Album di guerra

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I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona
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sabato 15 novembre 2014

Addio a Franco Giustolisi. Fu anche a Trasaghis a parlare dell'armadio della vergogna

E' morto il giornalista Franco Giustolisi, autore del libro "L'armadio della vergogna" col quale denunciò l'insabbiamento di tante inchieste sulle responsabilità dei crimini nazifascisti nella seconda guerra mondiale.  Giustolisi fu anche a Trasaghis il  2 febbraio 2006 a presentare il libro in quella che fu una occasione  per ragionare anche sull'eccidio di Avasinis, un altro episodio dai contorni mai compiutamente definiti. 
Quella sera Giustolisi rilasciò anche una videointervista a  Dino Ariis che è stata poi inserita nel dvd "Avasinis luogo della memoria".

Sul ruolo e l'attività di Giustolisi, un ricordo da parte del procuratore militare padovano Sergio Dini che aprì anche una inchiesta specificatamente dedicata alla ricostruzione della vicenda di Avasinis. 


In quei fascicoli anche la storia del Nordest

Di Franco Giustolisi, il ricordo è recente: «Due mesi fa c'eravamo sentiti per l'ultima volta. Anzi più volte, in pochi giorni, per la vicenda dei fucilati di guerra. Negli ultimi 15 anni si era molto legato ai temi dell'armadio della vergogna e dei crimini di guerra. Temi che erano diventati la sua ragione di essere e di scrivere» ricorda il sostituto procuratore padovano Sergio Dini  che, per anni, è stato magistrato militare. 
Nel 1994 venne aperto quello scaffale rimasto incollato al muro in uno sgabuzzino di Palazzo Cesi-Gaddi a Roma. «Quell'anno cominciarono ad arrivare in procura militare i primi fascicoli sui crimini di guerra tirati fuori da quell'armadio della vergogna, una definizione storica coniata proprio da Franco Giustolisi. Denunciai l'occultamento dei fascicoli con un esposto al Consiglio della magistratura militare, chiedendo un'indagine conoscitiva sull'insabbiamento. In quei giorni Giustolisi scrisse un primo articolo sull'Espresso, poi si mise in contatto con me quando seppe della segnalazione. Da lì è nato il nostro rapporto». Sia Dini che Giustolisi, benché in ruoli diversi, furono sentiti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta che indagò sul caso. Dai fascicoli estratti dall'armadio della vergogna l'allora pm militare Dini aveva aperto una serie di inchieste sugli eccidi nazifascisti. Tra questi, la strage di Pedescala avvenuta tra il 30 aprile e il 2 maggio 1945 in tre frazioni del comune di Valdastico (Vicenza); l'eccidio di Castello di Godego (Treviso) compiuto da una divisione tedesca in ritirata il 29 aprile del 1945 che massacrò 75 persone rastrellate nei paesi di Sant'Anna Morosina, Abbazia Pisani, Lovari e San Martino di Lupari; infine la strage di Avasinis, piccola frazione di Trasaghis (Udine) dove, il 2 maggio 1945, furono assassinate 51 persone soprattutto donne, vecchi, e bambini. 
«Ultimamente c'era un fascicolo che lo interessava e riguardava la fucilazione di diversi militari italiani da parte dei tedeschi a Spalato, dopo l'8 settembre. Aveva ipotizzato che uno dei responsabili fosse un altoatesino passato con i tedeschi, ribattezzando quella strage come "la piccola Cefalonia"» sottolinea ancora il pm Dini. Giustolisi, nonostante gli anni e la salute, non s'era fermato. «Si stava interessando dei crimini commessi dai militari italiani in Grecia e in Jugoslavia, vicende mai analizzate che, nel 2008, avevo segnalato sempre al Consiglio della magistratura militare. Ne scrisse sull'Espresso e sul Manifesto, ogni tanto gli veniva in mente qualcosa e mi chiedeva aggiornamenti». Non mollava mai Giustolisi. «Era un bravo giornalista che ha avuto il coraggio di alzare il velo su fatti inespressi e inconfessabili». Cristina Genesin

domenica 3 febbraio 2013

Appello per consentire la digitalizzazione dell'Archivio Anpi


Il Blog "Vicende di Guerra, tra Carnia e Gemonese"  si associa a quanti ritengono fondamentale, per la ricostruzione storica delle vicende del territorio, poter giungere alla digitalizzazione ed alla catalogazione informatica dei documenti conservati presso l'archivio dell'Anpi per avere poi la possibilità di accedervi anche via web.

