Album di guerra

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I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

lunedì 20 giugno 2011

Una testimonianza sulle azioni di solidarietà nel 1943-44 lungo la ferrovia Pontebbana

"Ho ottant’anni, sono nato e sempre vissuto a Udine a Sant’Osvaldo. Ho molto apprezzato gli articoli usciti sul vostro giornale il 2 giugno scorso riguardanti le manifestazioni avvenute il giorno prima alla stazione ferroviaria della nostra città per ricordare il contributo delle donne udinesi nella Resistenza civile contro il nazifascismo. A tale proposito avrei anch’io qualcosa da aggiungere accaduto a me personalmente. Negli anni ’43-’44 la ferrovia Pontebbana era quasi ogni giorno percorsa dai “treni della notte” dei deportati nei lager. I vagoni erano stipati e dalle strette feritoie si vedevano solo visi e mani e si udivano voci invocanti pietà. Scattò la solidarietà della gente per portare un po’ di sollievo a quelle persone sofferenti. Io all’epoca avevo 12 anni, mio fratello Diego quattro di più. Avevamo trovato lavoro come strilloni proprio in stazione sui treni in partenza e in transito. Mio fratello un giorno percepì la voce di un giovane soldato da uno di quei treni incriminati. Colse dalle poche parole sussurrate che il ragazzo voleva dare un ultimo saluto alla mamma che stava in via Aquileia; montò in bici come una folgore, si recò sul posto, e la signora potè dare la benedizione a quel figlio sfortunato che le porse la medaglietta che aveva al collo come ricordo. Quei disperati avevano solo una possibilità di salvezza: saltare dal treno nel momento propizio, quando il mezzo rallentava in salita e in curva verso il Canal del Ferro. Per favorire la fuga si necessitava alzare i saltelli delle serrande del retro. I ferrovieri, mio fratello e io in più di una occasione riuscimmo in questa impresa con il rischio di essere scoperti dalle guardie. Un giorno, purtroppo, anche se sempre avvisavamo di non saltare subito e di aspettare la salita in montagna, un giovane prigioniero si dette alla fuga appena aperto e fu ucciso all’istante da un repubblichino di Salò da una raffica di mitra. Era molto rischioso per tutti, noi eravamo giovani e incoscienti, ma riteniamo di aver dato un contributo a salvare vite di altri ragazzi più sfortunati di noi. Vorrei che servisse di monito per i giovani d’oggi: che la solidarietà, la condivisione e l’amore per il prossimo non dovrebbero mai venir meno. Che nel momento del bisogno si tenda una mano a chi sta soffrendo: aiuta chi è nel disagio, ma fa un gran bene anche a chi offre soccorso. Il gesto d’amore arricchisce chi lo riceve, ma da una gioia immensa a chi lo porge. Nient’altro può essere paragonabile a questa sensazione".
Fausto Campana, Udine
(Lettera al Messaggero Veneto, pubblicata il 19 giugno 2011)

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