Album di guerra

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I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona
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lunedì 11 aprile 2016

"Percorsi della memoria" recensito da "Patria Indipendente"

La storica rivista dell'Anpi nazionale "Patria Indipendente", nella sua versione online ha pubblicato, a firma di Natalia Marino, una ampia recensione del volume "Percorsi della memoria" edito dalle sezioni Anpi di Gemona-Venzone  e Trasaghis-Bordano.

Percorsi della Memoria tra Gemona del Friuli, Trasaghis e Venzone

Un volume curato da Pieri Stefanutti. La morte di dieci partigiani e otto civili a Gemona, l’occupazione cosacca, la strage di Avasinis di Trasaghis, l’eccidio dei nazisti in ritirata con 51 vittime, l’omicidio di monsignor Faustino Lucardi, parroco di Venzone

Percorsi della memoria_copertina 2Fissare la memoria, ricordare fatti, luoghi, volti, omaggiare il passato per prenderne esempio o capirlo di più. Nel territorio di Udine è stato il lavoro portato avanti delle sezioni ANPI Gemona-Venzone e ANPI “Val del Lago” di Trasaghis e Bordano, ora racchiuso in un volume. Realizzato per il 70° col sostegno delle Amministrazioni comunali e curato dallo storico Pieri Stefanutti, Percorsi della Memoria tra Gemona del Friuli, Trasaghis e Venzone propone un itinerario didattico e al contempo un pellegrinaggio, laico, attraverso borghi dal rilevante patrimonio artistico e culturale e una natura spettacolare con pianure, fiumi e laghi, colline e montagne fino alle pendici delle Prealpi Giulie.
Come indica il sottotitolo,Monumenti, cippi, lapidi, testimonianze materiali capaci di far ricordare le vicende della Lotta di Liberazionericostruisce gli eventi e racconta i protagonisti della Resistenza nel gemonese illustrando le numerose opere commemorative collocate proprio dove accaddero gli scontri a fuoco con gli occupanti, le rappresaglie, i rastrellamenti, le fucilazioni, le uccisioni per strangolamento, gli eccidi. Stele, targhe, sculture in memoria, quadri e mosaici sono stati censiti e fotografati, offrendo anche la descrizione dei monumenti distrutti dal terremoto del 1976. Tutti, dunque, salvati dall’oblio.
Le cento pagine della pubblicazione, corredate da immagini a colori, dalla memorialistica partigiana e da nuove testimonianze acquisite possono divenire così per studenti, cittadini e turisti un’istruttiva, agile e utile guida per tracciare le tappe di un viaggio in un museo diffuso sulle orme della guerra di Liberazione nell’Alto Friuli. Chi volesse approfondire o avere ulteriori informazioni sul volume o sull’itinerario può contattare l’ANPI locale alla e-mail: anpigemona_venzone@hotmail.it
Venzone, lapide mons. Lucardi (archivio Anpi Udine)La ricerca di Pieri Stefanutti ha il pregio di aver fatto emergere episodi finora poco conosciuti accanto a quelli già noti: la morte di dieci partigiani e otto civili a Gemona, i sette mesi dell’occupazione cosacca, la strage di Avasinis di Trasaghis, il più grave eccidio dei nazisti in ritirata con 51 vittime il 2 maggio ’45, l’omicidio di monsignor Faustino Lucardi, parroco di Venzone.

La maggior parte delle opere commemorative è state eretta lungo le strade, nei boschi e sulle montagne del territorio tra Gemona, Trasaghis e Venzone, tuttavia alcune sono collocate in strutture architettoniche tradizionalmente mèta dei turisti. Per esempio, sotto la Loggia del Municipio è posta una targa in memoria di quanti lottarono e caddero per la libertà, con incisa la scritta attribuita al poeta Tosco Nonini. 
bierti fucilazione_rNel Museo Civico, a Palazzo Elti, è possibile ammirare il dipinto Fucilazione di via Spalato, realizzato nel 1959 da Francesco Bierti. La “Guernica friulana” e i bozzetti introduttivi conservati nell’esposizione  permanente sono ispirati a quanto accaduto nella caserma di Udine il 9 aprile ’45. Uno dei 29 martiri è il partigiano gemonese Leandro Nonini “Colombo”, già operaio della Todt, l’impresa di costruzioni della Germania nazista dove gran parte del lavoro più pesante era realizzato dai prigionieri di guerra.
Il volume realizzato dalle ANPI propone dettagliati ritratti, spesso inediti, dei 31 Caduti partigiani del territorio, tra i quali “Mazzini”, “Oslo”, “Olivo” “Nero” a Gemona, “Pettirosso” a Tenzone; i “ruolini” di molti combattenti; le notizie sulla cattura e le circostanze della morte di alcuni patrioti, tra i quali la famiglia Celetto Osser (ricordata anche grazie al lavoro di Lino Argenton sui medici durante la Resistenza); a volte anche la difficoltà del recupero dei corpi e i tributi della popolazione in occasione dei funerali nel dopoguerra. 
Come documenta il volume di Stefanutti, responsabile del Centro di Documentazione sul Territorio e la cultura locale Alesso di Trasaghis, un ruolo determinante nella storia del gemonese occupato ebbero anche i gesti di solidarietà e soccorso di tutta la popolazione a partigiani e deportati. In particolare donne e ferrovieri della ex Ferrovia Pontebbana, considerata dai nazisti via strategica di collegamento tra l’Adriatisches Küstenland e l’Austria. 
Tra il 1943 e il 1945 sia la strada statale sia i binari ferrati dove transitavano i convogli blindati destinati ai lager furono teatro dei sabotaggi delle formazioni garibaldine e osovane, come di grandi e rischiose azioni di salvataggio dei prigionieri catturati durante i rastrellamenti. Le donne della Carnia informavano i parenti e portavano generi alimentari ai deportati. Le più giovani e avvenenti cercavano di distrarre i soldati della Wehrmacht, mentre i ferrovieri del Casello 39 “davano la libertà ad alcuni facendo indossare loro un berretto, una giacca da ferroviere o una semplice bandiera rossa da manovra, mimetizzandoli”, come ha scritto Luciano Simonitto in uno dei suoi libri, di cui ampi stralci sono riportati in Percorsi della Memoria.
Il disegno che i compagni nel lager dedicarono al capostazione BardelliTra i lavoratori delle ferrovie ricordati, citiamo il capostazione radiotelegrafista di Carnia, Angelo Bardelli, arrestato e deportato ad Auschwitz quando, durante l’esperienza della Zona Libera, si intensificò il controllo nazista. I compagni del lager, conosciuta la sua storia, realizzarono un disegno che lo raffigurava. La sorte fu poi benevola con Bardelli: riuscì a salvarsi e a ritornare a casa. Nel volume si ricorda la proposta alle Ferrovie dello Stato di collocare il quadro-documento nella casa cantoniera del Casello 39. La proposta non venne accettata e così si è optato per una targa, scoperta nel luglio 2015.
La pubblicazione è completata da una bibliografia essenziale: libri, fonti archivistiche e audiovisive, siti internet e da una documentazione integrativa.


domenica 10 maggio 2015

A maggio ancora si moriva.... La fine della guerra in Friuli

Ormai chiuse le commemorazioni per il 70° anniversario della fine della guerra e della Lotta di Liberazione, non è inutile riproporre un quadro sintetico di quel che è accaduto in Friuli tra la fine di aprile e l'inizio di maggio del 1945, dato che gli ultimi protagonisti di quelle giornate se ne stanno inesorabilmente andando e molto spesso non si ha il tempo o la voglia di ricorrere alla pur ricca  documentazione bibliografica esistente.

