Una mappa delle stragi
(Messaggero Veneto, 27 luglio 2014)
Si è ricordato, in questi giorni, l'eccidio della Valle del But, perpetrato su persone inermi da afferrati aguzzini nazi-fascisti, si sono ricordati, localmente e non unitariamente, altri eventi qui avvenuti, sempre per stessa mano: per esempio l'incendio di Forni di Sotto, ai cui abitanti si imputava, pure, la mancata consegna di bestie all'ammasso. «I violenti bagliori illuminano l'enorme nube che occupa ormai tutto il cielo e tingono di riflessi sanguigni le rocce del Tinizza e le catene dei monti tutt' intorno (...). - scrive Mario Candotti - Forni di Sotto brucia come un' immenso braciere! Le vampe dell'incendio si riflettono anche dentro di me». Il 9 giugno veniva dato alle fiamme Esemon di Sotto, il 21 luglio 1944 Bordano. Molte furono le vittime delle centinaia di stragi efferate nazifasciste e cosacche a danno di civili: Enzo Firmiani in "Le stragi nazifasciste del 1943- 1945. Memoria, responsabilità e riparazione" (Carrocci 2013) a pagina 9 scrive di un numero di morti fra i 10.000 ed i 15.000. Alle vittime di questa barbarie ed a questi atti di distruzione non è stato dato però il giusto riconoscimento. Fascicoli dei crimini nazifascisti risultarono occultati e vi furono numerose ed inspiegabili segretazioni di documenti . È importante, quindi, come sta facendo l'Anpi nazionale, predisporre una mappa complessiva delle stragi e giungere anche su questi aspetti ad una memoria condivisa, e ad una giornata del ricordo.
Laura Matelda Puppini Tolmezzo
La verità per Forni
(Messaggero Veneto, 2 agosto 2014)
Spettabile Redazione, spesso ho modo di leggere in questa rubrica commenti o trattazioni sulle stragi nazi-fasciste che, unite alle stragi dei partigiani e degli anglo-americani, contribuirono ad insanguinare la nostra amata regione durante l'ultima guerra. Lo spunto per scrivere oggi mi viene dalle parole di una signora di Tolmezzo che lamenta una scarsa memoria condivisa sulle rappresaglie italo-tedesche, tra cui cita l'incendio di Forni di Sotto. Vorrei fare una considerazione ed una domanda estensibili ad accadimenti assimilabili. Ho sotto mano la prima edizione del volume di Gino Pieri "Storie di partigiani" edito da Del Bianco nel settembre del 1945. I fatti di Forni sono narrati dall'autore come riferiti dalla testimone oculare Elsa Fazzutti, in arte "Vera", partigiana. La rappresaglia fu provocata da un'imboscata tesa ai danni di una colonna di tedeschi che doveva rastrellare i giovani della zona sottrattisi agli obblighi di leva. L'attacco ebbe luogo in località Volte Scure, a poca distanza da Forni. La nostra fonte dice che i tedeschi furono messi in fuga con forti perdite, dopo oltre un'ora di scontri. Suppongo che i partigiani sapessero quale sarebbe stata la reazione degli avversari, che non facevano mistero della consuetudine alla rappresaglia, come risultava dalla martellante propaganda del tempo... La sera dello stesso giorno i tedeschi tornarono, pare addirittura con carri armati, dando alla popolazione un quarto d'ora per liberare il paese prima che iniziasse la sua distruzione, che ebbe luogo senza intoppi....ed è questo il punto. Se i "patrioti" sapevano che la vendetta sarebbe stata automatica, certa ed in quali modalità si sarebbe compiuta, perché attaccare nei pressi del paese? E perché non intervenire mentre gli invasori teutonici devastavano tutto? Dico: volevano impedire il rastrellamento dei giovani, hanno ottenuto la distruzione dell'intero abitato e non hanno cercato di impedirlo? Questo risulta dal racconto della Fazzutti dal quale apprendiamo che i partigiani scesero dai monti una volta finito tutto - senza aver sparato un colpo - per organizzare i soccorsi. Non è che la rappresaglia fosse ciò che si voleva ottenere - in questo ed altri casi - al fine di una successiva contropropaganda? Incendiare un paese, coinvolgendo dei civili in operazioni di questo tipo è certamente esecrabile. Ma anche restare a guardare che brucia, dopo averne provocato l'incendio non è un'azione nobilissima!
