Album di guerra

Album di guerra
I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

martedì 24 aprile 2012

Telefriuli trasmette, la sera del 25 aprile, il video sugli eccidi delle malghe in Carnia


“Carnia, il sangue degli innocenti” : un video per sapere cos’è realmente successo sulle malghe carniche nel 1944

C’è una “voce” che gira da tempo in Carnia, tesa a insinuare che durante un prelievo di cavalli in Austria da parte dei partigiani carnici vi sia stata una feroce azione delittuosa, capace quindi di “innescare” la decisione di compiere una feroce rappresaglia, compiuta poi da una “controbanda” tedesca nelle malghe di Lanza, Cordin, Pramosio e lungo la valle del But, nel luglio del 1944. La prima citazione di questo tipo risale agli anni ’60, e si deve alla “Storia della guerra civile” di Giorgio Pisanò: “in quei giorni si verificò nell’Alta Carnia uno spaventoso episodio che doveva avere conseguenze gravissime per decine di poveri contadini.
Il 19 luglio, infatti, sette partigiani “gari­baldini” partirono dalla base di Luincis e, attraverso il Passo Premosio, penetrarono in territorio austriaco. Giunti in una malga nei pressi di Wurmlach, i sette assalirono una baita, uccisero due giovani pastori e violen­tarono a turno una ragazzina di dodici anni che, alla fine, venne gettata ancora viva nel siero bollente. Alla sera, in sella a dei ca­valli sequestrati nei pressi della baita, rien­trarono alla base
”.
La versione è stata ripresa più volte, da svariati ricercatori (Bellinetti Arena, Sollero, Pirina, Corbanese e Mansutti…) sino a diventare convinzione acclarata.
Dino Ariis e Pieri Stefanutti, rileggendo la documentazione bibliografica disponibile, andando alla ricerca di nuovi testi e documenti e, soprattutto, cercando dei testimoni diretti in grado di rievocare quelle esperienze lontane, sono riusciti dapprima a produrre un video, “Pramosio, il giorno dell’infamia”, presentato nel luglio del 2007 e poi, attraverso un’azione ancor più serrata, al di qua e al di là del confine, ad arrivare, con un nuovo video, “Carnia, il sangue degli innocenti” , a offrire delle risultanze per dimostrare … che quel fatto non è mai accaduto.
La ricerca ha consentito di definire in primo luogo l’effettiva entità dei furti di bestiame, cosa che è stata fatta andando “alla fonte”, consultando cioè i documenti della Gendarmeria austriaca e diversi archivi austriaci dove tale documentazione viene conservata in copia.
Il Kartner Landesarchiv di Klagenfurt, per esempio, ha elencato le azioni documentate relative alla presenza di partigiani italiani nel luglio 1944 nella fascia da Mauthen a Villach:
10.07 si segnala il furto di 22 cavalli sulla Maldatscheralm
12.07 sono stati rubati 29 cavalli dalla Zollneralm, distante ca. 4-5 chilometri ad ovest dalla Stranigeralm, da banditi che andavano verso sud.

L’evoluzione delle ricerche ha inoltre permesso di accertare che i furti di cavalli, solitamente attribuiti ai partigiani garibaldini, vanno invece in buona parte attribuiti ai partigiani della “Osoppo” e questo sulla base di testimonianze dirette, diari e memoriali dei partecipanti alle azioni.
Dell’autenticità dell’episodio delittuoso, dunque, non si è trovato alcun riscontro effettivo.
Nella zona delle malghe di Wurmlach, dove sarebbe accaduto il fatto delittuoso, nessuno ne conserva memoria. I registri anagrafici del Comune di Kotschach Mauthen non forniscono alcun elemento di conferma: tra giugno e luglio del 1944 vi furono solo due morti, due persone anziane decedute per cause naturali, nulla quindi che facesse pensare a un evento delittuoso.
E lo stesso sindaco di Kotchach – Mauthen, Walter Gottlieb, in una recente dichiarazione, ha espressamente ribadito che fatti del genere non sono accaduti nel territorio comunale.
Per verificare se un episodio del genere fosse accaduto in altre località ed erroneamente fosse stato attribuito alla zona di Wurmlach, sono stati consultati tutti i registri delle Gendarmerie della valle della Gail, non trovando alcun riferimento a un episodio del genere.
Oltretutto, una serie di interviste raccolte oltre confine, documenta il transito di diversi gruppi organizzati in “controbande”, il rientro in Austria dopo le uccisioni nelle malghe carniche, il trasporto del bestiame preso nelle malghe di Lanza e Cordin nella valle del Gail (dove poi è stato caricato su vagoni ferroviari), a ulteriore dimostrazione della insussistenza della tesi che attribuisce le uccisioni e i furti ai partigiani italiani.
Era altresì necessario verificare la fondatezza di altri episodi di violenza attribuiti ai partigiani e, inoltre, accertare quanto di vero vi fosse in alcune “voci” che giravano in Carnia relativamente alla “non attribuzione” delle uccisioni di Lanza e di Cordin alla controbanda, Da Paularo, infatti, è emersa recentemente una ricostruzione (che circola in Carnia, anche se ancora non edita ufficialmente) che, effettivamente, tenderebbe ad attribuire ai partigiani una serie notevole di furti di bestiame in Austria e anche le uccisioni di Lanza e di Cordin: nessuno degli elementi riportati riesce però, in realtà, a superare il vaglio dei controlli incrociati e ad assumere quindi elementi di veridicità.
Il video rappresenta dunque un contributo importante per una ricostruzione documentata di quelle lontane vicende. Esso sarà trasmesso da Telefriuli il 25 aprile sera, alle 21.30.