Una settimana esaltante e terribile, l’ultimo colpo di coda della guerra

Dall’annuncio dell’insurrezione fino ai primi di maggio si combattè e si morì.L’arrivo dei partigiani, le trattative, la fuga dei tedeschi, l’ingresso degli alleati
Nel corso della storia Udine e il Friuli hanno sempre scontato una certa marginalità: anche il 25 aprile 1945, data simbolo della Liberazione in Italia, è arrivato il... 1 maggio. In quei giorni e negli altri seguenti anche le zone periferiche, sopratutto montane, hanno avuto ulteriori scossoni. Oggi vogliamo raccontare tutto quello che è successo – settant’anni fa – in una settimana o poco più.
Il 25 e il 26 arrivano notizie dell’insurrezione di Milano e dell’avanzata nella pianura padana dell’Ottava armata britannica destinata, cinque giorni dopo, a raggiungere Udine. Dal Cln era arrivato l’ordine di costituire il comando unico tra Garibaldini e Osovani, ma questo fu possibile soltanto in extremis, dati i contrasti tra le parti, aggravatisi dopo la strage di Porzûs (7 febbraio). Un duro colpo per la Resistenza era stato inoltre la feroce rappresaglia nazista del 9 aprile (29 partigiani fucilati in via Spalato, tra cui il comandante Modotti).
I tedeschi avevano concentrato a Udine tutti i comandi. Il presidio occupava la zona di piazzale Osoppo-Chiavris, trincerato e munito di cannoncini anticarro (dietro la Birreria Moretti c’era l’abitazione del comandante della piazza, colonnello Voigt), mentre in Giardin Grande la sede di palazzo Cantore era protetta dai reticolati, assieme a quella della polizia segreta, nella vicina via Cairoli. Il centro motore dell’attività partigiana, poi anche sede del comando unificato, era a San Domenico, nella canonica di don De Roja, il coraggioso prete che ebbe un ruolo molto importante in quelle giornate di 70 anni fa.
Ma ecco la cronaca degli ultimi sette giorni , ricchi di vicende esaltanti e tragiche desunte da relazioni e ricostruzioni forniteci dagli archivi dell’Anpi e da memorie di protagonisti e testimoni. Il 27 aprile si decide il comando unificato tra Garibaldini e Osovani. I vertici della Garibaldi Udine si insediano in via Villa Glori 43 e mobilitano le varie brigate in punti strategici: Pradamano, Santa Margherita, Codroipo, Pozzuolo, mentre la brigata Udine è destinata alla città. Il 28 aprile si susseguono le azioni di disturbo alle colonne di tedeschi e cosacchi che si apprestano a lasciare il Friuli dirigendosi verso nord. In via Volturno un reparto al comando di Emilio Biasiol riesce a far prigionieri 14 tedeschi. Ma poi sopraggiungono alcune centinaia di SS impegnate in un rastrellamento: muoiono due civili. Nella Bassa gli Osovani liberano Palazzolo, mentre gli uomini del battaglione Partidor della quarta divisione, con un audace colpo di mano, conquistano Cordovado.
Domenica 29 aprile s’intensifica l’attività delle pattuglie partigiane. In via Martignacco 26 viene istituito il Centro raccolta armi. Nella stessa strada sono catturati due carri armati tedeschi. Il 30 aprile viene impartito l’ordine di insurrezione («ma le varie formazioni hanno preso l’iniziativa senza aspettare disposizioni dal Comando generale» annota Vanni Padoan in “Un’epopea partigiana alla frontiera fra due mondi”). Alle prime luci dell’alba scatta l’avanzata verso la città, mentre i tedeschi stanno lasciando uffici, caserme, postazioni. A Pozzuolo i reparti della contraerea minacciano di distruggere il paese a cannonate. La brigata Udine riesce a occupare piazzale 26 Luglio e la zona verso la stazione ferroviaria. E i magazzini più importanti: il Frigorifero di via Sabbadini, i depositi Agip di via Catania e Shell di via Marsala. Occupata anche la stazione radio di viale Venezia che i tedeschi stavano per far saltare.
Il 30 aprile registra gravi episodi in comune di Tavagnacco, ricordati da Giannino Angeli con “Viva l’Italia libera!” Il battaglione Italia - Renato Del Din si scontra a Colugna con 300 SS. I tedeschi, in ritirata, per rappresaglia uccidono 19 persone nella zona tra Feletto e Adegliacco. È soltanto il primo di una serie di eccidi che insanguineranno gli ultimissimi giorni di guerra.
Si combatte e si muore, ma anche si tratta. Sabato 28 aprile, verso mezzogiorno il colonnello Voigt, comandante di piazza convoca il professor Gino Pieri, primario dell’ospedale e importante esponente dell’antifascismo friulano per intavolare, suo tramite, trattative con il Cln per la capitolazione tedesca a Udine. Sentito Voigt, Pieri ascolta i capi del Cln e riferisce la risposta, battuta a macchina da Agostino Candolini: «Non possiamo accettare se non la resa incondizionata!».
Ha miglior esito – due giorni dopo – la mediazione in extremis di don Emilio De Roja, che (come racconta don Cargnelutti nel libro “Preti patrioti”) quale rappresentante dell’arcivescovo Nogara e della Garibaldi-Osoppo si è incontrato col colonnello Voigt per uno scambio di prigionieri. Ed è riuscito a indurre i tedeschi – che avevano minato l’acquedotto e altri impianti – e lasciare Udine senza fare danni. E li ha anche convinti a consegnargli le chiavi del carcere di via Spalato.
Nella notte gli ultimi reparti nazisti lasciano Udine, ma ore drammatiche si stanno ancora vivendo alla periferia. A San Gottardo ci sono i tedeschi, con i cannoni puntati. Verso mezzanotte – come ha annotato il parroco del Sacro Cuore, don primo Palla – le cannonate si fanno sentire per una ventina di minuti. All’alba i partigiani attaccano i tedeschi, alcuni dei quali si rifugiano nel campanile, dove si sono nascosti donne e bambini. I tedeschi rispondono al fuoco dalla torre, mentre aerei inglesi ripassano a mitragliare. Un inferno che dura l’intera mattinata: tutti salvi, per fortuna, i civili.
Nel corso della notte ci sono altri passaggi di tedeschi, mentre le brigate partigiane continuano la penetrazione in centro. Alle 6 gruppi di “fazzoletti verdi” invadono piazza Libertà e l’osovano Castenetto espone il tricolore in castello. Mezz’ora dopo Saccomani e Rosso del comando di divisione fanno lo stesso con la bandiera rossa della Garibaldi. Alle 7.30 tutti gli obiettivi sono stati raggiunti e Udine, dopo venti mesi di occupazione nazista, è completamente libera.
Nella mattinata del 1° maggio in municipio si riunisce il Cln che designa il socialita Giovanni Cosattini sindaco di Udine, il dc Agostino Candolini prefetto e il comunista Lino Zocchi questore. La piazza si affolla e quando Cosattini si affaccia al balcone, è gremita all’inverosimile. Parlano anche Umberto Zanfagnini e il comandante Emilio Grossi. Nel primo pomeriggio,verso le 15.30, arrivano gli alleati, accolti da fiori e applausi. I carri armati inglesi percorrono viale Venezia e sostano con la gente nelle vie del centro, immortalati dal fotografo-patriota Carlo Pignat.
Il primo maggio anche Cividale è liberata dagli osovani di Aldo Specogna e di Tarcisio Petracco ai quali danno manforte contro gli ultimi tedeschi gli alpini del reggimento Tagliamento arresisi ai fazzoletti verdi. Ma il giorno dopo c’è la calata degli slavi e la gente, impaurita, si chiude nelle case. Per fortuna il 3 maggio arrivano le forze canadesi e la tensione diminuisce.
Il 2 maggio Udine cambia giornale: esce il primo numero di “Libertà”, quotidiano del Cln, che prende il posto (nello stesso stabilimento di via Carducci) del Popolo del Friuli, l’organo del defunto regime. Era uscito per l’ultima volta il 28 aprile con in prima pagina un appello firmato dal questore Bruni, dal federale Cabai e dal podestà di Caporiacco dal titolo sintomatico “Invito alla calma”, in pratica un “si salvi chi può!”. Quanto a “Libertà”, diretto da Felice Feruglio, avrà vita breve: fino all’8 luglio 1947 (e nello stesso stabilimento di via Carducci resterà solo il Messaggero Veneto, che aveva cominciato le pubblicazioni il 24 maggio 1946 insieme col quotidiano del Cln).
Torniamo al 2 maggio 1945, la guerra non è finita: tedeschi e cosacchi occupano ancora la Carnia e il Tarvisiano. A Ovaro i cosacchi stanno per lasciare la zona. Come ricorda Giancarlo Chiussi, allora capo di S.M. della quinta divisione Osoppo, il maggiore cosacco Nauziko lancia una bomba a mano contro i rappresentanti della Garibaldi e della Osoppo che gli chiedono la resa. Scoppia la battaglia. Molti cosacchi si arrendono mentre una sessantina di irriducibili si barrica in una casa di Chialina. I partigiani piazzano casse di bombe sotto l’edificio.
Alle 5 del 2 maggio lo scoppio: una ventina i morti. Altri resistono ancora nella scuola di Ovaro che viene incendiata dai partigiani. Ma arriva da Muina un’altra colonna di cosacchi e la battaglia si estende. Vengono uccisi anche 23 civili, tra cui il parroco don Cortiula.
I nazisti in ritirata fanno un’altra strage ad Avasinis: 51 le vittime, tra cui 8 bambini. Il paese era stato occupato dai cosacchi, che il 29 aprile se n’erano andati e, senza spargimento di sangue, i partigiani avevano preso possesso della zona. Ma il 2 maggio duecento soldati delle SS sono piombati ad Avasinis vincendo la resistenza dei partigiani e massacrando gli abitanti. Ultime rappresaglie anche a Venzone, Cavazzo e in altre località. Ancora giorni amari a Tolmezzo: il 3 maggio tra il Cln e i cosacchi è raggiunto un accordo per lo sgombero, ma i tedeschi non cedono: se ne vanno solo il 6. E il 10 maggio si ritirano anche dal Tarvisiano.

