In una lettera pubblicata sul Messaggero Veneto il 3 settembre, si torna a discutere su quali debbano essere il senso e le modalità di ricordare gli eccidi occorsi in Friuli durante la seconda guerra mondiale, e nello specifico quello di Torlano del 25 agosto 1944. La lettera accenna evidentemente a fatti e sfumature note alla comunità di Torlano e probabilmente incomprensibili a dei lettori esterni; se si paventa una possibile strumentalizzazione, bisogna dire però che altrettanto pericoloso è diluire e annacquare il ricordo in una commemorazione indistinta, dove sembra che le vittime siano state semplicemente uccise da "un destino cinico e baro".... doverosa, qui e sempre, una corretta ricerca storica.
Non si specula sul dolore
L’eccidio di Torlano, avvenuto il 25 agosto 1944, si consumò nel triste clima di un insipiente momento bellico, quando i nostri martiri, persone semplici e operose avevano nel cuore unicamente gli affetti familiari e per bandiera soltanto il tricolore. Nell’anniversario del triste avvenimento, la gente di Torlano ha da sempre inteso soltanto ricordare l’episodio e rendere omaggio agli incolpevoli caduti, perché di quel fatto di sangue non c’è nulla da esaltare, semmai c’è una lezione da apprendere. Purtroppo, da qualche anno, dobbiamo registrare l’intromissione di alcuni personaggi che avrebbero la pretesa di connotare politicamente il fatto bellico e di volersi appropriare una cerimonia che è e dovrà rimanere esclusivamente della popolazione di Torlano e di quei superstiti che nel dopoguerra rientrarono a Portogruaro, loro paese di origine, e che puntualmente partecipano alla ricorrenza. Già due anni fa abbiamo dovuto sopportare la performance di una banda musicale che davanti al monumento ai nostri martiri ebbe l’ardire di suonare «Un vessillo in alto sventola una stella di un sol colore», nella pretesa di conferire al momento celebrativo una chiara matrice politica. Allora ci fu una levata di scudi con tanto di protesta ufficiale della gente di Torlano. Ma, a quanto, pare, senza troppi risultati. Quest’anno, infatti, dopo l’intervento del sindaco di Nimis, Walter Tosolini, abbiamo dovuto sopportare, a opera di terzi, una estemporanea rilettura dell’eccidio, una sorta di caccia alle streghe o, se vogliamo, un’invito a togliere dagli armadi nuovi scheletri. E la gente di Torlano si è sentita nuovamente disturbata e offesa. Personalmente, quando sono stato vicesindaco del Comune di Nimis, al quale compete l’organizzazione della cerimonia, avevo sempre evitato rigorosamente intromissioni esterne di qualsiasi tipo. Anche per l’edizione 2011, peraltro, avevo avuto assicurazioni dal primo cittadino che tutto si sarebbe svolto con compostezza, evitando nuove semine di odio. A distanza di 66 anni, non possiamo ancora farci trovare con l’elmetto in testa e il fucile tra le braccia. Vorrebbe dire che non abbiamo imparato proprio nulla dall’eccidio di Torlano. Ai tempi del misfatto, ero piccolo, ma ho ancora nelle orecchie i colpi d’arma da fuoco che falciarono vittime innocenti, ricordo quanto a lungo si lamentarono vacche e buoi, imprigionati nelle stalle incendiate. A Torlano, la guerra l’abbiamo subita. Non eravamo di sicuro gente schierata con quella e quell’altra parte. I nostri martiri furono vittime della barbarie bellica del momento, non certo colpevoli di qualche specifica appartenenza politica. Mi rivolgo all’ospitalità del Messaggero Veneto per reclamare apertamente che sul nostro dolore non c’è posto per speculazioni di alcun genere. L’eccidio di Torlano ha una paternità storica ben precisa che non può essere cavalcata da nessuna parte politica. Fu soltanto il frutto di un insipiente periodo bellico che dovrebbe invitare a sentimenti di serenità, piuttosto che a dare la caccia ai fantasmi, tantomeno inneggiare allo sventolio di «una stella di un sol colore». Ma se il Comune di Nimis non è in grado di organizzare una cerimonia che eviti assalti di questo tipo, allora è tempo che la gente di Torlano dia vita a un comitato organizzatore per la ricorrenza dell’eccidio. In questo caso, tutti sarebbero ben accetti, ma la commemorazione si svolgerebbe nell’assoluto rispetto dei caduti, evitando di trasformarsi in una vetrina per personaggi che nulla hanno a che vedere con il fatto storico. Ma potremmo anche sopprimere il rinfresco finale, nei locali parrocchiali, dove, dopo la cerimonia, si è assistito a una indecorosa caccia alla fetta di prosciutto o al bicchiere di vino. Abbiamo la pretesa, infatti, che il nostro 25 agosto torni a essere un momento di preghiera, di ricordo, di rispetto, evidenziando la ferma volontà di operare per un futuro migliore. Non certamente una sagra di piazza, dove chiunque ritenga di potersi esibire a suo piacimento.
Bruno Antonio Comelli - Torlano di Nimis
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