venerdì 13 aprile 2012

Esce il film dedicato alla Carnia Libera 1944

TOLMEZZO 

Ecco il film “Carnia 1944” due mesi di proiezioni

TOLMEZZO. Il film “Carnia 1944. Le radici della libertà e della democrazia” – girato nell’estate 2011 in Carnia e ad Ampezzo in particolare – sarà proiettato in regione durante questo mese di aprile


TOLMEZZO. Il film “Carnia 1944. Le radici della libertà e della democrazia” – girato nell’estate 2011 in Carnia e ad Ampezzo in particolare – sarà proiettato in regione durante questo mese di aprile. La prima si avrà a Roma nella sede regionale del Fvg in piazza Colonna il 20, quindi sarà la volta di Udine, all’auditorium alle Grazie il 24, mentre in Carnia sarà proiettato il 27 ad Ampezzo nella sala teatrale parrocchiale e a Tolmezzo. Altre proiezioni sono in programma in maggio a Udine e nella pedemontana.
Il film è nato da una idea di Carlo Tolazzi, dell’associazione “CinemaTeatroEden” di Feletto Umberto che ha scritto la traccia, rivisitati dal regista Marco Rossitti per proporlo su nastro magnetico per una produzione che vede coinvolti Università di Udine (dipartimento di Scienze umane - Centro polifunzionale di Pordenone – Laboratorio ReMoTe) e Comune di Ampezzo e che ha visto quali attori diverse persone che quei drammatici momenti hanno vissuto di persona, e molti scolari delle medie carniche
La pellicola racconta di una gita di studenti che visitano i luoghi dove sorse la repubblica libera della Carnia nel 1944, con molti flashback su quanto accadde in quei tormentati tempi.(g.g.)


da: Messaggero Veneto, 12 aprile 2012

sabato 17 marzo 2012

Ricordando i "Perlasca" della ferrovia pontebbana

Il "Messaggero Veneto" del 16 marzo ha ospitato una riflessione del prof. Luciano Simonitto sul ruolo avuto dai ferrovieri a Stazione per la Carnia, nel duro periodo tra il 1943 ed il 1944, quando diversi di loro si attivarono per aiutare quanti viaggiavano forzatamente verso la deportazione. Simonitto ripropone un tema  a lui caro: se la figura di Giorgio Perlasca ha giustamente avuto un eco considerevole, non sarebbe giusto ricordare anche l'impegno civile di quei ferrovieri e di quelle donne che prestarono soccorso ai deportati?