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Archivio Anpi sul web:
mancano fondi

Udine, il progetto costa 55 mila euro, alla Regione ne sono stati chiesti, finora invano, 20 mila. E scoppia la polemica

di Maurizio Cescon
UDINE. Servono 55 mila euro, spalmati in tre anni, per realizzare la digitalizzazione dell’archivio storico dell’Anpi di Udine e metterlo a disposizione sul web, per sempre, dei cittadini, degli studiosi e degli appassionati di storia. Materiale prezioso, migliaia di documenti e fotografie rari che abbracciano un lasso di tempo di 50 anni, dal 1920 al 1970.
Eppure i soldi mancano. Il Comune un piccolo contributo l’ha stanziato, la fondazione Crup, la Lega Coop e la Coop consumatori, così come la Unipol hanno fatto il loro dovere. Mancano la Provincia («ma il presidente Fontanini in persona sta provvedendo», è stato sottolineato) con i suoi 8 mila euro e soprattutto la Regione che dovrebbe stanziare 20 mila euro. «In attesa di questi finanziamenti - spiega il vice presidente dell’Anpi, l’onorevole Elvio Ruffino - i soldi li stiamo mettendo noi, speriamo che la situazione si sblocchi, questi aiuti sono indispensabili».
Se Ruffino mantiene un aplomb invidiabile, ci pensano Mauro Travanut e Anna Maria Menosso, consiglieri regionali del Pd presenti nella sede Anpi per l’illustrazione del progetto, a “pungere” la giunta Tondo.  (...)
Il progetto esecutivo sarà curato da uno specifico gruppo di lavoro organizzato e coordinato da Ugo Falcone e Stefano Perulli dell’Agenzia italiana per il patrimonio culturale (Aipc).
E’ previsto il riordino, l’inventariazione e la valorizzazione, attraverso lo “sbarco” su Internet, delle due grandi parti dell’archivio, quella cartacea e quella fotografica.  (...) E’ stata anche inoltrata una richiesta per ottenere l’Alto patrocinio della presidenza della Repubblica.
«Se tutto l’imponente archivio è arrivato fino a noi - ha detto il vice presidente Anpi Ruffino - lo dobbiamo al puntiglio del presidente Federico Vincenti (a 91 anni presente all’incontro, assieme al segretario Luciano Rapotez, quasi 93 primavere, ndr) che in questi decenni, con metodo e precisione, ha catalogato ogni reperto. E’ materiale raro e straordinario, non dobbiamo perderlo». Nel suo intervento il soprintendente archivistico, dottor Pierpaolo Dorsi ha parlato di «archivio che è uno dei gioielli di Udine» e che «occuparsi di finanziare questo tipo di iniziative ha valore etico».
Il professor Neil Harris, direttore del Dipartimento di storia e tutela dei beni culturali dell’ateneo, ha spiegato che «ci troviamo di fronte a un archivio affascinante. Come università ci teniamo a collaborare per questo tipo di micro interventi qualitativi che possono far crescere il territorio».
Nel suo saluto l’assessore alla cultura del Comune di Udine Luigi Reitani ha dichiarato che «ci troviamo di fronte a una grande impresa. Investire in cultura non è una cosa effimera, ma si agisce sulle strutture della società, sul nostro patrimonio collettivo».
Anche il presidente dell’Istituto friulano per la storia del Movimento di Liberazione, Giovanni Spangaro, carnico e giovanissimo partigiano tra il 1943 e il 1945, ha evidenziato «come tali iniziative contribuiscono ad accrescere il valore e il prestigio della storia locale. Ed è Federico Vincenti che prima di tutti dobbiamo ringraziare, perchè ci ha consentito, in 60 anni di lavoro qua dentro, di fare arrivare fino ai nostri giorni tutta una mole di documenti».
Da: Messaggero Veneto,  3 febbraio 2013
Leggi tutto l'articolo:

sabato 12 novembre 2011

Pier Arrigo Barnaba, il Podestà Fascista che non amava i tedeschi

Si è riparlato in questi giorni della figura del bujese Pier Arrigo Barnaba, medaglia d'oro nella prima guerra mondiale e podestà di Udine durante la seconda guerra mondiale. Si tratta di una personalità complessa, dalle molte sfaccettature.

