Album di guerra

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I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona
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martedì 21 febbraio 2012

Gemona 2 marzo, presentazione del libro sul "complotto Zaniboni"

Interessante appuntamento a Gemona per la presentazione del libro:
"Tito Zaniboni e il complotto friulano per uccidere Mussolini" di Dino Barattin
il giorno 2 marzo 2012 alle ore 20.30 presso la Sala Consiliare - Palazzo Boton di Gemona del Friuli.
La presentazione è organizzata dal Comune di Gemona, dalla Biblioteca Civica V. Baldissera di Gemona e dalla Sezione A.N.P.I. di Gemona - Venzone


Sul libro, la scheda apparsa sul sito del pordenonese "La storia, le storie"
(http://www.storiastoriepn.it/blog/?p=9489)





D. BARATTIN, Tito Zaniboni e il complotto friulano per uccidere Mussolini, Libraria, San Daniele del Friuli 2011. Euro 14,00
Il libro tratta la storia del primo dei falliti attentati a Benito Mussolini, Presidente del Consiglio e duce del fascismo, perpetuato da Tito Zaniboni, ex deputato socialista, il 4 novembre del 1925.
Gli ingredienti di una vicenda intricata ci sono tutti: un focoso idealista, Zaniboni, un generale ritenuto uno dei responsabili di Caporetto, Luigi Capello, un determinato gruppo di antifascisti friulani, un gerarca locale, Pier Arrigo Barnaba, una contessa doppiogiochista amante contemporaneamente di Mussolini e Zaniboni, una serie di figure femminili, prima fra tutte Lucia Pauluzzi, gestrice dell’osteria di Urbignacco dove si svolgevano gli incontri cospirativi. Ed infine non può mancare il traditore: un certo Carlo Quaglia, amico e segretario di Zaniboni, che mise la polizia politica sulle tracce del complotto.
Sullo sfondo vi è una situazione politica e sociale molto particolare, quella del primo dopoguerra, con un’Italia sconvolta da lotte politiche e sociali molto aspre, nella quale la dittatura fascista si impose con la violenza squadrista.
Sono i mesi successivi al delitto Matteotti ed all’Aventino, quando le sterili opposizioni vennero messe definitivamente a tacere dalle leggi liberticide del regime che si stava consolidando.
Questa storia inizia in qualche modo a Buja. Ex combattenti e popolari si contendono il dominio del comune. A capo dei primi ci sono Arrigo Barnaba e Ferruccio Nicoloso, entrambi eroi della Grande Guerra pluridecorati per essersi paracadutati dietro le linee nemiche dopo la disfatta di Caporetto. Essi aderiscono entusiasticamente al fascismo.
Ad un certo punto l’ amicizia tra i due si rompe. Emergono dissidi all’interno della gestione della cooperativa degli ex combattenti, rivalità personali. Infine,forse, li divide l’amore per una stessa donna.
A frequentare Buja è anche Tito Zaniboni, socialista mantovano e massone, in particolare è assiduo nella locanda di Lucia Pauluzzi ad Urbignacco, che durante la grande guerra era stata adibita a mensa ufficiali, e con la donna stringe una relazione amorosa. Zaniboni, viene eletto alla Camera nel 1921 nella circoscrizione Udine-Belluno.
A Buja la lotta politica locale è accesissima: il consiglio comunale, fino allora dominato dai popolari, viene sciolto e Barnaba, nel 1923, nominato commissario. Da quel momento la sua carriera politica è in piena ascesa. La medaglia d’argento viene tramutata in oro e nel 1924 viene cooptato nel direttorio del PNF. Nello stesso anno è eletto in Parlamento. Aderisce alla corrente politica degli intransigenti, capeggiata da Roberto Farinacci.
Dopo l’assassinio dell’onorevole Matteotti Ferruccio Nicoloso si avvicina a Zaniboni e attorno a lui si crea un piccolo gruppo che aderisce a “Italia libera”. Il loro programma è espressamente quello di abbattere il fascismo.
Zaniboni cerca contatti e finanziamenti un po’ dappertutto. Si reca in Francia e incontra i nipoti di Garibaldi, Peppino e Ricciotti, per organizzare delle squadre d’azioni che fomentino un’insurrezione inducendo il re a togliere l’incarico a Mussolini. Incontra d’Annunzio, lo stesso Vittorio Emanuele, facendo sempre ritorno ad Urbignacco.