I “Perlasca” della pontebbana erano di estrazione eterogenea

Correva l’anno 1944, Bellina Dionisio, alunno d’ordine (sottocapostazione) della stazione di Venzone annotava nel suo diario: «Nel pomeriggio del 22 luglio 1944, verso le ore 16.30 giungeva a piedi in questa stazione il collega della stazione di Carnia, Bardelli Angelo, accompagnato da un sottufficiale e da sei militari tedeschi. Osservai che il Bardelli era un po’ malconcio. Difatti presentava una ferita al sopracciglio, labbra tumefatte e sanguinanti e la guancia sinistra contusa e gonfia. Cercai di avvicinarlo ma mi fu impedito in malo modo sia dal sottufficiale che dai militari. Seppi poi che la mattina seguente col treno 1635 il suddetto Bardelli era stato tradotto a Udine sempre in stato d’arresto». Angelo Bardelli era stato sorpreso dai soldati tedeschi mentre segnalava telegraficamente al collega di Villa Santina la partenza di un treno blindato. Il comando nazista invero, nell’estate del ’44, aveva deciso di dare segnali forti con azioni spettacolari, deterrenti, per chi segnalava i treni blindati che avrebbero dovuto raggiungere il cuore della Carnia. L’autore del messaggio, come dicevo, venne individuato, tradotto al locale comando tedesco, duramente picchiato. Trascorsa una settimana, anche lui restava assordato dallo scorrere delle ruote sulle rotaie, dal ritmo monotono del treno verso il campo di concentramento di Auschwitz. Questo eroico modo di vivere la resistenza può tornare utile per una lettura corretta del momento storico in tempi in cui si tende a stravolgere e a dimenticare la storia, attraverso un revisionismo assurdo che fa leva su episodi opera “del male” che sempre serpeggia nella società sia in guerra sia in pace. E “il male” serpeggiò effettivamente anche in Friuli. Purtroppo anche ovviamente tra le fila di coloro che erano animati da vero amor di patria, pronti al sacrificio e fiduciosi nel proprio ideale, si erano annidati profittatori e avventurieri spinti più che da motivi politici, da ragioni di appetito, razzia, vendetta, e zotico protagonismo. Alcuni deplorevoli episodi nulla tolgono però agli ideali da cui all’improvviso sbocciare della primavera nacque la resistenza quasi un miracolo da paragonarsi ai miracoli della natura che fanno spuntare i fiori e le gemme in un dato giorno. Scorrendo la cronaca di questi tempi si assiste amaramente a una squallida divisione fra Comuni sul dove tenere la cerimonia del 25 Aprile. L’ex presidente del consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia, Antonio Martini, li invita a fare un passo indietro, a riflettere, io li invito qualora non trovassero coesione, a salire là dove i ferrovieri, «i Perlasca della pontebbana”, rischiando e perdendo la vita hanno evitato i campi nazisti a centinaia di giovani deportati, là dove quelle ragazze, quelle spose, quelle anziane già provate dal dolore per la perdita o la prigionia dei propri cari nella prima guerra mondiale e in quella in corso, dotate di sensibilità particolare, sentivano quei disgraziati che invocavano aiuto dalle gratelle dei carri del dolore, come figli della loro terra e la loro cultura cristiana trasfusa nel sangue le univa spiritualmente a tale dolore. Sindaci del dissenso, anche l’estrazione politica degli “angeli della ferrovia pontebbana” era eterogenea, molti erano rimasti fedeli al socialismo di cui proprio la Carnia era stata la culla nell’Italia settentrionale, altri come Angelo Bardelli, classe 1911, erano dei “conquistatori dell’Impero” con onorificenze che avevano permesso loro di trovare un posto di lavoro sicuro in tempi di difficile occupazione. Come conciliare dal punto di vista ideologico il paradosso di uomini che hanno salvato la vita di migliaia di deportati, ma avevano militato anche nelle “camicie nere” combattendo nella guerra di Etiopia? Gli atti umanitari da loro compiuti poco contavano con la politica, non avevano assolutamente a che fare con l’ideologia, ma erano dettati dalla loro coscienza che non poteva giustificare ciò che i tedeschi facevano, erano il frutto di sublime abnegazione e coraggio che li conducevano al di sopra delle parti, unicamente e cristianamente tesi a porgere le mani ai fratelli prostrati nel fisico e nella mente.