Ecco il profilo che ne ha tracciato il "Messaggero Veneto" del 12 novembre:


Nato ad Avilla nel 1891, l’illustre bujese è ricordato per la missione che nel ’17, all’indomani della disfatta di Caporetto, lo vide paracadutarsi, primo alpino nella storia, oltre le linee nemiche. Dopo quell’episodio, che gli è valso la medaglia d’oro al valor militare, la carriera di Barnaba è stata in continua ascesa, accelerata dall’amicizia con Italo Balbo che nel ’23 Balbo lo nomina luogotenente generale della Milizia. Grazie ai legami che sa crearsi in questo periodo, Barnaba viene eletto onorevole tra le file del “Blocco Nazionale” di Benito Mussolini, poi nominato, giugno del 1925, segretario amministrativo del Partito nazionale fascista, nomina che porta il bujese a partecipare a importanti avvenimenti celebrativi del Pnf in giro per l’Italia. Le cariche per lui non finiscono qui. Subito dopo viene nominato nel consiglio direttorio nazionale del partito, quindi nel Gran consiglio del fascismo. È vicino a Mussolini, tanto che il 20 ottobre 1927 così scrive al Duce, annunciando la nascita della figlia: «La mia Simonetta ha visto la luce: sarà una futura buona madre di soldati. Ne sono certo!».
Dopo aver partecipato alla guerra in Etiopia viene nominato Podestà di Udine, nel ’37, carica che manterrà fino al ’44. Arrestato dai tedeschi con l’accusa d’aver aiutato i partigiani mentre era Podestà, viene poi liberato dietro pagamento di una cauzione e mai processato per il suo passato fascista.
La sua ultima comparsa sulla scena politica risale al ’65, quando è eletto consigliere comunale a Udine, tra le file dell’Msi. Muore due anni dopo, nel ’67. Almirante lo commemora ufficialmente in Parlamento, mentre ai funerali la bara viene avvolta nel tricolore, scortata dai carabinieri in alta uniforme a salutare un protagonista della storia d’Italia, fatto di luci ma anche di ombre.(m.d.c.)


In rete ci sono diverse pagine web dedicate a P.A. Barnaba; tra le tante, proponiamo un profilo redatto sulla base della documentazione amministrativa:

Arrigo fu il primo paracadutista alpino della storia nazionale (il terzo  paracadutista in assoluto, dopo i tenenti Tandura e Nicoloso, che però non erano alpini). Il nome di Barnaba è molto celebrato nell'ambito dei paracadutisti alpini essendo lui il loro precursore. Per l'occasione esporremo il paracadute originale del Barnaba che si trova nel museo della Julia (Donato al museo dalla figlia Simonetta Barnaba) e una serie di fotografie di Pier Arrigo. Pier arrigo nel '44 si dimette da Podestà di Udine. Gli risultava troppo difficile, quasi intollerabile, collaborare con i tedeschi. Suo padre e i suoi zii avevano scacciato i teutonici dall'Italia, avevano combattuto con Garibaldi. Lui stesso durante la prima guerra mondiale aveva combattuto contro gli austro-tedeschi dove ricevette diverse medaglie, tra cui quella d'oro per il lancio con il paracadute dietro le linee nemiche.  Come sapete nel febbraio '44 i tedeschi arrestarono il fratello Adolfo che poi fu deportato in Germania dove morì. Ermanno Barnaba, figlio di un altro fratello (Nino) fu ucciso ad atene il 6 dicembre 1943 dai tedeschi. Era logico che Pier Arigo non potesse essere amico del tedesco occupatore dell'Italia. Pier arrigo è stato un gerarca fascista tra i più importanti del Friuli. Nel '25 fu segretario amministrativo del partito fascista assieme a Farinacci a Roma ed anche deputato, eletto nelle liste del Blocco Nazionale. Nel '38 sempre da Podestà ricevette Mussolini ad Udine con una cerimonia e una partecipazione di folla immensa. Tuttavia dopo l' 8 settembre 1943 anche per lui cambiò il mondo. Come dicevo, nel maggio del 1944 si dimette da Podestà e in luglio i tedeschi lo arrestano perchè sospettato di collaborare con i partigiani( forse lo arrestano a Belluno e poi lo portano nelle carceri di Udine). Da quel momento tutto diventa poco chiaro, non ci sono molti documenti per ricostruire la vicenda. Sembra che verrà liberato grazie all'intervento di camerati, come il federale fascista Cabai e dopo, in qualche modo, riesce ad eclissarsi fino alla fine della guerra. Pier Arrigo dopo la guerra si candiderà alla camera dei deputati con il partito monarchico. In effetti lui era un nazionalista, aveva giurato fedeltà al Re non al Duce. Sarà il candidato monarchico più votato nel collegio di Udine, a testimonianza che la gente gli voleva ancora bene, ma il Partito monarchico non ebbe nessun seggio nel collegio di Udine. Ho consultato gli atti del Comune di Udine quando Pier Arrigo fù Podestà. Egli si adoperò moltissimo per risolvere i problemi dei cittadini in quei difficilissimi anni di guerra. Il giudizio che possiamo avere di lui, anche nel periodo fascista è comunque positivo. Non si macchiò di nessun crimine e questo gli fu riconosciuto pubblicamente anche dal Sindaco di Udine, Cadetto (democristiano) nell' orazione funebre del 1967 quando Pier Arrigo morì.
Stefano Bergagna
(http://xoomer.virgilio.it/bacar/ARRIGO.htm)


Per la Valle del Lago, alcune testimonianze riferiscono che P.A.Barnaba sia intervenuto, nell'autunno del 1944, per mitigare la durezza dell'intervento tedesco che aveva imposto lo sfollamento alle popolazioni del Comune di Trasaghis per far posto ai cosacchi: sarebbe un episodio che, se accertato, avrebbe una sua significatività.

lunedì 1 agosto 2011

Addio a Nino Del Bianco "Celestino", esponente del CLN e del governo della Repubblica Carnica

E' scomparso Nino Del Bianco, il partigiano "Celestino". Fu uno degli esponenti principali del CLN friulano e partecipò, con incarichi di rilievo, alla costituzione del governo della libera Repubblica carnica, nel 1944. Il racconto delle sue significative esperienze umane e politiche è contenuto in una ampia intervista video realizzata da Dino Ariis e poi utilizzata nei video nn-media  "Pramosio, il giorno dell'infamia" e, soprattutto, "Carnia libera 1944".

Di "Celestino" riproponiamo il quadro biografico diffuso dall'Anpi in una nota firmata dal presidente Vincenti.


