Uhr im Gasthof Kasino, Villach, Kaiser-Josef-Platz
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mercoledì 5 ottobre 2011
Cos’è successo a Porzus? Conferenza a Trasaghis
Il Comune di Trasaghis ha organizzato per venerdì 7 ottobre, alle 20.30, nella sala consiliare, una conferenza-dibattito sul tema “Cosa è successo a Porzus?”, introdotto dal sindaco Augusto Picco, cui seguirà una relazione storica presentata dal professor Paolo Strazzolini, docente dell’università di Udine.
Nell’invito alla popolazione si precisa che «con la trattazione del tema si intendono ricostruire, con rigore storiografico, la sequenza degli eventi, gli antefatti, i retroscena, le azioni e i destini dei vari personaggi della vicenda». Si aggiunge pure che l’incontro «sarà un’occasione di conoscenza particolare di fatti e avvenimenti accaduti sui confini orientali del Friuli, spiegati da uno studioso che al rigore storico unisce la libertà da ogni implicazione ideologica. Per tutti sarà un momento di approfondimento utile a comprendere meglio i fatti che hanno prodotto divisioni e lacerazioni nella Resistenza friulana». La trattazione dell’argomento sarà corredata della proiezione di immagini relative agli eventi.
venerdì 30 settembre 2011
Il convegno di studi storici tra Udine e Ampezzo: consuntivi e considerazioni
Una attenta riflessione del prof. Salimbeni su quanto emerso nella giornate di studi storici sulla Repubblica Libera della Carnia:
Carnia ’44 nella resistenza europea
Messaggero Veneto, 27 settembre 2011
di FULVIO SALIMBENI
La miglior risposta a quanti contestano la Resistenza e la relativa storiografia, ritenuta faziosa e retorica, è venuta dal convegno, svoltosi venerdì e sabato scorsi a Udine e ad Ampezzo per iniziativa dell'ateneo udinese e dell'Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, dedicato all'esperienza (1944) della Repubblica partigiana della Carnia. Nei 15 contributi in cui si sono articolati i lavori, infatti, l'argomento è stato affrontato in maniera critica e problematica, analizzandolo in una prospettiva di lungo periodo, che partiva almeno dal Risorgimento, e nel contesto europeo, in un'ottica comparativa, fuori da qualsiasi impostazione localistica e celebrativa, mettendo in evidenza luci e ombre, contrasti e contraddizioni all'interno dello stesso movimento resistenziale. Se, com’è ovvio, non sono mancati i contributi di taglio più tradizionale, attenti agli aspetti militari, politici e istituzionali della vicenda in esame, studiata come risvolto particolare d'un fenomeno che ha investito tutta l'Europa occupata dalla Germania, quelli metodologicamente più innovativi sono stati incentrati non tanto sui fatti, ormai ben noti, quanto, avvalendosi dell'apporto delle scienze sociali, su aspetti finora poco o niente considerati, riguardanti il vissuto dei protagonisti e le rielaborazioni che di quelle esperienza sono state compiute. Da qui il discutere di emozioni, percezioni, memoria e memorie, rimozioni, speranze e utopie, del rapporto tra storia e letteratura e del contributo che essa può dare all'analisi delle psicologie dei protagonisti e all'interpretazione metastorica, da leggenda, di vicende come quella, emblematica, dei cosacchi in Carnia, un argomento, questo, collocato nel più generale contesto del collaborazionismo, un fenomeno un tempo ignorato o negato e che nel convegno, invece, ha trovato ampia e critica trattazione, volta a intenderne le ragioni profonde, di là dall'opportunismo di molti, che del secondo conflitto mondiale hanno fatto una vera e propria guerra civile europea, che ha posto non solo le nazioni le une contro le altre, ma gli stessi connazionali su fronti opposti, donde l'elevatissimo tasso d'ideologia e di violenza che l'ha connotata. Altro elemento di rilievo messo a fuoco con acume la partecipazione attiva delle donne alla Resistenza in generale e a quella carnica in particolare, con le conseguenti implicazioni di riscatto ed emancipazione politica, sociale e culturale della condizione femminile, con significativi riferimenti al suo ruolo, affatto subalterno, nella società locale. Un convegno come questo, di là dalla sua valenza storiografica e civile, è anche la riprova dell'eccellenza delle istituzioni scientifiche che l'hanno promosso e attuato.
Emmanuelli, Zannini e Salimbeni al convegno di Ampezzo |
martedì 27 settembre 2011
Cosacchi in Carnia: se ne discute ad Arta con Marina Di Ronco
Giovedì 29 settembre la rassegna "CuriosArta" terminerà con un incontro incentrato sull’occupazione cosacca in Carnia a cura della dott.ssa Marina Di Ronco (Associazione della Carnia Amici dei Musei e dell’Arte): “Ottobre 1944 – Maggio 1945. In Carnia durante l’occupazione cosacca: un racconto attraverso le immagini”.
Sul finire della Seconda Guerra Mondiale, tra l’ottobre 1944 e il maggio 1945, la Carnia fu massicciamente occupata da truppe cosacco-caucasiche al seguito dei nazisti. Ai contingenti militari, qui dislocati in funzione essenzialmente antipartigiana, si univano numerosi civili, intere famiglie con tutti i loro averi, cavalli, capi di bestiame e perfino cammelli.
Alcuni paesi della Carnia giunsero a contare una presenza di cosacchi superiore a quella della popolazione locale, altri furono addirittura ribattezzati con i nomi delle città cosacche storiche.
Per la Carnia furono mesi difficili, con tanti lutti, paura e miseria. Ogni famiglia dovette far posto a questi “ospiti” tanto inattesi quanto forzati e dividere con loro le poche risorse ancora disponibili.
A distanza di più di mezzo secolo le case della Carnia conservano ancora testimonianze di questa occupazione: qualche foto, utensili, ritagli di giornale… frammenti di un quotidiano, che offrono lo spunto per una riflessione su questa vicenda da un punto di vista inusuale.
(notizia riportata dal sito www.carnia.la )
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