mercoledì 14 marzo 2012

Addio a Ennio Pascoli "Giuro", protagonista della Resistenza a Venzone

Ennio Pascoli  era nato a Suzzara (Mantova) il 20 luglio 1918, terzogenito di Leonardo Luigi (1884-1940) della famiglia Çiandon di Venzone e di Margherita Marini (1887-1970) di Gemona del Friuli.
Completati gli studi tecnici (segretario d’azienda) a Tolmezzo, Ennio era stato assunto  dalla impresa Tomat di Pietro Tomat Petolon di Venzone. Di carattere gioviale e collaborativo, si era fatto apprezzare per la partecipazione attiva in molteplici  sociali e ricreative paesane.
Venne chiamato alle armi nel gennaio 1938 al distretto di Sacile e arruolato nell’arma aeronautica  a Foggia, dove frequentò il corso piloti.
Al termine del servizio militare venne raffermato e destinato all’aeroporto di Foggia,  promosso sergente maggiore. Annotava su quelle esperienze: “Durante gli anni dal 1940 all’8 settembre 1943 ne abbiamo passate di cotte e di crude; certe volte salvi per miracolo, che non voglio neppure ricordare; tanti sacrifici con una disfatta così vergognosa”.
All’8 settembre 1943  era a Mostar dove si trovava il suo reparto aereo. Rientrato in aereo a Susak, da qui in auto prima  ed a piedi poi raggiunse fortunosamente Venzone per rientrare a lavorare come assistente  nella ditta edile Tomat  che era stata invitata ad appaltare i lavori dalla organizzazione TODT che aveva i propri uffici a Osoppo.
Entrò a far parte del movimento di liberazione clandestino nel Btg. Prealpi della Divisione Osoppo, il 19 agosto 1944, da soldato semplice, con nome di battaglia Giuro   e nel C.L.N. di Venzone. Ebbe diretti contatti con il maggiore scozzese Thomas Macpherson la cui missione aveva sede nella Val Venzonassa.

Riportiamo di seguito, in ordine cronologico, alcune sue memorie:

Gennaio 1945. La strada era ancora coperta di neve ghiacciata. Abitavo vicino alla stazione ferroviaria di Venzone, quando udii nella notte gli echi di una sparatoria proveniente da un treno che stava giungendo alla stazione; qualcuno venne ad avvisarmi che c’era una persona che invocava aiuto dalla scarpata oltre il casello ferroviario dove abitava la zia di Elio Valent (anche lui aveva perso un figlio in Jugoslavia). Raggiungemmo lo sventurato, lo adagiammo su una scala a pioli e lo portammo all’ambulatorio del dott. Giacomo Francescon sistemato in casa Tomat (sull’angolo nord, dove il viale della stazione ferroviaria si immette nella strada nazionale). Era grave. All’alba, appena terminato il coprifuoco, presi una lôge (slitta per il trasporto in montagna) e dopo averlo adagiato e ben coperto, con un operaio della Todt lo portai all’ospedale di Gemona. Ma era troppo grave ed è morto; così venne seppellito nel cimitero di Gemona. Era originario di una località vicino Maniago e si chiamava Enrico Rosabian. Dopo la fine della guerra l’ho fatto esumare dalla fossa per consegnare la salma ai famigliari, i quali mi sono stati tanto grati. Trascorsi pochi giorni, un’altra chiamata di notte per un caso analogo. Preso il coraggio a due mani, sono salito con una lanterna violando il coprifuoco. Benché temessi mi sparassero, raggiunsi il comando tedesco dov’ero conosciuto e mi arrangiavo a quei tempi con la lingua. Si sono bevuti la bugia, cioè che erano stati i cosacchi a sparargli. Così con un camion l’abbiamo portato all’ospedale di Gemona, ma non era tanto grave: la pallottola aveva attraversato il polmone senza ledere organi vitali. Appena guarito, d’accordo con la infermiera dell’ospedale, l’abbiamo fatto scendere da una finestra; poi caricato sul cambron della bicicletta, lo portai a Osoppo per munirlo di documenti Todt. 


Marzo 1945. I tedeschi avevano allestito un aeroporto di fortuna nella zona di Rivoli di Osoppo e dato incarico alla nostra impresa Tomat di eseguire delle perforazioni con una trivella del diametro di 20 cm. Allo scopo di renderlo inefficiente in caso di ritirata che oramai ritenevano prossima. Gli operai, fatte le perforazioni, stavano completando il lavoro (di questo lavoro incoscientemente mi sono interessato): erano da riempire le perforazioni con polvere da mina, coprirle con dei tappi speciali e collegare una perforazione all’altra con una miccia. Tutto questo è stato fatto, ma invece di polvere esplosiva, insieme a Gianni Tamburlini i buchi li abbiamo riempiti di segatura. 




29 aprile 1945 – mattinata, ore 9.
Verso le ore 9,00 truppe tedesche obbligate dal combattimento a fermarsi ai Rivoli Bianchi, chiesero di trattare con Comandanti Patrioti tramite il Monsignore di Venzone. Un capitano della Luftwaffe venne per questo motivo assieme a Monsignore in paese, pure lui disarmato e promise di non entrare con le sue truppe in paese e di non interessarsi della sorte dei cosacchi se alla sua colonna fosse stato garantito il passaggio. Tutto questo fu accertato  dal Patriota COT ([Giacomo Francescon] e GIURO [Ennio Pascoli] in presenza del Monsignore [Faustino Lucardi].
Da parte tedesca nella  prima mattinata era stato chiesto l’intervento di un garante e si offrì mons. Faustino Lucardi (1897-1945). 
All’ufficiale tedesco che gli venne incontro, nel presentarsi il pievano disse: “Non ho armi con me. Desidero che lei lasci l’arma che porta e noi due precederemo le truppe verso Venzone”. L’ufficiale acconsentì. 