È morto Nino del Bianco, il partigiano “Celestino”.
Fu uno dei fondatori in Friuli nel 1941, accanto a Fermo Solari, Alberto Cosattini, Carlo Commessatti e altri, del Partito d'Azione.
Aveva scelto quel singolare nome di battaglia da un romanzo umoristico di Achille Campanile,  Celestino e la famiglia Gentilissimi, nel quale “ il protagonista era il tipico ritratto di un eterno rompiscatole che però riusciva, nonostante tutto, a farsi voler bene. Era il mio uomo, scelsi quel nome”, come scrisse lui stesso in una breve autobiografia.
Richiamato alle armi, fu inviato nella Francia del sud, da cui rientrò clandestinamente dopo l'8 settembre 1943. Partecipò a Udine nell'ottobre del '43 alla prima seduta del CLN Provinciale in rappresentanza del Partito d'Azione, in casa dell'avvocato Giovanni Cosattini il futuro primo sindaco di Udine liberata. Fu firmatario, agli inizi del '44, insieme a Commessatti per il Partito d'Azione e a don Moretti e Guglielmo Schiratti per la DC, del patto che diede origine alla  formazione della Osoppo “Friuli”, al cui interno però visse forti tensioni che sarebbero culminate nella “crisi di Pielungo” degli inizi dell'estate.
Ricercato dalla SD tedesca che aveva minacciato rappresaglie alla famiglia se non si fosse presentato, andò l'1 agosto '44 al loro comando nella sede del Liceo Stellini e fu incarcerato in via Spalato, dove rimase 56 giorni. Fu liberato per assenza di prove, dato che la spia che l'aveva denunciato era nel frattempo deceduta in un bombardamento aereo.
Liberato il 26 settembre, sale in montagna e si ritrova a vivere l'esperienza della Repubblica partigiana della Carnia e dell'Alto Friuli: nella Giunta di Governo, insediata nel Municipio di Ampezzo, rappresenta il Partito d'Azione ed è nominato responsabile della pubblica istruzione e riorganizza, insieme al Fronte della Gioventù, la riapertura delle scuole. Collabora alla organizzazione delle elezioni delle Giunte comunali in vari paesi della Carnia; quindi vive la tragedia del grande rastrellamento che porta alla fine di quell'esaltante esperienza.
Ai primi di dicembre '44 scende in pianura e decide di andare a Milano, da Alberto Cosattini che allora era segretario di Ferruccio Parri, vice comandante del CVL, e continua l'attività clandestina di propaganda e raccolta di informazioni.
In gennaio '45, gli vengono presentati da compagni due brigatisti neri che si fingono patrioti. Finisce incarcerato a San Vittore, dove, finanziato dal CLN Lombardo, riceve aiuti da distribuire ai compagni più bisognosi.
La liberazione è vicina: il 24 aprile già circolano a San Vittore permessi fasulli che lui stesso distribuisce ai prigionieri. Quindi il 25 aprile, che lui stesso ricorda così:
“ La gente impazziva per le strade, si rideva, ci si abbracciava tra sconosciuti, sventolavano bandiere dappertutto, giravano i partigiani con i fazzoletti colorati al collo, e così tanti io non ne avevo mai visti”.




Il funerale di Nino Del Bianco si terrà questo pomeriggio, 2 agosto,  alle ore 17.00 nella camera mortuaria del cimitero di San Vito a Udine




Ecco il profilo di Nino Del Bianco apparso oggi sul Messaggero Veneto:



E’ morto a 93 anni
Nino Del Bianco
l’editore partigiano

Fu uno dei fondatori nel 1941 del Partito d’Azione in Friuli. Appassionato di storia, aveva scritto saggi sul Risorgimento.