Simone Lansotti Udine
Era la tesi dei nazifascisti
(Messaggero Veneto, 18 agosto 2014)
Vorrei rispondere a una lettera che mi chiama in causa pubblicata il 2 agosto 2014. Ritengo che il signore in questione avrebbe fatto bene a leggere in modo preciso le mie parole. Quando io, che devo contenere le mie lettere, come richiesto, in 1500 battute, scrivo un «pure», lo scrivo a ragion veduta. E io ho scritto: «ai cui abitanti si imputava, pure». L'azione partigiana contro i nazifascisti del 24 maggio 1944 è nota e fu azione di guerra contro gli occupanti nazisti che fece tre morti tedeschi. Consiglio comunque, sull'incendio di Forni di Sotto, i volumi di Erminio Polo, che ha ampiamente trattato l'argomento. La tesi che ogni azione contro la popolazione fosse causata dai partigiani è la versione dei fatti divulgata dai nazifascisti che compirono infamie dovunque. E ci si è dimenticati che si era in guerra, e che i partigiani formavano l'esercito di liberazione italiano dall'occupante e dal fascismo, colluso con lo stesso, e che la Resistenza fu fenomeno europeo. Scrive Nuto Revelli che la popolazione non avrebbe voluto né tedeschi né i partigiani, ma quella guerra non era certo stata causata dai partigiani, spesso militari italiani reduci da vari fronti, in Carnia quasi tutti carnici, che volevano per sé e per gli altri solo una vita migliore. Ripropongo quindi una giornata del ricordo di tutte le vittime delle stragi nazifasciste e rimando al volume curato dall'Anpi nazionale.
Laura Matelda Puppini Tolmezzo
Tra attentati e rappresaglie
(Messaggero Veneto, 21 agosto 2014)
Il lettore Simone Lansotti ripropone l'annosa questione degli attentati partigiani che avrebbero scatenato oggettivamente conseguenti e pesanti rappresaglie tedesche. Cita l'esempio dell'incendio di Forni di Sotto come esaustivo di questa quasi obbligata regola del contrappasso. Seppur l'attacco a reparto combattente a Forni, cosi come quello di due mesi dopo sul ponte di Noiaris, fossero da intendersi, in qualsiasi contesto, ordinarie e legittime azioni di guerra e non certo puro banditismo, va rammentato che le disposizioni naziste di allora, in spregio a qualsiasi considerazione militare ed umana, non necessitavano di particolari "provocazioni" per scatenare stragi infamanti. Bastava scovare un renitente o un disertore alla leva in qualsiasi fienile per deportare o massacrare l'intera famiglia che lo ospitava. In Carnia, se vuole, abbiamo molteplici casi che potremmo segnalargli. Se poi guardiamo cosa successe a Cefalonia o Marzabotto non possiamo certo concludere che l'esercito germanico concedesse attenuanti a chi si batteva regolarmente alla luce del sole. L'intera Europa subiva queste tristi ripercussioni. Valga, per tutti, l'esempio di Lidice in Boemia, laddove fu scoperto che il paese diede solo i natali ad uno dei coraggiosi partigiani cechi che mise fine all'ingloriosa vita del nazista inventore delle camere a gas: Reinhard Heydrich. Tutti i maschi sopra i 16 anni furono fucilati in cinque ore, tutti i bimbi deportati, tutte le donne schiave nei campi di lavoro. Il lettore Lansotti riveda le sue convinzioni, non sempre nascondersi o girarsi dall'altra parte, giovava.
Pierpaolo Lupieri Tolmezzo
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