“ Il 3 maggio 1945 veniva ucciso mons. Lucardi. Un ufficiale tedesco lo aveva condotto dietro la chiesa e poi gli ha sparato alla schiena. Un particolare appreso subito dopo da una donna che usciva dalla chiesa poco prima dell’eccidio, vide il pievano passare davanti al duomo insieme a me e al dottor Giacomo Francescon e vide lo stesso ufficiale omicida. “In particolare – me lo confermò la donna  - vi ha segnalati tutti e tre con il dito”. Avevo imboccato via Stella, camminando spedito verso il mio rifugio che si trovava nell’orto sopraelevato dei Madrassi Melde, dove tenevo nascosto un mitra tedesco avuto in dotazione. Da quella posizione udii i passi e le voci dei due tedeschi  con Monsignore che provenivano da via Stella e svoltavano verso via Alberton Del Colle diretti alla porta sud. 


Mons. Lucardi camminava davanti seguito da uno dei due ufficiali mentre l’altro si fermava. Dopo alcuni metri l’ufficiale sparava alle spalle al prelato. Ero armato ma non ero preparato all’epilogo tragico. Dalla portone ovest del duomo erano uscite alcune donne che, attraversato il sagrato, si affacciarono sulla stradina gridando alla vista del Monsignore ucciso. Rimasi paralizzato e il mio pensiero volò subito a quanto era accaduto pochi giorni prima [29 aprile] davanti alla porta verso Pioverno. Ero ancora scosso da questa avventura. Oramai per Monsignore non c’era nulla da fare, mentre una reazione sconsiderata da parte mia poteva provocare un eccidio. Ebbi paura di essere scoperto, nascosi il mitra, e con una buona dose di imprudenza cercai rifugio nell’orto delle suore, in posizione sopraelevata a ridosso delle mura occidentali. La notizia dell’uccisione era arrivata anche alle suore e io non feci altro che confermare quanto accaduto. Subito dopo aver ucciso Monsignore, cercavano anche noi due. 

Seguì l’uccisione del nonzolo  (Pascolo Antonio, 1883-1945). Un tedesco, appostato nelle vicinanze, ha aspettato che rientrasse a casa per abbatterlo con una raffica di mitra dopo avergli intimato inutilmente l’alt. 


Dopo la liberazione di Venzone, i tedeschi in ritirata cercavano di portare in Germania cavalli, mercanzia, veicoli ecc. Allora noi requisivamo tutto quello che si poteva. Avevamo raccolto una quantità di cavalli in un recinto vicino ai casali Cracogna, sulla strada che andava dai Lìs. Questi cavalli, un po’ alla volta, venivano caricati su autotreni sistemati in modo da poterli trasportare verso la Bassa Friulana e barattarli con granoturco, frumento e altre cose. Per la lavorazione del mais e frumento, avevamo organizzato il mulino a Sottomonte dove si macinava la farina di frumento per fare il pane e quella di mais da distribuire alle famiglie per cuocere la polenta. Ricevevo poi anche soldi che adoperavo per fornire sussidi alla popolazione bisognosa. Per evitare critiche, rilasciavo tre ricevute: una alla persona che riceveva l’aiuto, una rimaneva all’archivio ed infine una terza rimaneva a me.. 