UDINE. Figura di spicco del movimento partigiano, editore notissimo, scrittore, personaggio cosmopolita sempre in viaggio tra il Friuli e Milano, appassionato di storia del Risorgimento e dell’età Napoleonica. Era tutto questo Nino Del Bianco, spentosi nella sua casa di via Colussi domenica sera all’età di 93 anni. Era da tempo ammalato, ma non aveva rinunciato alla sua passione forse più grande, quella delle ricerche storiografiche, tanto che aveva appena pubblicato un libro sulla regina Margherita, che avrebbe dovuto presentare in giro per l’Italia da settembre. Un altro grave lutto dunque per l’Anpi di Udine, della quale il partigiano “Celestino”, questo il nome di battaglia di Del Bianco, faceva parte a tutti gli effetti.
Significativa e ricchissima fu l’avventura del partigiano-editore durante gli anni terribili della Seconda guerra mondiale. Udinese doc, classe 1918, Del Bianco fu uno dei fondatori in Friuli, nel 1941, accanto a Fermo Solari, Alberto Cosattini, Carlo Commessatti, del Partito d’Azione. Aveva scelto quel singolare nome di battaglia da un romanzo umoristico di Achille Campanile, “Celestino e la famiglia Gentilissimi”, nel quale «Il protagonista era il tipico ritratto di un eterno rompiscatole che però riusciva, nonostante tutto, a farsi voler bene. Era il mio uomo, scelsi quel nome», come scrisse lui stesso in una breve autobiografia. Richiamato alle armi come tenente degli alpini, fu inviato nella Francia del sud e in Albania dove fu decorato con due medaglie di bronzo al valor militare e una croce per meriti di guerra. Dopo l’8 settembre ’43 rientrò clandestinamente in Friuli. Partecipò a Udine, nell’ottobre dello stesso anno, alla prima seduta del Cln provinciale in rappresentanza del partito d’Azione, in casa dell’avvocato Giovanni Cosattini, il futuro primo sindaco di Udine liberata. Fu firmatario, agli inizi del ’44, insieme a Commessatti per il partito d’Azione e a don Moretti e Guglielmo Schiratti per la Dc, del patto che diede origine alla formazione della Osoppo “Friuli”.
Ricercato dalla “Sd” tedesca che aveva minacciato rappresaglie alla famiglia se non si fosse presentato, andò l’1 agosto ’44 al comando dei servizi di sicurezza nazisti nella sede del liceo Stellini e fu incarcerato in via Spalato, dove rimase 56 giorni. Liberato per mancanza di prove, salì in montagna e si ritrovò a vivere l’esperienza della Repubblica libera della Carnia con capitale Ampezzo, in seno alla quale fu ministro della Giustizia e responsabile dell’Istruzione. Ai primi di dicembre ’44 scese in pianura e decise di andare a Milano, da Alberto Cosattini che allora era segretario di Ferruccio Parri, vice comandante del Cln, e continuò l’attività clandestina di propaganda e raccolta di informazioni. Nel gennaio ’45, gli vennero presentati come compagni due brigatisti neri che si finsero patrioti. Finì di nuovo in carcere, a San Vittore, dove, finanziato dal Cln lombardo, ricevette aiuti da distribuire ai compagni più bisognosi. Poi il 25 aprile, che visse a Milano, tra lo sventolio di migliaia di fazzoletti e bandiere.
Nel dopoguerra Nino Del Bianco intraprese l’attività di editore, e guidò l’omonima casa editrice, ereditata dal padre, fino al 1973. Negli ultimi 15 anni si dedicò più assiduamente a scrivere libri storici e biografie del periodo Napoleonico e del Risorgimento. Viveva tra Udine e Milano e viaggiava molto, in tutta Europa. Lascia nel dolore le figlie Francesca e Luisa, il fratello Umberto, i nipoti e i generi. I funerali del partigiano “Celestino” saranno celebrati oggi alle 17 nella camera mortuaria del cimitero di San Vito.
http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2011/08/02/news/e-morto-a-93-anni-nino-del-bianco-l-editore-partigiano-1.756057

lunedì 20 giugno 2011

Una testimonianza sulle azioni di solidarietà nel 1943-44 lungo la ferrovia Pontebbana

"Ho ottant’anni, sono nato e sempre vissuto a Udine a Sant’Osvaldo. Ho molto apprezzato gli articoli usciti sul vostro giornale il 2 giugno scorso riguardanti le manifestazioni avvenute il giorno prima alla stazione ferroviaria della nostra città per ricordare il contributo delle donne udinesi nella Resistenza civile contro il nazifascismo. A tale proposito avrei anch’io qualcosa da aggiungere accaduto a me personalmente. Negli anni ’43-’44 la ferrovia Pontebbana era quasi ogni giorno percorsa dai “treni della notte” dei deportati nei lager. I vagoni erano stipati e dalle strette feritoie si vedevano solo visi e mani e si udivano voci invocanti pietà. Scattò la solidarietà della gente per portare un po’ di sollievo a quelle persone sofferenti. Io all’epoca avevo 12 anni, mio fratello Diego quattro di più. Avevamo trovato lavoro come strilloni proprio in stazione sui treni in partenza e in transito. Mio fratello un giorno percepì la voce di un giovane soldato da uno di quei treni incriminati. Colse dalle poche parole sussurrate che il ragazzo voleva dare un ultimo saluto alla mamma che stava in via Aquileia; montò in bici come una folgore, si recò sul posto, e la signora potè dare la benedizione a quel figlio sfortunato che le porse la medaglietta che aveva al collo come ricordo. Quei disperati avevano solo una possibilità di salvezza: saltare dal treno nel momento propizio, quando il mezzo rallentava in salita e in curva verso il Canal del Ferro. Per favorire la fuga si necessitava alzare i saltelli delle serrande del retro. I ferrovieri, mio fratello e io in più di una occasione riuscimmo in questa impresa con il rischio di essere scoperti dalle guardie. Un giorno, purtroppo, anche se sempre avvisavamo di non saltare subito e di aspettare la salita in montagna, un giovane prigioniero si dette alla fuga appena aperto e fu ucciso all’istante da un repubblichino di Salò da una raffica di mitra. Era molto rischioso per tutti, noi eravamo giovani e incoscienti, ma riteniamo di aver dato un contributo a salvare vite di altri ragazzi più sfortunati di noi. Vorrei che servisse di monito per i giovani d’oggi: che la solidarietà, la condivisione e l’amore per il prossimo non dovrebbero mai venir meno. Che nel momento del bisogno si tenda una mano a chi sta soffrendo: aiuta chi è nel disagio, ma fa un gran bene anche a chi offre soccorso. Il gesto d’amore arricchisce chi lo riceve, ma da una gioia immensa a chi lo porge. Nient’altro può essere paragonabile a questa sensazione".
Fausto Campana, Udine
(Lettera al Messaggero Veneto, pubblicata il 19 giugno 2011)