Qui Zaniboni trova l’unico gruppo di persone che lo asseconda e gli fornisce solidarietà: oltre alle affettuosità di Lucia Pauluzzi, trova un Ferruccio Nicoloso sempre più isolato, Angelo Ursella, suo aiutante durante la grande Guerra, Luigi Calligaro, che gli faceva da guardia del corpo, Ezio Celotti un socialista ritornato dalla Francia e molti altri ancora.
L’attività del piccolo gruppo è ampiamente sorvegliata dalla polizia e dai fascisti locali.
Dopo lo scioglimento di “Italia libera”, a seguito del discorso di Mussolini in Parlamento del 3 gennaio 1925, Zaniboni confida in un appoggio della Massoneria di Palazzo Giustiniani per un colpo di forza contro il fascismo.
Ma nulla di concreto accade, così matura in lui l’idea dell’azione solitaria: uccidere il tiranno, creare le premesse per una dittatura militare e poi ritornare ad un regime democratico rinnovato.
Il 4 novembre 1925 prende possesso di una stanza dell’hotel Dragoni e, in compagnia di Quaglia, aspetta che Mussolini si affacci da palazzo Chigi, sede del Governo, per sparargli con un fucile di precisione. Un colpo di fucile per cambiare la storia d’Italia. Ma Quaglia ha già tradito e la polizia politica irrompe nella stanza per arrestare l’ex parlamentare.
Su Buja si scatena un’ondata di arresti. I destini delle varie persone implicate vengono stravolti.
Le conseguenze di ciò che avvenne, o meglio non avvenne, in quella camera dell’Hotel Dragoni si rovesciarono come un uragano sulla piccola e lontana comunità di Buja la quale si trovò all’improvviso al centro di una storia i cui personaggi forse non avevano valutato pienamente gli effetti dirompenti che si sarebbero abbattuti sulle loro vicende personali e familiari.
La simpatia e la solidarietà verso un uomo generoso, coraggioso e determinato venne fatta passare ad arte per un vero complotto e al fascismo, in quel momento, quando gli echi del dramma di Matteotti erano seppur affievoliti ancora vivi, serviva un Mussolini vittima anch’egli della perfidia politica e omicida, questa volta di stampo socialista e massonica.
Così le rivalità e le beghe di paese vennero amplificate divenendo sulla stampa e negli incartamenti processuali l’unico elemento su cui concentrare l’attenzione, per una vicenda che già nel 1927, anno della sentenza da parte del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, aveva perso tutto il suo interesse e soprattutto l’utilità per un fascismo ormai consolidato e diventato pienamente regime.
La sentenza emessa il 22 aprile 1927 e fu durissima: Zaniboni fu condannato a trent’anni. Anche il generale Capello fu a sua volta condannato a trent’anni, senza che nulla di concreto potesse essere provato a suo carico, trent’anni anche ad Ursella, che risultava latitante. Ulisse Ducci, esponente della Massoneria romana, fu condannato a dodici anni, Ferruccio Nicoloso a dieci anni. Dieci anni, fu anche la condanna a Luigi Calligaro, nonostante la sua colpa non fosse stata mai provata. Ad Enzo Riva vennero comminati sette anni.
I protagonisti sembrarono appartenere ad un dramma già scritto, guidato da un attento regista che utilizzò il finto segreto del complotto per perseguire il proprio scopo, un segreto di Pulcinella, come un dramma teatrale ispirato ai quei fatti e scritto a New York dall’anarchico Tresca.
Di certo il mancato attentato divenne un momento funzionale alla definitiva presa del potere da parte del fascismo. Mussolini lo utilizzò per schiacciare ogni tipo di opposizione e conquistare definitivamente il potere. Egli sapeva benissimo che l’attentato non corrispondeva ad una ripresa dell’antifascismo, era l’atto di un uomo ardimentoso ma sostanzialmente isolato e sfiduciato e suonava non solo come una protesta contro il fascismo, ma anche contro il re e l’inerzia di tutte le opposizioni aventiniane. Era il tentativo estremo di risolvere la crisi non attraverso le armi della politica ma con un’ultima disperata azione individuale. Un attentato di questo genere non poteva preoccupare Mussolini, anzi, poteva solo essere usato in suo favore.