Terminata la guerra, riprese a lavorare con la ditta edile Tomat che, il 20 luglio 1945 spostò la sua sede a Udine.
Nel gennaio 1948, la impresa Tomat da Udine si trasferì in Venezuela. Anche Ennio di lì a poco si trasferì oltreoceano per lavoro. Raccontava: “ Sono partito dal porto di Genova con una nave da trasporto, dopo un viaggio di peripezie, sono arrivato al porto venezuelano della Guaira, dopo oltre un mese, il giorno 17 febbraio (venerdì) del 1948. Da quel momento sono cominciati i sacrifici, privazioni ed umiliazioni. Ad ogni modo tutto sopportato con spirito di adattamento in quanto ero partito con il proposito di fare qualcosa per migliorare la situazione economica, avendo lasciato la mia patria e il nostro bel Friuli distrutto dalla guerra e con miseria di “spacâ cui conis”.
Dopo due anni sono riuscito a racimolare il necessario [costruendo l’hotel con piscina nella zona di Carora , stato del Lara e poi un altro su un valico andino a quattro mila metri s.l.m., confinante con la Columbia] per rientrare in Friuli a sposarmi e a portarmi dietro mia moglie [ il  9 luglio 1950 sposa Maria Bassi di Reana del Roiale], e siamo arrivati in una zona denominata “La Pastora” a 600 chilometri dalla capitale del Venezuela: Caracas, ad occidente del paese.
Rientrò in Friuli nel 1982 e si stabilì a Udine, diventando amministratore delegato dello Stabilimento Ortopedico Variolo.
Nel 1992, dal  Ministro del Lavoro venezuelano  è stato insignito della massima onorificenza al merito del lavoro: la Croce al Merito del Lavoro di Prima Classe, mentre il Sindaco di Carora gli ha conferito la cittadinanza onoraria.
Nell’agosto 1999, è ritornato ancora in Venezuela, dove gli è stato intitolato un villaggio che porta il nome di “don” Ennio Pascoli.
Cesare Marzona, Ezio Bruno Londero ed Ennio Pascoli
In questi anni ha collaborato attivamente a molteplici ricerche storiche delle quali  è stato diretto testimone, scrivendo e rilasciando interviste giornalistiche e videoregistrate.
E' morto improvvisamente a Udine, nella sua abitazione in via Fiducio, 13 – nelle prime ore di domenica 11 marzo 2012.
Il suo funerale è stato celebrato  mercoledì 14 marzo, alle ore 15,30 presso la chiesa parrocchiale di S. Marco partendo dal cimitero urbano di San Vito a Udine.
Ha lasciato un memoriale della sua vita, depositato nella Biblioteca Comunale di Venzone.


(A cura di Pietro Bellina, segretario dell'Associazione “Amici di Venzone")

venerdì 9 marzo 2012

Il 6 maggio il Presidente Napolitano renderà omaggio alla Repubblica libera di Carnia

Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (nella foto), domenica 6 maggio sarà in Friuli. E, questa, non è una novità. Ha annunciato lui stesso che farà visita alla malga di Porzûs, con tutto ciò che l’evento può significare, sul piano simbolico, per la resistenza. L’eccidio di Porzûs, da parte dei partigiani jugoslavi, infatti, ha segnato tragicamente la storia della Liberazione, in Friuli. È, invece, una novità la visita che nella stessa giornata il Capo dello Stato farà a Gemona del Friuli, la capitale del terremoto e della ricostruzione. Napolitano arriva nel 36° anniversario del sisma ed è indubbio che coglierà la circostanza non solo per sottolineare il grande merito dei friulani nella rinascita, ma anche per enfatizzare le prime forme di federalismo dal basso maturate proprio in Friuli, con l’affidamento alla Regione, prima, e ai sindaci, poi, delle deleghe nella ricostruzione. Con l’avvento del governo dei tecnici e la necessità di fronteggiare prepotentemente i problemi di bilancio, i temi della riforma federalista dello Stato sono stati riposti nel cassetto. Il presidente troverà buon motivo, a Gemona, per riprenderli.
Nel pomeriggio del 6 maggio, il presidente Napolitano si renderebbe protagonista di altre due visite particolarmente significative.
La prima ad Ampezzo, per celebrare la Repubblica della Carnia, fondata dai partigiani.
Nel 1944, per alcuni mesi, un’area di 2.500 km quadrati, comprendente circa 90 mila abitanti e una quarantina di Comuni, venne affrancata dal Reich hitleriano. Vi si costituì una Repubblica partigiana comprendente tutte le forze politiche democratiche, nella quale si sperimentò un eccezionale spazio di libertà e partecipazione popolare che anticipò alcune delle conquiste dell’Italia repubblicana.

Recentemente è stato implementato sul territorio il progetto «Repubblica della Carnia 1944. Le radici della libertà e della democrazia» per impulso di un imprenditore ampezzano, il partigiano Giovanni Spangaro «Terribile», che si è rivolto con una lettera aperta al presidente Napolitano per invitarlo a patrocinare l’iniziativa. L’invito è stato quindi fatto proprio dal rettore dell’Università di Udine, Cristiana Compagno, e dal presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia, Renzo Tondo.
La giornata friulana di Napolitano si concluderà ad Illegio, per visitare la mostra, che sarà aperta da pochi giorni, dedicata ai bambini e al cielo. Il presidente della Repubblica avrà modo non solo di ammirare autentici capolavori ma anche di entrare in un tema educativo che la Chiesa friulana sta portando avanti con forza, attraverso in particolare il suo Arcivescovo, mons. Andrea Bruno Mazzocato. Non solo, al Capo dello Stato verrà presentato un esempio quasi unico di una piccola comunità di montagna che, guarda caso attraverso la cultura e in particolare la bellezza, porta avanti il suo riscatto sociale ed economico.
Il giorno successivo Napolitano sarà a Pordenone.