mercoledì 14 maggio 2014

Ricordo del comandante Daniel, a 70 anni dalla morte in combattimento

Tra sabato e domenica prossima verrà ricordata la figura del "comandante Daniel", l'ufficiale russo caduto combattendo nelle fila della Resistenza friulana, alla testa del Btg. "Stalin", contro l'offensiva nazista.  Daniel e il suo Btg. operarono a lungo anche nella Valle del Lago (per un approfondimento di quelle vicende vedi http://cjalcor.blogspot.it/2012/03/letture-valdelaghine-quei-partigiani.html  e http://gemonese4445.blogspot.it/2012/03/i-partigiani-russi-del-btg-stalin-sulle.html ). 




PROGRAMMA DELLE MANIFESTAZIONI

Sabato 17 Maggio
ore 20.30 Auditorium Comunale di Casiacco 
(Vito d’Asio)

In omaggio alla memoria di Danijl Avdeev
il Prof. Alberto Buvoli presenterà la monografia
“Comandante Daniel, un ufficiale russo
nella Resistenza friulana”

Nel corso dell’evento sarà proiettato
il film di Marco Rossitti
“Carnia 1944, un’estate di libertà”

Domenica 18 maggio: 

Ore 15.15 - Clauzetto (Pn)
Raduno sul sagrato della Chiesa di San Giacomo,
adiacente alla tomba di Danijl Avdeev

Ore 15.30
Inizio della cerimonia
coordinata dal Dr. Jurij Cozianin
(Associazione Partigiani Osoppo - Friuli)

• Onori militari a Danijl Avdeev, in presenza del
Picchetto d’onore e della Fanfara della Brigata
Alpina“Julia”

• Deposizione delle corone d’alloro da parte delle
Autorità e delle Associazioni Partigiane

• Omaggio della comunità russa residente in Friuli,
con piantumazione di una betulla commemorativa

• Saluto del Sindaco di Clauzetto
Flavio Del Missier

• Intervento del Rappresentante delle Autorità
Diplomatiche della Federazione Russa in Italia

• Intervento del Presidente della Regione
Debora Serracchiani

• Orazione ufficiale del Prof. Giuseppe Mariuz
(Presidente A.N.P.I. Provinciale di Pordenone

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Motivazione ufficiale
del conferimento a Danijl Avdeev (1917-1944)
della “Medaglia d’Oro al Valor Militare”
“alla memoria”

