Completati gli studi tecnici (segretario d’azienda) a Tolmezzo, Ennio era stato assunto dalla impresa Tomat di Pietro Tomat Petolon di Venzone. Di carattere gioviale e collaborativo, si era fatto apprezzare per la partecipazione attiva in molteplici sociali e ricreative paesane.
Venne chiamato alle armi nel gennaio 1938 al distretto di Sacile e arruolato nell’arma aeronautica a Foggia, dove frequentò il corso piloti.
Al termine del servizio militare venne raffermato e destinato all’aeroporto di Foggia, promosso sergente maggiore. Annotava su quelle esperienze: “Durante gli anni dal 1940 all’8 settembre 1943 ne abbiamo passate di cotte e di crude; certe volte salvi per miracolo, che non voglio neppure ricordare; tanti sacrifici con una disfatta così vergognosa”.
All’8 settembre 1943 era a Mostar dove si trovava il suo reparto aereo. Rientrato in aereo a Susak, da qui in auto prima ed a piedi poi raggiunse fortunosamente Venzone per rientrare a lavorare come assistente nella ditta edile Tomat che era stata invitata ad appaltare i lavori dalla organizzazione TODT che aveva i propri uffici a Osoppo.
Entrò a far parte del movimento di liberazione clandestino nel Btg. Prealpi della Divisione Osoppo, il 19 agosto 1944, da soldato semplice, con nome di battaglia Giuro e nel C.L.N. di Venzone. Ebbe diretti contatti con il maggiore scozzese Thomas Macpherson la cui missione aveva sede nella Val Venzonassa.
Riportiamo di seguito, in ordine cronologico, alcune sue memorie:
Gennaio 1945. La strada era ancora coperta di neve ghiacciata. Abitavo vicino alla stazione ferroviaria di Venzone, quando udii nella notte gli echi di una sparatoria proveniente da un treno che stava giungendo alla stazione; qualcuno venne ad avvisarmi che c’era una persona che invocava aiuto dalla scarpata oltre il casello ferroviario dove abitava la zia di Elio Valent (anche lui aveva perso un figlio in Jugoslavia). Raggiungemmo lo sventurato, lo adagiammo su una scala a pioli e lo portammo all’ambulatorio del dott. Giacomo Francescon sistemato in casa Tomat (sull’angolo nord, dove il viale della stazione ferroviaria si immette nella strada nazionale). Era grave. All’alba, appena terminato il coprifuoco, presi una lôge (slitta per il trasporto in montagna) e dopo averlo adagiato e ben coperto, con un operaio della Todt lo portai all’ospedale di Gemona. Ma era troppo grave ed è morto; così venne seppellito nel cimitero di Gemona. Era originario di una località vicino Maniago e si chiamava Enrico Rosabian. Dopo la fine della guerra l’ho fatto esumare dalla fossa per consegnare la salma ai famigliari, i quali mi sono stati tanto grati. Trascorsi pochi giorni, un’altra chiamata di notte per un caso analogo. Preso il coraggio a due mani, sono salito con una lanterna violando il coprifuoco. Benché temessi mi sparassero, raggiunsi il comando tedesco dov’ero conosciuto e mi arrangiavo a quei tempi con la lingua. Si sono bevuti la bugia, cioè che erano stati i cosacchi a sparargli. Così con un camion l’abbiamo portato all’ospedale di Gemona, ma non era tanto grave: la pallottola aveva attraversato il polmone senza ledere organi vitali. Appena guarito, d’accordo con la infermiera dell’ospedale, l’abbiamo fatto scendere da una finestra; poi caricato sul cambron della bicicletta, lo portai a Osoppo per munirlo di documenti Todt.
Marzo 1945. I tedeschi avevano allestito un aeroporto di fortuna nella zona di Rivoli di Osoppo e dato incarico alla nostra impresa Tomat di eseguire delle perforazioni con una trivella del diametro di 20 cm. Allo scopo di renderlo inefficiente in caso di ritirata che oramai ritenevano prossima. Gli operai, fatte le perforazioni, stavano completando il lavoro (di questo lavoro incoscientemente mi sono interessato): erano da riempire le perforazioni con polvere da mina, coprirle con dei tappi speciali e collegare una perforazione all’altra con una miccia. Tutto questo è stato fatto, ma invece di polvere esplosiva, insieme a Gianni Tamburlini i buchi li abbiamo riempiti di segatura.
29 aprile 1945 – mattinata, ore 9.
Verso le ore 9,00 truppe tedesche obbligate dal combattimento a fermarsi ai Rivoli Bianchi, chiesero di trattare con Comandanti Patrioti tramite il Monsignore di Venzone. Un capitano della Luftwaffe venne per questo motivo assieme a Monsignore in paese, pure lui disarmato e promise di non entrare con le sue truppe in paese e di non interessarsi della sorte dei cosacchi se alla sua colonna fosse stato garantito il passaggio. Tutto questo fu accertato dal Patriota COT ([Giacomo Francescon] e GIURO [Ennio Pascoli] in presenza del Monsignore [Faustino Lucardi].
Da parte tedesca nella prima mattinata era stato chiesto l’intervento di un garante e si offrì mons. Faustino Lucardi (1897-1945).
All’ufficiale tedesco che gli venne incontro, nel presentarsi il pievano disse: “Non ho armi con me. Desidero che lei lasci l’arma che porta e noi due precederemo le truppe verso Venzone”. L’ufficiale acconsentì.