giovedì 1 marzo 2012

I partigiani russi del Btg. Stalin sulle "Gnovis pagjinis furlanis"

Sul XXIX numero  della rivista "Gnovis pagjinis furlanis", appena uscito, viene pubblicato un contributo di Pieri Stefanutti dedicato alla ricostruzione dell'attività di un battaglione partigiano costituito in gran parte da russi, lo "Stalin" e della figura del suo comandante, quel "Daniel" che è morto in combattimento nell'ottobre del 1944, e alla cui memoria è stata assegnata la medaglia d'oro al valor militare.  
L'articolo, intitolato appunto "Daniel e i rus che combaterin cui partigjans furlans" riassume le vicende della costituzione del Battaglione Stalin, del suo impiego nella zona della Valle del Lago di Cavazzo soprattutto in rilevanti attività di sabotaggio, degli spostamenti a seguito dell'offensiva nazifascista dell'ottobre 1944 dalla Valle del Lago alla Val d'Arzino (Daniel morì in combattimento proprio all'ingresso del paese di San Francesco, il 19 ottobre) e, quindi, della prosecuzione delle attività partigiane sulle montagne della Carnia (dalla Val Tramontina alla zona di Forni di Sotto)  fino alla Liberazione.
Il testo  viene presentato nella efficace traduzione in friulano effettuata da Remo Brunetti.

martedì 21 febbraio 2012

Gemona 2 marzo, presentazione del libro sul "complotto Zaniboni"

Interessante appuntamento a Gemona per la presentazione del libro:
"Tito Zaniboni e il complotto friulano per uccidere Mussolini" di Dino Barattin
il giorno 2 marzo 2012 alle ore 20.30 presso la Sala Consiliare - Palazzo Boton di Gemona del Friuli.
La presentazione è organizzata dal Comune di Gemona, dalla Biblioteca Civica V. Baldissera di Gemona e dalla Sezione A.N.P.I. di Gemona - Venzone


Sul libro, la scheda apparsa sul sito del pordenonese "La storia, le storie"
(http://www.storiastoriepn.it/blog/?p=9489)