lunedì 6 giugno 2011

Quei silenziosi gesti di solidarietà verso le vittime dei "treni della notte"

Uno dei capitoli sinora meno esplorati della Resistenza friulana è quello delle ore buie seguite all'8 settembre, con la deportazione di migliaia di militari e civili cui, nelle stazioni friulane, in tanti cercarono di prestare soccorso e aiuto.
Di quei fatti molto ha scritto il prof. Simonitto di Venzone, testimone diretto delle vicende del casello di Carnia; se ne è parlato anche in un recente incontro a Gemona, quando sono stati citati episodi di solidarietà accaduti proprio in quella stazione. Sono state effettuate anche diverse videointerviste, nella zona Venzone - Carnia - Pontebba che speriamo possano in breve confluire in un video distribuito pubblicamente.

Frattanto nella stazione di Udine è stata inaugurata una targa a ricordo di quelle persone (in massima parte donne) che prestarono il loro aiuto ai deportati.


Mercoledì 1° giugno nel piazzale della Stazione

Scoperta la targa a ricordo 
delle donne friulane della resistenza civile

L’iscrizione ricorda le donne che durante l’occupazione nazista, mettendo in pericolo 
la propria vita, raccoglievano dai convogli in transito i biglietti di saluto dei prigionieri deportati
L’iniziativa ha celebrato le donne friulane che durante l’occupazione nazista, sfidando il pericolo, raccoglievano i biglietti di saluto lasciati cadere dai convogli ferroviari carichi di prigionieri diretti verso i campi di concentramento e di sterminio. Queste “eroine” silenziose, che si recavano lungo la linea ferroviaria anche per portare generi di conforto, consegnavano i messaggi agli impiegati delle poste, che provvedevano a spedirli ai familiari dei deportati. “Accanto a quella partigiana – ha sottolineato il sindaco di Udine Furio Honsell – c’era anche la resistenza civile di tante persone, soprattutto donne, che hanno saputo essere protagoniste con piccoli gesti di straordinaria umanità e coraggio”.
Nel corso della cerimonia insieme al primo cittadino ha preso la parola la presidente del comitato scientifico “Donne resistenti”, Paola Schiratti, che ha voluto ribadire l’impegno nel proseguire le ricerche documentali relative alle donne friulane della resistenza. L’iniziativa, curata dal comitato “Donne resistenti” e dal Comune di Udine, ha trovato la piena condivisione di diversi enti: Anpi, Aned, Core, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Donne in Nero, Cif, Donne e impresa, gruppi della Provincia di Udine di Idv, Sinistra Arcobaleno e Pd, commissione Pari Opportunità del Comune e della Provincia di Udine.
Sulla cerimonia di Udine vedi anche:
www.youtube.com/watch?v=QdqyFEFWGhM 

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