“ Il 3 maggio 1945 veniva ucciso mons. Lucardi. Un ufficiale tedesco lo aveva condotto dietro la chiesa e poi gli ha sparato alla schiena. Un particolare appreso subito dopo da una donna che usciva dalla chiesa poco prima dell’eccidio, vide il pievano passare davanti al duomo insieme a me e al dottor Giacomo Francescon e vide lo stesso ufficiale omicida. “In particolare – me lo confermò la donna - vi ha segnalati tutti e tre con il dito”. Avevo imboccato via Stella, camminando spedito verso il mio rifugio che si trovava nell’orto sopraelevato dei Madrassi Melde, dove tenevo nascosto un mitra tedesco avuto in dotazione. Da quella posizione udii i passi e le voci dei due tedeschi con Monsignore che provenivano da via Stella e svoltavano verso via Alberton Del Colle diretti alla porta sud.
Mons. Lucardi camminava davanti seguito da uno dei due ufficiali mentre l’altro si fermava. Dopo alcuni metri l’ufficiale sparava alle spalle al prelato. Ero armato ma non ero preparato all’epilogo tragico. Dalla portone ovest del duomo erano uscite alcune donne che, attraversato il sagrato, si affacciarono sulla stradina gridando alla vista del Monsignore ucciso. Rimasi paralizzato e il mio pensiero volò subito a quanto era accaduto pochi giorni prima [29 aprile] davanti alla porta verso Pioverno. Ero ancora scosso da questa avventura. Oramai per Monsignore non c’era nulla da fare, mentre una reazione sconsiderata da parte mia poteva provocare un eccidio. Ebbi paura di essere scoperto, nascosi il mitra, e con una buona dose di imprudenza cercai rifugio nell’orto delle suore, in posizione sopraelevata a ridosso delle mura occidentali. La notizia dell’uccisione era arrivata anche alle suore e io non feci altro che confermare quanto accaduto. Subito dopo aver ucciso Monsignore, cercavano anche noi due.
Seguì l’uccisione del nonzolo (Pascolo Antonio, 1883-1945). Un tedesco, appostato nelle vicinanze, ha aspettato che rientrasse a casa per abbatterlo con una raffica di mitra dopo avergli intimato inutilmente l’alt.
Dopo la liberazione di Venzone, i tedeschi in ritirata cercavano di portare in Germania cavalli, mercanzia, veicoli ecc. Allora noi requisivamo tutto quello che si poteva. Avevamo raccolto una quantità di cavalli in un recinto vicino ai casali Cracogna, sulla strada che andava dai Lìs. Questi cavalli, un po’ alla volta, venivano caricati su autotreni sistemati in modo da poterli trasportare verso la Bassa Friulana e barattarli con granoturco, frumento e altre cose. Per la lavorazione del mais e frumento, avevamo organizzato il mulino a Sottomonte dove si macinava la farina di frumento per fare il pane e quella di mais da distribuire alle famiglie per cuocere la polenta. Ricevevo poi anche soldi che adoperavo per fornire sussidi alla popolazione bisognosa. Per evitare critiche, rilasciavo tre ricevute: una alla persona che riceveva l’aiuto, una rimaneva all’archivio ed infine una terza rimaneva a me..
Terminata la guerra, riprese a lavorare con la ditta edile Tomat che, il 20 luglio 1945 spostò la sua sede a Udine.
Nel gennaio 1948, la impresa Tomat da Udine si trasferì in Venezuela. Anche Ennio di lì a poco si trasferì oltreoceano per lavoro. Raccontava: “ Sono partito dal porto di Genova con una nave da trasporto, dopo un viaggio di peripezie, sono arrivato al porto venezuelano della Guaira, dopo oltre un mese, il giorno 17 febbraio (venerdì) del 1948. Da quel momento sono cominciati i sacrifici, privazioni ed umiliazioni. Ad ogni modo tutto sopportato con spirito di adattamento in quanto ero partito con il proposito di fare qualcosa per migliorare la situazione economica, avendo lasciato la mia patria e il nostro bel Friuli distrutto dalla guerra e con miseria di “spacâ cui conis”.
Dopo due anni sono riuscito a racimolare il necessario [costruendo l’hotel con piscina nella zona di Carora , stato del Lara e poi un altro su un valico andino a quattro mila metri s.l.m., confinante con la Columbia] per rientrare in Friuli a sposarmi e a portarmi dietro mia moglie [ il 9 luglio 1950 sposa Maria Bassi di Reana del Roiale], e siamo arrivati in una zona denominata “La Pastora” a 600 chilometri dalla capitale del Venezuela: Caracas, ad occidente del paese.
Rientrò in Friuli nel 1982 e si stabilì a Udine, diventando amministratore delegato dello Stabilimento Ortopedico Variolo.
Nel 1992, dal Ministro del Lavoro venezuelano è stato insignito della massima onorificenza al merito del lavoro: la Croce al Merito del Lavoro di Prima Classe, mentre il Sindaco di Carora gli ha conferito la cittadinanza onoraria.
Nell’agosto 1999, è ritornato ancora in Venezuela, dove gli è stato intitolato un villaggio che porta il nome di “don” Ennio Pascoli.
Cesare Marzona, Ezio Bruno Londero ed Ennio Pascoli |
E' morto improvvisamente a Udine, nella sua abitazione in via Fiducio, 13 – nelle prime ore di domenica 11 marzo 2012.
Il suo funerale è stato celebrato mercoledì 14 marzo, alle ore 15,30 presso la chiesa parrocchiale di S. Marco partendo dal cimitero urbano di San Vito a Udine.
Ha lasciato un memoriale della sua vita, depositato nella Biblioteca Comunale di Venzone.
(A cura di Pietro Bellina, segretario dell'Associazione “Amici di Venzone")
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