venerdì 16 dicembre 2011

Il "caso Seravalli", tra Buja e la Val del Lago del 1945

Leonardo Serravalli fucilato a Buja il 1º maggio 1945

Un’inedita pagina della storia di Buja all’indomani dell’8 settembre 1943 è raccontata da Celso Gallina, appassionato di storia locale nel libro (Aviani & Aviani) “Con un manifesto avverti che mi hanno ucciso innocente”. Tema, l’uccisione del fascista Leonardo Seravalli, fucilato dai partigiani il primo maggio ’45 nei pressi del cimitero di Buja. «La storia di quest’uomo e la sua veemente dichiarazione di innocenza sono giunte fino a noi attraverso un percorso curioso e apparentemente casuale – racconta l’autore –: l’accorata lettera-testamento che Seravalli ha consegnato a don Pacifico Durisotti prima di morire». Una missiva che in oltre mezzo secolo è passata di mano in mano fino a raggiungere l’autore, il quale ha deciso di ricostruire il caso Seravalli «per riconsegnarlo alla memoria collettiva». Originario di Gemona, padre di famiglia impiegato dalla locale banca popolare quale esattore delle tasse, nonché segretario del fascio di Trasaghis, Seravalli fu condannato a morte e assassinato da alcuni partigiani della Brigata Rosselli nei pressi del cimitero di San Bartolomeo. (m.d.c.)

Il cippo collocato un tempo sul luogo della fucilazione

lunedì 14 novembre 2011

Buja: voci di un arsenale tedesco lasciato a Villa Barnaba

Storia e "leggende" paesane spesso si intrecciano. Il dato di cronaca del passaggio di villa Barnaba al Comune di Buja ha ridato linfa alla ricostruzione della figura del Podestà di Udine negli anni della guerra, Pier Arrigo Barnaba, e anche al rinascere di "leggende metropolitane" su fantomatici arsenali abbandonati (è già tanto che non si parli di tesori!). Se può essere valida una indicazione statistica, nei giorni convulsi di fine guerra, dappertutto   tutti gli edifici, tutte le strutture in precedenza adoperate dai nazisti sono state "visitate" dalle forze partigiane e dalla popolazione civile, con conseguente requisizione e asporto di tutto quanto ritenuto utile alla bisogna. Difficilmente villa Barnaba avrà  avuto un destino diverso....