“Ufficiale della cavalleria sovietica, si sottraeva 
alla deportazione nazista ed attraverso la 
Svizzera, guidando un gruppo di connazionali, 
dopo dura ed arditissima marcia, giungeva nelle 
Prealpi Carniche in Friuli. Qui riuniva in un 
reparto unico tutti i cittadini sovietici sfuggiti alla 
prigionia nazista e si metteva agli ordini del 
Comando Garibaldi del Friuli, operando con 
coraggio e sagacia contro il comune nemico. 
Nel Novembre del 1944, durante la violenta 
offensiva nazista lungo le valli dell’Alto 
Tagliamento e dell’Arzino, Danijl Varfolomeevič 
Avdeev, con alcuni partigiani, nel tentativo di far 
saltare la strada da dove irrompeva il nemico, 
venne sopraffatto da ingenti forze naziste e dopo 
strenua ed eroica difesa che permetteva lo 
sganciamento dei partigiani italiani, cadde in un 
sublime atto di eroismo donando la sua giovane 
vita alla causa della Liberazione d’Italia.” 


giovedì 24 gennaio 2013

Giorno della memoria .... anche per ricordare l'annessione al Reich del Litorale Adriatico

A ridosso del "Giorno della memoria", una delle iniziative culturali maggiormente significative è data dall'apertura della Mostra "LITORALE ADRIATICO: 
PROGETTO ANNESSIONE" 
Propaganda e cultura 
per il Nuovo Ordine Europeo 1943 – 1945 
a cura di Enzo Collotti e Paolo Ferrari

aperta a Udine, nella GALLERIA FOTOGRAFICA TINA MODOTTI, dal 23 gennaio al 3 marzo 2013

La propaganda nazista investì con tutta la sua violenza la Zona di Operazione Litorale Adriatico, di cui faceva parte il Friuli Venezia Giulia, al fine di convincere la popolazione ad appoggiare la guerra e l’annessione alla Grande Germania. A tale scopo la propaganda sottolineò i legami con il mondo tedesco, svalutando quelli con il resto dell’Italia ed enfatizzando strumentalmente
l’identità e le tradizioni locali.
Questi temi sono affrontati a partire da una straordinaria documentazione fotografica relativa alla mostra “Bolscevismo senza maschera”, allestita nel centro di Udine nell’estate del 1944. Fotografie, libri, pubblicazioni, documenti e manifesti originali contribuiscono a delineare uno sforzo propagandistico sviluppato con determinazione fino alla fine del conflitto.

Aperto venerdì 15.00 – 18.00 / Sabato e domenica 10.30 – 12.30 15.00 – 18.00
Info e prenotazioni: 0432 414719/42 www.udinecultura.it



Chi si occupa della storia della Valle del Lago ricorderà anche che sulla rivista "Adria Illustrierte" era finito anche il paese di Alesso, ritratto in copertina durante l'inizio dell'occupazione cosacca, i primi giorni di ottobre 1944 ....


domenica 10 luglio 2011

Sul "Gazzettino" le "storie di cosacchi" di Leonardo Zanier

Il  "Gazzettino" del 10 luglio dedica le due pagine della rubrica "Frontiere" al libro di Leonardo Zanier Carnia/Kosakenland/Kazackaja Zemlja, la riedizione del libro uscito nel 1995, arricchito da una postfazione di Mario Rigoni Stern. Nella presentazione si sottolinea come "scritto in friulano carnico e italiano, il libro non ha smarrito nulla della sua originaria energia storica e narrativa"; vengono poi proposte alcune pagine introduttive scritte da Zanier nel volume. Tra la documentazione fotografica del libro, il Gazzettino ha selezionato alcune immagini  tra le quali quelle dei cosacchi in posa "tal curtîl da Gjata"  a Cavazzo nel 1945 e quelle della visita della delegazione cosacca nella chiesa di Alesso nel mese di giugno dell'anno scorso.

venerdì 13 maggio 2011

Una ricerca sul ruolo della stampa durante il Litorale Adriatico

Il volume del 2010 di "Gnovis pagjinis furlanis" presenta anche un articolo  che può interessare quanti seguono la ricostruzione delle vicende della seconda guerra mondiale in Friuli. Si tratta di un  saggio di Pieri Stefanutti intitolato  "Il Friûl e i fats furlans inte stampe dal Adriatisches Küstenland" che  approfondisce il ruolo della stampa negli anni bui dell'occupazione nazista.  Il lavoro, che riprende e sviluppa  il precedente "La svastica, il gladio e il fogolâr", pubblicato sul n. 2/2004 della rivista della Filologica "Ce fastu?",  analizza in particolare lo stile ed i contenuti del  quotidiano "Il popolo del Friuli" e del periodico "La voce di Furlanìa", sottolineandone il carattere propagandista le evidenti censure nei confronti del movimento partigiano e dell'occupazione cosacca.
Il testo in friulano (la traduzione dell'originale è stata curata da Remo Brunetti)  contribuisce alla discussione in atto sulla possibilità di utilizzare il friulano anche in argomentazioni di stampo oggettivo e scientifico.
L'articolo è stato così recensito dalla rivista "Ladins dal Friûl" dell'aprile 2011:
"tal contribût storic "Il Friûl e i fats furlans inte stampe dal Adriatisches Küstenland", Pieri Stefanutti nus conte ce che al sucedè in Furlanie daspò dai 8 di Setembar 1943 cuant la nestre tiere e fo ocupade dai todescs. In fats il Friûl al vignì distacât de Italie e cjapât dentri inte realtât aministrative dal cussì clamât "Adriatisches Künstenland", che al jere in pratiche un protetorât che al dipendeve diretementri dal Reich nazist. Di achì a partirin ciertis iniziativis, come la publicazion dal sfuei "La Voce di Furlania", par prudelâ une propagande che e veve il fin di distalianâ la etnie furlane".

venerdì 15 aprile 2011

Per una bibliografia sulle vicende della guerra nel Gemonese

Riproponiamo alcuni post pubblicati tra maggio e agosto 2008 sul sito http://blog.ialweb.it/gemonese45 (prima che essi non siano più  visualizzabili) per fornire delle schede bibliografiche  relative a libri che si sono occupate delle vicende della guerra nel territorio del Gemonese. Le indicazioni bibliografiche conservano un discreto valore indicando le caratteristiche di testi utili alla ricostruzione delle vicende.


LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /9/ “Pagine di vita vissuta”

Andrea Mattiussi, “Pagine di vita vissuta. Diario della vita partigiana del patriota «Rosa»”,  edizione f.c. a cura di Donatella Mattiussi, pp 48


Donatella Mattiussi ha dato alle stampe un libricino col diario della vita partigiana del padre Andrea  (+ 1990).  Il diario racconta un’esperienza personale, ma anche consente di fare il quadro di tanti fatti delle vicende gemonesi; può essere ora letto, in parallelo, con il diario di Ezio Bruno Londero,  con cui si integra efficacemente.
Dall’introduzione del prof. Dino Barattin, le caratteristiche dell’opera:
Le Pagine di vita vissuta di Andrea Antonio Mattiussi sono il diario di un giovane partigiano, appartenente alle formazioni dell'Osoppo, in cui sono riportati i fatti più salienti, le impressioni personali maturate tra l'estate del '44 e la primavera del '45 durante i mesi della guerra di liberazione.
"Rosa", questo il nome di battaglia di Mattiussi, sicuramente non avrebbe immaginato che quelle sue frammentarie annotazioni potesse­ro un giorno diventare un libro, ma se furono redatte è perché il giova­ne patriota, allora diciannovenne, era consapevole di vivere un momento drammatico e allo stesso tempo esaltante della propria vita e di quello dell'intero paese.
Pur nella loro essenzialità e semplicità ci possono dire molte cose su quel difficile periodo: la loro autenticità sta nell'essere state scritte a caldo, contemporaneamente allo svolgersi dei fatti, e non una rielabo­razione fatta a posteriori.
Il testo qui pubblicato oltre ad avere per i familiari un valore affettivo, può essere letto quindi come un documento storico di un certo interesse per comprendere lo spirito e  gli ideali che spinsero molti giovani cat­tolici friulani ad aderire al movimento resistenziale: « II destino chiama me ed altri giovani di Azione Cattolica - scrive Mattiussi il 6 agosto 1 944 - a dimostrare che non siamo estranei ai problemi che stanno affliggendo il nostro paese, ma che saremo dei buoni combattenti». Le Pagine, come si è detto, sono caratterizzate dalla semplicità e dalla immediatezza, ma proprio perché descrivono i momenti della vita quo­tidiana raccontano una Resistenza priva di retorica, in cui i sacrifici, le paure, le difficoltà nell'approvvigionamento alimentare, gli estenuanti turni di guardia, le azioni fanno parte di una grande vicenda collettiva che gli storici, privilegiando gli aspetti politici e militari, non hanno ancora compiutamente analizzato.
II valore documentario dello scritto acquista maggiore consistenza nel confronto con altre memorie dell'epoca, offrendo l'opportunità di cono­scere, per quanti non hanno vissuto quegli avvenimenti, la storia di una generazione che ha sofferto più di tutte l'esperienza bellica, ma che è stata protagonista del riscatto nazionale e della ricostruzione fisica e morale dell'Italia intera. Gli elementi portanti su cui si  è fondata la partecipazione di molti giovani cattolici alla lotta al nazi-fascismo sono il senso del dovere verso la Patria  e l'attaccamento ai valori della Chiesa e, nelle annotazioni diaristiche di Mattiussi, tali valori sono costantemente richiamati. L'attaccamento di Mattiussi all'Azione Cattolica è significativo di come il fascismo non fosse riuscito a conquistare completamente le genera­zioni cresciute ed educate sotto l'egida del totalitarismo: un attento stu­dio sulle convinzioni morali degli uomini della Resistenza non può pre­scindere da documenti come questo.
La prima parte del diario riguarda le modalità dell'arruolamento nelle file delle formazioni cattoliche, in cui svolsero un ruolo determinante alcuni sacerdoti operanti nel gemonese, le prime azioni di sabotaggio, gli scontri con il nemico durante i rastrellamenti e si conclude con l'av­vicinarsi dell'inverno del '44. La seconda descrive alcuni episodi del febbraio del '45, a cui seguono i drammatici ultimi mesi d'occupazio­ne tedesca e cosacco conclusasi il 28 aprile con la liberazione di Gemono per opera dei partigiani e con l'arrivo il 2 maggio degli alleati. I primi giorni del dopoguerra sono quelli dell'euforia ma anche della presa di coscienza delle enormi distruzioni che il conflitto aveva causato.
E' una lettura che non si esaurisce in se stessa, ma può stimolare i gio­vani allo studio e all'approfondimento di quegli avvenimenti che stan­no ancora alla base della nostra democrazia”.
Il libretto è arricchito anche dalla presenza, in appendice, del Diario Storico del Btg. Prealpi, dello Statuto e dell’elenco delle principali azioni eseguite dalla formazione partigiana.

• 1/8/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /8/ “ I cosacs in Friûl”

Pieri Piçul (Pietro Londero), “ I cosacs in Friûl”,  Comun di Glemone, 1999, pp 98


Nel 1999 il Comune di Gemona ha opportunamente pubblicato in volume una serie di articoli che Pieri Piçul (mons. Pietro Londero, 1913-1986) aveva presentato sul periodico “Int Furlane”  tra il 1969 ed il 1971, arricchendoli di materiale documentario e fotografico relativo all’esperienza dei cosacchi in Friuli.
Il testo è espressamente definito dall’autore “ricuarz personai”, non ha quindi la pretesa di offrire un quadro storico completo e definitivo. I ricordi di Pieri Piçul fanno comunque luce su tanti aspetti della storia del Gemonese fra il 1944 ed il 1945, alternandosi la spicciola rievocazione dell’esperienza personale con pagine di più ampio respiro, dove vengono descritte situazioni e contesti anche con dovizia di particolari, sulla luce di informazioni assunte anche da altri testimoni diretti nell’immediato dopoguerra. Molto preziose risultano quindi, per quanti si occupano di questi periodi, le pagine  relative all’arrivo dei cosacchi, al conseguente insediamento, all’attività dell’organizzazione Todt, ai giorni duri della ritirata. Il testo, come tutto il friulano di Pieri Piçul, è assai ricercato ed espressivo.
Il libro, la cui edizione è stata coordinata da Toni Costantini, si avvale anche di un interessante corredo iconografico (con immagini di Alfredo Cargnelutti, Eleonora Nonini, Luciano Boezio, Ercole Casolo, Grazia Renier, Giovanni Serravalli e Carlo Venturini). 

• 5/7/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE / 7 / "Novocerkassk e dintorni "


Pieri Stefanutti, Novocerkassk e dintorni. L'occupazione cosacca della Valle del Lago (ottobre 1944 - aprile 1945), Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1995, pp. 222