Villa Barnaba, il mistero dell’arsenale dei nazisti

La notizia della maxi eredità lasciata da Enrico Marchetti (nella foto) in parte al Comune di Buja, in parte a una signora friulana che gli ha prestato assistenza negli ultimi anni, è arrivata ieri fino all’orecchio dei parenti romani dell’ingegnere. «Non lontani, ma a lui vicini sia per grado di parentela che per frequentazione», precisa la cugina Patrizia Marchetti, che ricorda anche: «La malattia della moglie nel giugno del 2005 ha determinato contatti meno frequenti a causa del trasferimento dell’uno e dell’altra a Buja, ma ciò non ha impedito ai parenti di seguire tutto quel che è accaduto». «La conoscenza di una vita dell’ingegnere – conclude - ci obbliga a precisare quanto ci sorprenda apprendere il contenuto delle ultime volontà». (m.d.c.) BUJA I colpi di scena legati all’eredità milionaria di Per Arrigo Barnaba non sono finiti. Dopo le inaspettate volontà testamentarie di Enrico Marchetti, il genero di Barnaba che, deceduto lo scorso 2 novembre, ha nominato erede universale la signora friulana che gli ha prestato assistenza negli ultimi anni della sua vita, è il lascito destinato al Comune a far parlare di sé. Si dice infatti che all’interno della grande proprietà della famiglia Barnaba, sede durante gli anni dell’occupazione tedesca di un comando della Wehrmacht, sia sepolto un vero e proprio arsenale. Un considerevole quantitativo di materiale bellico, che i nazisti avrebbero nascosto prima d’esser costretti alla fuga nell’aprile del ‘45. Verità storica o leggenda? Difficile dirlo, anche se il sindaco Stefano Bergagna, che per anni ha studiato la complessa figura di Barnaba, podestà di Udine dal ’37 al ‘44, propende per la prima ipotesi e si propone di vederci chiaro. «Sappiamo per certo che esistono cartografie e documentazioni oggi in mano al figlio dell’ufficiale tedesco che comandava la Wehrmacht a Buja ed è nostra intenzione andare a fondo e verificare se questo deposito bellico esista davvero». Bergagna racconta che in paese se ne favoleggia da tempo. «Si dice che le armi siano state seppellite sul retro della villa, sotto il pozzo, a oltre due metri di profondità dove i metal detector non sono in grado di arrivare». La storia dell’arsenale sepolto nel giardino di villa Barnaba era venuta alla luce anche un paio di anni or sono quando un esperto d’armi di Tarcento, dopo aver rintracciato in Germania l’ufficiale che comandava i nazisti a Buja, si era rivolto a Marchetti per renderlo edotto del problema. «L’ingegnere si era infuriato e aveva informato le forze dell’ordine che avevano poi effettuato qualche controllo ma senza trovare nulla», ricorda ancora il sindaco Bergagna. Dunque è solo una diceria… o forse no. «Se fosse infatti vero che il materiale bellico è stato seppellito a diversi metri di profondità – azzarda il primo cittadino - solo una minuziosa e accurata ricerca potrebbe riuscire a trovarlo, anche a fronte delle dimensioni del parco». Esteso, ricordiamolo, su circa 3 ettari di terreno. Al setaccio non potrà certo pensare il Comune, anche se l’amministrazione un tentativo vuol comunque farlo «per amore della verità storica», dice ancora il primo cittadino che nel corso delle prossime settimane intende recuperare (sempre che esistano davvero) le cartografie e i documenti inerenti la villa durante l’occupazione nazista, quando i prigionieri venivano rinchiusi e interrogati nelle cantine della prestigiosa dimora bujese. I tedeschi vi s’insediano subito dopo il 12 settembre ‘43. Nelle vicine scuole viene ospitato il reparto motorizzato, mentre la villa è il quartier generale dei tedeschi, con tanto di prigione nelle cantine da dove passano sia i partigiani che le persone da interrogare. Così fino all’aprile ’45 quando i tedeschi si danno alla fuga. «E’ in quel momento – afferma Bergagna – che si dice abbiano nascosto le armi, chissà, forse pensando di averne bisogno in un secondo momento o forse solo per evitare che se ne impossessassero i partigiani». Se ne potrà sapere di più una volta effettuate le ricerche promesse dal primo cittadino, che assicura: «Nel caso dovesse venir fuori, in futuro, che il deposito esiste provvederemo subito ad informare i Carabinieri e il Prefetto di Udine».
 Maura Delle Case

sabato 12 novembre 2011

Pier Arrigo Barnaba, il Podestà Fascista che non amava i tedeschi

Si è riparlato in questi giorni della figura del bujese Pier Arrigo Barnaba, medaglia d'oro nella prima guerra mondiale e podestà di Udine durante la seconda guerra mondiale. Si tratta di una personalità complessa, dalle molte sfaccettature.

Ecco il profilo che ne ha tracciato il "Messaggero Veneto" del 12 novembre:


Nato ad Avilla nel 1891, l’illustre bujese è ricordato per la missione che nel ’17, all’indomani della disfatta di Caporetto, lo vide paracadutarsi, primo alpino nella storia, oltre le linee nemiche. Dopo quell’episodio, che gli è valso la medaglia d’oro al valor militare, la carriera di Barnaba è stata in continua ascesa, accelerata dall’amicizia con Italo Balbo che nel ’23 Balbo lo nomina luogotenente generale della Milizia. Grazie ai legami che sa crearsi in questo periodo, Barnaba viene eletto onorevole tra le file del “Blocco Nazionale” di Benito Mussolini, poi nominato, giugno del 1925, segretario amministrativo del Partito nazionale fascista, nomina che porta il bujese a partecipare a importanti avvenimenti celebrativi del Pnf in giro per l’Italia. Le cariche per lui non finiscono qui. Subito dopo viene nominato nel consiglio direttorio nazionale del partito, quindi nel Gran consiglio del fascismo. È vicino a Mussolini, tanto che il 20 ottobre 1927 così scrive al Duce, annunciando la nascita della figlia: «La mia Simonetta ha visto la luce: sarà una futura buona madre di soldati. Ne sono certo!».
Dopo aver partecipato alla guerra in Etiopia viene nominato Podestà di Udine, nel ’37, carica che manterrà fino al ’44. Arrestato dai tedeschi con l’accusa d’aver aiutato i partigiani mentre era Podestà, viene poi liberato dietro pagamento di una cauzione e mai processato per il suo passato fascista.
La sua ultima comparsa sulla scena politica risale al ’65, quando è eletto consigliere comunale a Udine, tra le file dell’Msi. Muore due anni dopo, nel ’67. Almirante lo commemora ufficialmente in Parlamento, mentre ai funerali la bara viene avvolta nel tricolore, scortata dai carabinieri in alta uniforme a salutare un protagonista della storia d’Italia, fatto di luci ma anche di ombre.(m.d.c.)


In rete ci sono diverse pagine web dedicate a P.A. Barnaba; tra le tante, proponiamo un profilo redatto sulla base della documentazione amministrativa:

Arrigo fu il primo paracadutista alpino della storia nazionale (il terzo  paracadutista in assoluto, dopo i tenenti Tandura e Nicoloso, che però non erano alpini). Il nome di Barnaba è molto celebrato nell'ambito dei paracadutisti alpini essendo lui il loro precursore. Per l'occasione esporremo il paracadute originale del Barnaba che si trova nel museo della Julia (Donato al museo dalla figlia Simonetta Barnaba) e una serie di fotografie di Pier Arrigo. Pier arrigo nel '44 si dimette da Podestà di Udine. Gli risultava troppo difficile, quasi intollerabile, collaborare con i tedeschi. Suo padre e i suoi zii avevano scacciato i teutonici dall'Italia, avevano combattuto con Garibaldi. Lui stesso durante la prima guerra mondiale aveva combattuto contro gli austro-tedeschi dove ricevette diverse medaglie, tra cui quella d'oro per il lancio con il paracadute dietro le linee nemiche.  Come sapete nel febbraio '44 i tedeschi arrestarono il fratello Adolfo che poi fu deportato in Germania dove morì. Ermanno Barnaba, figlio di un altro fratello (Nino) fu ucciso ad atene il 6 dicembre 1943 dai tedeschi. Era logico che Pier Arigo non potesse essere amico del tedesco occupatore dell'Italia. Pier arrigo è stato un gerarca fascista tra i più importanti del Friuli. Nel '25 fu segretario amministrativo del partito fascista assieme a Farinacci a Roma ed anche deputato, eletto nelle liste del Blocco Nazionale. Nel '38 sempre da Podestà ricevette Mussolini ad Udine con una cerimonia e una partecipazione di folla immensa. Tuttavia dopo l' 8 settembre 1943 anche per lui cambiò il mondo. Come dicevo, nel maggio del 1944 si dimette da Podestà e in luglio i tedeschi lo arrestano perchè sospettato di collaborare con i partigiani( forse lo arrestano a Belluno e poi lo portano nelle carceri di Udine). Da quel momento tutto diventa poco chiaro, non ci sono molti documenti per ricostruire la vicenda. Sembra che verrà liberato grazie all'intervento di camerati, come il federale fascista Cabai e dopo, in qualche modo, riesce ad eclissarsi fino alla fine della guerra. Pier Arrigo dopo la guerra si candiderà alla camera dei deputati con il partito monarchico. In effetti lui era un nazionalista, aveva giurato fedeltà al Re non al Duce. Sarà il candidato monarchico più votato nel collegio di Udine, a testimonianza che la gente gli voleva ancora bene, ma il Partito monarchico non ebbe nessun seggio nel collegio di Udine. Ho consultato gli atti del Comune di Udine quando Pier Arrigo fù Podestà. Egli si adoperò moltissimo per risolvere i problemi dei cittadini in quei difficilissimi anni di guerra. Il giudizio che possiamo avere di lui, anche nel periodo fascista è comunque positivo. Non si macchiò di nessun crimine e questo gli fu riconosciuto pubblicamente anche dal Sindaco di Udine, Cadetto (democristiano) nell' orazione funebre del 1967 quando Pier Arrigo morì.
Stefano Bergagna
(http://xoomer.virgilio.it/bacar/ARRIGO.htm)


Per la Valle del Lago, alcune testimonianze riferiscono che P.A.Barnaba sia intervenuto, nell'autunno del 1944, per mitigare la durezza dell'intervento tedesco che aveva imposto lo sfollamento alle popolazioni del Comune di Trasaghis per far posto ai cosacchi: sarebbe un episodio che, se accertato, avrebbe una sua significatività.

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