"Questo splendido libro di Pieri Stefanutti è stato pubblicato nel 1995 ma conserva tuttora la novità e il fascino di una storia incredibile e quasi da tutti ancora ignorata: quella della occupazione cosacco-caucasica della Carnia nel 1944-45. Ritengo che questo lavoro rappresenti l’opera locale più documentata e completa sull’argomento, anche se la ricerca effettuata è limitata ai soli tre Comuni di Cavazzo, Trasaghis e Bordano.
Il libro parte da una premessa di ordine storico che inquadra esattamente il periodo che si va a raccontare, delineando il contesto locale e regionale di riferimento; si affronta poi il problema cosacco, con i suoi risvolti (rapporti col nazismo tedesco e con il comunismo sovietico) che peseranno e condizioneranno l’esito finale di questa operazione e di questo Popolo.
Vengono poi tratteggiate l’opera e le azioni dei partigiani, contro i quali era stata appunto predisposta dal feldmaresciallo Kesserling in persona l’ operazione "Waldlaüfer", vera e propria offensiva nazista-cosacca contro le brigate partigiane. Lo scontro tra partigiani e cosacchi è immediato ma le forze che si fronteggiano sono impari: i partigiani sono costretti alla ritirata ed alla diaspora sui monti, per tutta la durata dell’autunno e dell’invero, mentre i paesi di Carnia vengono occupati manu militari dalle truppe cosacco-caucasiche e georgiane, spalleggiate dalla truppe tedesche e dalle residue milizie fasciste locali.
Il racconto si snoda poi attraverso la descrizione della quotidianità che si vive fianco a fianco con le truppe occupanti; perfino i nomi dei paesi vengono russificati: Cavazzo Carnico verrà ribattezzato Jekaterinodar, Alesso diventa Novocerkassk mentre Trasaghis si tramuta in Novorossisk.
Queste però sono solo mutazioni superficiali ed epidermiche perché i carnici conservano inalterati le proprie tradizioni, i propri atteggiamenti, il proprio carattere anche se costretti a dividere TUTTO con i nuovi venuti: dalla casa alla stalla, dai campi ai prati ai pascoli, dagli animali alle derrate alimentari…
Le caratteristiche della occupazione cosacca, il ruolo della Resistenza, il dramma delle popolazioni inermi, la tragedia finale costituiscono le tematiche dominanti dell’opera, che va a collocarsi accanto ad altre opere in tema, che anche nella nostra Biblioteca sono ormai presenti in numero rilevante.
L’iconografia merita una segnalazione speciale: foto inedite rendono maggiormente pregevole questo lavoro preciso, approfondito, esauriente…
Lo stile dell’autore è asciutto, quasi cronachistico, non concedendo quasi nulla alla retorica o alla agiografia, ma limitandosi ad enumerare fatti e circostanze, inserendo brani riferiti da fonti originali, con sobrietà e precisione.
L’elenco delle fonti e della bibliografia offre infine spunti significativi per coloro che intendono accostarsi a questo argomento, che negli ultimi anni ha visto una fioritura senza precedenti di lavori e di fruttuosa ricerca.


• 19/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /6/ “Gemona liberata”

Gianfrancesco Gubiani, “Gemona liberata”, Link, 2004, pp 164

                                    

Gemona liberata, il libro di Gianfrancesco "Gianni" Gubiani, pubblicato
dalle "Edizioni Link", come primo volume della collana "Gotis di Storie", rappresenta un segnale assai positivo delpercorso di ricostruzione delle vicende storiche del territorio gemonese. Sono pagine preziose, quelle di Gubiani, poiché è costante l'intento, quasi didascalico, di affiancare la ricostruzione dei fatti gemonesi con quelli di più vasto respiro, su scala regionale e nazionale.
L'aspetto più importante, probabilmente, è che si tratta del lavoro di un gemonese che ha saputo coinvolgere, trascinare, raccogliere la testimonianza di tanti suoi concittadini i quali, per la prima volta, hanno accettato di rievocare quei fatti lontani. "Non è più cronaca e non è ancora storia" sembra sottolineare opportunamente nell'introduzione il prof. Casolo, a proposito delle indagini sul periodo della guerra. Eppure il mix adottato da Gianni è efficace: predispone un quadro generale di riferimento, si appoggia sulla documentazione scritta, compie un'integrazione basata sulle fonti orali. Così emergono parecchi elementi chiarificatori che aiutano a far luce su diversi episodi. I più ignificativi, forse, rappresentano proprio le pagine sulla Liberazione, che Gianni affronta con taglio quasi investigativo (...) e  la strage di Taboga del 29 aprile 1945, sulla cui indagine Gianni confessa le motivazioni personali e ideali che lo hanno portato a cercare di definirne il contesto e che nelle pagine del libro vengono descritte analiticamente.
E' per questo che bisogna plaudire a questo lavoro e auspicare che venga ripreso e ulteriormente approfondito.
Non sembri strano un discorso del genere di fronte a un libro di 164 pagine: adesso che Gemona dispone di unquadro organico di riferimento, all'interno di esso sarà possibile operare per definire con maggiore compiutezza i tanti altri episodi, pur rilevanti, che nel libro vengono riportati sinteticamente.

(dalla presentazione di Pieri Stefanutti pubblicata su “Pense e Maravee”)

• 13/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /5/ Ledis e i “Fazzoletti verdi”

Giorgio Zardi, Ledis e i “Fazzoletti verdi”, F.I.V.L. - A.P.O, 1988, pp 16

«Tra il Monte Cjampon e la Venzonassa, dove la Valle del rio di Lon s'immette in quella di Moèda, oltre cinquant 'anni fa, i partigiani "osovani" e la popo­lazione di Gemona hanno eretto una chiesetta votiva in memoria dei trentun caduti per la libertà della zona, dei quali sedici, com­preso monsignor Faustino Lucardi, appartenevano al batta­glione "Prealpi " che in quel luo­go fu costituito ed ebbe sede per­manente. Primi a salire lassù in clandestinità, nell'agosto 1944, nove patrioti superstiti dal gran­de rastrellamento tedesco di Pielungo. L'unità andò via via cre­scendo sino a raggiungere un organico di circa centoventì combattenti. Fu inquadrata nel­la 1° "Brigata "Osoppo", guida­ta dal capitano Francesco de Gregorì, lo sfortunato coman­dante "Bolla ' assassinato nelle malghe di Porzus. Nella vicina malga "Confin" trovò anche ospitalità e collaborazione una delle sei missioni inglesi paraca­dutate in Friuli: quella del mag­giore Vincent Hedley (Turker), sostituito nel novembre 1944 dallo scozzese Mac Pherson che, assieme all'allora tenente Godfrey Goddard (Taylor), al marconista H. Hargreves (Turner) e al sergente Nicolas Brent (Nicolas), operò in quel settore sino alla fine della guerra.
Fu appunto nel freddissimo inverno 1944-45 che Pietro Londero (Sardo), comandante di quel nucleo osavano, impegnò chi fosse sopravvissuto agli eventi bellici, al ricordo della memoria dei compagni caduti, nella costruzione di una chiesa nella valle di Moèda che tutti chiamano di "Ledis "per la vici­nanza del Monte e della forcella omonimi. La sorte ha voluto che fosse lo stesso Londero ad assol­vere quel compito. Il manufatto, inaugurato il 29 settembre 1946, fu distrutto dal terremoto del 1976 assieme all'attiguo ri­fugio edificato appena quattro anni avanti. Ambedue i fabbrica­ti sono stati riattati e, dal 1986, resi agibili. Tali eventi non han­no tuttavia impedito l'annuale celebrazione di cerimonie di ri­cordanza che negli anni hanno assunto il valore di rito e tradi­zione unitamente a significato escursionistico per la caratteri­stica bellezza della valle, ieri co­me oggi, ricca di faggete e di un interessante sottobosco».

Il testo (preso da un articolo a firma G.A. apparso sul “Messaggero Veneto” il 27 agosto 1999, può essere utile a sintetizzare bene il  volumetto Ledis e i “Fazzoletti verdi” uscito a firma di Giorgio Zardi nel 1988 a cura della F.I.V.L. e dell’A.P.O., dove vengono proprio ricostruite le vicende storiche e le motivazioni che portarono alla costruzione della chiesetta di Ledis in memoria degli osovani caduti.

• 4/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /4/ La gente del forte e i cosacchi

Nicoletta Paternò,  La gente del forte e i cosacchi — Storia di un Co­mune friulano 1944-1945,  Magma ed., Udine 1994, 224 pp

Gli anni duri della guerra —1944-1945 — in Friuli non sono stati uguali per tutti: i bombardamenti hanno colpito le popolazioni delle aree d'importanza strategica o mi­litare, mentre le rappresaglie dei tedeschi hanno infierito sugli abitanti delle zone teatro di attentati e sabotaggi. Osoppo, paese ricco di storia — dalle imprese dei Savorgnan sotto la Serenissima alle gior­nate del 1848 contro gli au­striaci —, è stato uno dei più martoriati. Ha subito l'occu­pazione casacca, uno spezzonamento che ha causato 58 vittime civili, lo scoppio della polveriera, rastrellamenti e deportazioni e, infine, la com­pleta distruzione del forte.
Questo calvario è raccon­tato da Nicoletta Paternò, osoppana d'adozione, in un libro (La gente del forte e i cosacchi — Storia di un Co­mune friulano 1944-1945), che è stato presentato nella sala consiliare. (…) Il volume è il risultato di una lunga e minuziosa ricerca che la giovane studiosa ha fatto tra gli archivi per ricostruire vi­cende che, a cinquant'anni di distanza, appaiono sbiadite. Nicoletta Paterno ha rintrac­ciato e confrontato documenti, ha parlato con i superstiti, riuscendo a precisare date, cifre, situazioni (ma non sem­pre: curioso è l'esempio dell'assalto alla polveriera del 16 luglio 1944, del quale esistono più versioni che differiscono in molti particolari, anche non secondari).
(…) Dal­l'avvincente rievocazione so­no emersi episodi, considera­zioni, valutazioni che hanno coinvolto anche il pubblico. La convivenza tra la "gente del forte " e i cosacchi, arrivati a centinaia il 25 agosto '44, con donne e bambini, carri e ca­valli, fu abbastanza pacifica e senza gravi contrasti. «Come spesso accade durante le guerre — scrive Nicoletta Pa­ternò —, anche in mezzo alle più grosse crudeltà e difficol­tà, c'è spazio per i rapporti umani e la reciproca com­prensione». Così accadde negli otto mesi dell'occupazione e, alla fine, 20-25 degli "armati civili russi" — come li aveva definiti il commissario prefet­tizio De Simon — rimasero a Osoppo, nascosti e aiutati dalla popolazione.
L'opera della Paternò è stata molto apprezzata anche per la ricerca dell'obiettività, per l'esposizione pacata, i giudizi super partes. Va preci­sato che l'autrice, tra le tan­tissime fonti (archivi storici, Anpi, Apo, biblioteche, car­teggi del Tribunale di Udine), ha consultato anche l'Istituto storico della Rsi. Ottima col­laborazione ha trovato all'Ar­chivio di Stato di Udine, da parte della direttrice Ivonne Pastore, che le ha messo a di­sposizione tutta la documenta­zione, purtroppo non abbon­dante. Come ha precisato la stessa dottoressa Pastore, ne­gli archivi è più facile trovare materiale del medioevo che del Novecento; molto è andato perduto proprio a causa delle guerre, ma talvolta anche per l'imprevidenza e l'incuria di enti e istituti.

(dalla recensione di M.B. sul “Messaggero Veneto” del 7 marzo 1995)


• 2/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /3/ Memorie di un esodo

P. Stefanutti, S. Di Giusto, D. Tomat,  Memorie di un esodo.  I giorni dello sfollamento dell’ottobre 1944 e dell’occupazione cosacca nel Comune di Trasaghis,  Comune di Trasaghis, 2003, 102 pp
 
Presentazione dell’allora Presidente del Consiglio Regionale, Alessandro Tesini

Sfogliando quella ricerca, assieme alle immagini di una popolazione
attonita davanti alle truppe occupanti, a cavalieri dalle strane divise che
attraversano le familiari contrade delle vostre borgate, ai cavalli che si abbeverano
alle note fontane, alle immagini tristi di un esodo di donne e uomini scacciati
dalle loro abitazioni , immagini così particolari ed insieme comuni a tanti destini
anche di un passato recente, uno scabro ma efficace testo ci ricorda le tappe di
quelle vicende e ci richiama alle responsabilità storiche delle forze che le hanno
determinate.
Il “Litorale Adriatico (Adriatisches Kusterland) con il quale la Germania
nazista incorporò anche queste terre direttamente nell’amministrazione del Raich;
i pieni poteri assunti sin dal 1943 dell’Alto Commissario Rainer; la totale
sottomissione delle forze collaboratrici al comando germanico, ivi comprese le
milizie di quella Repubblica di Salò che, avendo supinamente accettato la
sovranità tedesca , non potevano definirsi, come in altra parte del Paese, Guardia
Nazionale Repubblicana, ma, più semplicemente e vigliaccamente, Milizia per la
Difesa Territoriale di un territorio che non era più Italia.
E ancora: la solenne promessa fatta dai nazisti “…ai cosacchi del Don, del
Kublan, del Terek e degli altri eserciti…” con un proclama il 10 novembre 1943 di
affidare, quale compenso per i servigi resi sul campo di battaglia, qualora il loro
ritorno nella terra dei padri fosse stato reso impossibile, un’altra terra e tutto ciò
che potava loro consentire una vita autonoma, avendo successivamente
individuato il Friuli come il luogo dove “far risorgere la vita cosacca”.
L’arrivo delle prime tradotte cosacche e il loro ammassamento tra Osoppo
ed Amaro preludeva alla grande offensiva contro le Zone Libere del Friuli e della
Carnia, vere e proprie spine nel fianco, sia dal punto di vista militare che
politico, per gli eserciti di occupazione. I successi della lotta partigiana non
potevano più essere tollerati né poteva essere consentita alcuna forma di
solidarietà tra la popolazione e le forze della Resistenza.
L’occupazione del territorio da parte delle truppe cosacche aveva, secondo
l’alto comando nazista, un doppio valore strategico: la difesa delle principali vie di
comunicazione e , con l’espulsione di parte consistente dei residenti della zona e
l’impossibilità, per quanti rimasti, di qualsiasi forma di collaborazione con le forze
partigiane, il pieno controllo della regione.
E così nelle prime giornate di ottobre del 1944 truppe tedesche e
collaborazionisti italiani ( a cui il parroco di Avasinis ricorderà come “avrebbero
dovuto, un domani, risponderne alla storia” ) con, al seguito, i cosacchi con i loro
carriaggi e cavalli, occupano progressivamente gli abitati di Braulins, Trasaghis,
Avasinis, Peonis, Alesso.
I residenti costretti ad abbandonare le loro case si rifugiano in parte negli
stavoli della montagna sovrastante o, nella maggioranza attraversano il
Tagliamento reso impetuoso dalle piogge autunnali per cercare ospitalità nei
comuni vicini quali Osoppo, Gemona, San Daniele giù sino alla Bassa Friulana.
Le fotografie rintracciate nel Museo di Storia Moderna di Lubiana e
pubblicate nel libro che rievoca l’esodo della popolazione di Trasaghis e
l’occupazione cosacca del comune, pur essendo tecnicamente assai più povere se
confrontate agli attuali mezzi di rappresentazione , ci comunicano un’emozione
intensa
Dietro i carri, i cavalli, le divise, i volti degli abitanti, donne e uomini che
conoscete o avete conosciuto, cui siete in grado di dare un nome, capaci di
suscitare un ricordo, dentro l’immobilità di quelle scene fissate in un tempo
tanto diverso dal nostro, avvertiamo la straordinarietà dell’evento, la sua
drammaticità e, nel contempo, la fragilità dei suoi protagonisti, vittime o carnefici
fossero, travolti, come oggi sappiamo, da una vicenda immensamente più grande
di loro.
Per il testo completo dell’intervento, vedi:

• 1/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /2/ Memorie di “Nino”

Ezio Bruno Londero, Memorie di “Nino”, partigiano della “Osoppo”, edito nel 62° anniversario della Liberazione di Gemona, pp. 48, a cura di Pietro Bellina, con DVD allegato a cura di Giacinto Jussa, Gemona 28 aprile 2007
                                      
Il lavoro si caratterizza innanzitutto per la formula, abbastanza nuova: un documento cartaceo abbinato a un video. Si tratta di due strumenti a volte ritenuti contrapposti che qui hanno la possibilità di integrarsi pienamente, anche grazie al paziente lavoro di Giacinto Jussa che ha trasformato la ripresa di un'intervista in un video elegante e organico.
Anche la parte cartacea ha avuto una sua evoluzione: nata come una sorta di promemoria delle azioni partigiane e, in generale, dell'attività e della vita quotidiana delle formazioni partigiane gemonesi dell'Osoppo, in particolare del Btg. Prealpi,  ha subito un primo approfondimento da parte di E.B. Londero  stesso, con l'approfondimento narrativo e documentario di alcuni episodi maggiormente significativi . Pietro Bellina e Lorenzo Londero lo hanno poi convinto ad aggiungere alcune note sulla sua esperienza di vita di giovanissimo emigrante e ha operato alcune  integrazioni al  racconto per puntualizzare lo svolgersi di determinati avvenimenti anche ricorrendo ad altre fonti.
Così, dopo aver  conosciuto importanti dettagli sulla esperienza personale dell’autore, nel quadro dell’emigrazione gemonese degli anni '20, con un brusco salto, si passa al rimpatrio, inatteso, per prestare servizio militare in Italia,  e quindi ai concitati momenti seguiti all' 8 settembre 1943, con la cronaca del rientro a Gemona da Tarcento attraverso Maniaglia, con rapidi ma efficaci tratti nella descrizione del disfacimento dell'esercito.
Poi, sempre con uno stile sobrio e asciutto, viene dato conto della nascita della Resistenza, dei primi contatti con don Pancheri degli Stimmatini, della costituzione del Btg. Edelweiss, che sarà il precursore del Btg. Friuli.  In rapida successione, il racconto di Londero ripercorre la vita quotidiana delle formazioni partigiane, la partecipazione alla battaglia per la difesa della Zona Libera Orientale, il periodo dell'inverno trascorso sui monti tra Gemona e Venzone assieme alla Missione alleata e, infine, i giorni della Liberazione. (…)
Siamo dunque di fronte innanzitutto a una testimonianza di vita: scelte di impegno che, a distanza di tanti anni, vanno ancor di più apprezzate. Poi, per i ricercatori di storia, vi è la soddisfazione per un contributo documentario notevole che viene ad arricchire la stagione di studi che si sta faticosamente cercando di comporre. Si può in sostanza giungere ora a un complesso incrocio, confronto e sintesi su fonti diversificate, sia orali sia d'archivio, capaci di far giungere alla completa definizione dei fatti che hanno interessato il territorio in quei difficili anni.

(dalla recensione di Pieri Stefanutti pubblicata su “Pense e Maravee” n. 61, maggio 2007)


• 24/5/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /1/ Ali sull’Alto Friuli

                                          
Ali sull’Alto Friuli: nuovi dati per capire i bombardamenti  dell’ultima guerra sul Gemonese
Un nuovo tassello si aggiunge alla ricostruzione storica delle vicende del Gemonese nel corso delle guerre del ‘Novecento.
E’ stato infatti presentato il 23 maggio, a Gemona, nella sede della Comunità Montana, il libro di Michele D’Aronco Ali sull’alto Friuli: i bombardamenti aerei Alleati (edizioni Aviani&Aviani). Si tratta di un testo di 264 pagine corredato da decine di foto inedite in bianco e nero e a colori, che raccontano in particolare la storia dei bombardamenti anglo-americani in Alto Friuli e l’evoluzione dell’aeroporto di Osoppo nel secolo scorso. Il libro è frutto di un lavoro durato diversi anni,  arricchito dalle ricerche effettuate da D’Aronco negli archivi Usaf, che gli hanno consentito di pubblicare materiale e aneddoti sconosciuti.
Il percorso storico del testo inizia dalla Prima Guerra mondiale con l’aeroporto di Cavazzo Carnico per descrivere poi l’utilizzo della pista di Osoppo prima da parte della Regia aeronautica, poi della Luftwaffe e quindi dell’Aviazione nazionale repubblicana. La situazione complessa fece diventare l’aeroporto di Osoppo un obiettivo strategico, quindi un bersaglio privilegiato dei bombardieri anglo-americani. D’Aronco riporta anche le varie incursioni alleate, avviate con l’obiettivo di danneggiare le piste di atterraggio e i ponti sull’alto Tagliamento, facendo riferimento inoltre al passaggio dei Cosacchi, al deposito di munizioni di Spilimbergo, al forte di Osoppo e alla linea ferrovia Pontebbana, con la difficoltà da parte degli aerei americani nel colpire il ponte di Dogna.
Di particolare interesse, per il Gemonese,  le pagine dedicate alle vicende dell’aereoporto di Osoppo, dei bombardamenti su Gemona e sulla Pontebbana (soprattutto marzo e aprile 1945), il bombardamento su Alesso del 26 aprile 1945 di cui, per la prima volta, vengono chiarite le circostanze ispiratrici (la richiesta partita dalla missione americana dell’OSS “Battle” operante in zona).
Il libro di D’Aronco dimostra, una volta di più, l’importanza di un lavoro di ricerca allargato, aperto ai contributi più diversificati e rappresenta una tappa assolutamente rilevante di questo percorso.

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