D. BARATTIN, Tito Zaniboni e il complotto friulano per uccidere Mussolini, Libraria, San Daniele del Friuli 2011. Euro 14,00
Il libro tratta la storia del primo dei falliti attentati a Benito Mussolini, Presidente del Consiglio e duce del fascismo, perpetuato da Tito Zaniboni, ex deputato socialista, il 4 novembre del 1925.
Gli ingredienti di una vicenda intricata ci sono tutti: un focoso idealista, Zaniboni, un generale ritenuto uno dei responsabili di Caporetto, Luigi Capello, un determinato gruppo di antifascisti friulani, un gerarca locale, Pier Arrigo Barnaba, una contessa doppiogiochista amante contemporaneamente di Mussolini e Zaniboni, una serie di figure femminili, prima fra tutte Lucia Pauluzzi, gestrice dell’osteria di Urbignacco dove si svolgevano gli incontri cospirativi. Ed infine non può mancare il traditore: un certo Carlo Quaglia, amico e segretario di Zaniboni, che mise la polizia politica sulle tracce del complotto.
Sullo sfondo vi è una situazione politica e sociale molto particolare, quella del primo dopoguerra, con un’Italia sconvolta da lotte politiche e sociali molto aspre, nella quale la dittatura fascista si impose con la violenza squadrista.
Sono i mesi successivi al delitto Matteotti ed all’Aventino, quando le sterili opposizioni vennero messe definitivamente a tacere dalle leggi liberticide del regime che si stava consolidando.
Questa storia inizia in qualche modo a Buja. Ex combattenti e popolari si contendono il dominio del comune. A capo dei primi ci sono Arrigo Barnaba e Ferruccio Nicoloso, entrambi eroi della Grande Guerra pluridecorati per essersi paracadutati dietro le linee nemiche dopo la disfatta di Caporetto. Essi aderiscono entusiasticamente al fascismo.
Ad un certo punto l’ amicizia tra i due si rompe. Emergono dissidi all’interno della gestione della cooperativa degli ex combattenti, rivalità personali. Infine,forse, li divide l’amore per una stessa donna.
A frequentare Buja è anche Tito Zaniboni, socialista mantovano e massone, in particolare è assiduo nella locanda di Lucia Pauluzzi ad Urbignacco, che durante la grande guerra era stata adibita a mensa ufficiali, e con la donna stringe una relazione amorosa. Zaniboni, viene eletto alla Camera nel 1921 nella circoscrizione Udine-Belluno.
A Buja la lotta politica locale è accesissima: il consiglio comunale, fino allora dominato dai popolari, viene sciolto e Barnaba, nel 1923, nominato commissario. Da quel momento la sua carriera politica è in piena ascesa. La medaglia d’argento viene tramutata in oro e nel 1924 viene cooptato nel direttorio del PNF. Nello stesso anno è eletto in Parlamento. Aderisce alla corrente politica degli intransigenti, capeggiata da Roberto Farinacci.
Dopo l’assassinio dell’onorevole Matteotti Ferruccio Nicoloso si avvicina a Zaniboni e attorno a lui si crea un piccolo gruppo che aderisce a “Italia libera”. Il loro programma è espressamente quello di abbattere il fascismo.
Zaniboni cerca contatti e finanziamenti un po’ dappertutto. Si reca in Francia e incontra i nipoti di Garibaldi, Peppino e Ricciotti, per organizzare delle squadre d’azioni che fomentino un’insurrezione inducendo il re a togliere l’incarico a Mussolini. Incontra d’Annunzio, lo stesso Vittorio Emanuele, facendo sempre ritorno ad Urbignacco.
Qui Zaniboni trova l’unico gruppo di persone che lo asseconda e gli fornisce solidarietà: oltre alle affettuosità di Lucia Pauluzzi, trova un Ferruccio Nicoloso sempre più isolato, Angelo Ursella, suo aiutante durante la grande Guerra, Luigi Calligaro, che gli faceva da guardia del corpo, Ezio Celotti un socialista ritornato dalla Francia e molti altri ancora.
L’attività del piccolo gruppo è ampiamente sorvegliata dalla polizia e dai fascisti locali.
Dopo lo scioglimento di “Italia libera”, a seguito del discorso di Mussolini in Parlamento del 3 gennaio 1925, Zaniboni confida in un appoggio della Massoneria di Palazzo Giustiniani per un colpo di forza contro il fascismo.
Ma nulla di concreto accade, così matura in lui l’idea dell’azione solitaria: uccidere il tiranno, creare le premesse per una dittatura militare e poi ritornare ad un regime democratico rinnovato.
Il 4 novembre 1925 prende possesso di una stanza dell’hotel Dragoni e, in compagnia di Quaglia, aspetta che Mussolini si affacci da palazzo Chigi, sede del Governo, per sparargli con un fucile di precisione. Un colpo di fucile per cambiare la storia d’Italia. Ma Quaglia ha già tradito e la polizia politica irrompe nella stanza per arrestare l’ex parlamentare.
Su Buja si scatena un’ondata di arresti. I destini delle varie persone implicate vengono stravolti.
Le conseguenze di ciò che avvenne, o meglio non avvenne, in quella camera dell’Hotel Dragoni si rovesciarono come un uragano sulla piccola e lontana comunità di Buja la quale si trovò all’improvviso al centro di una storia i cui personaggi forse non avevano valutato pienamente gli effetti dirompenti che si sarebbero abbattuti sulle loro vicende personali e familiari.
La simpatia e la solidarietà verso un uomo generoso, coraggioso e determinato venne fatta passare ad arte per un vero complotto e al fascismo, in quel momento, quando gli echi del dramma di Matteotti erano seppur affievoliti ancora vivi, serviva un Mussolini vittima anch’egli della perfidia politica e omicida, questa volta di stampo socialista e massonica.
Così le rivalità e le beghe di paese vennero amplificate divenendo sulla stampa e negli incartamenti processuali l’unico elemento su cui concentrare l’attenzione, per una vicenda che già nel 1927, anno della sentenza da parte del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato, aveva perso tutto il suo interesse e soprattutto l’utilità per un fascismo ormai consolidato e diventato pienamente regime.
La sentenza emessa il 22 aprile 1927 e fu durissima: Zaniboni fu condannato a trent’anni. Anche il generale Capello fu a sua volta condannato a trent’anni, senza che nulla di concreto potesse essere provato a suo carico, trent’anni anche ad Ursella, che risultava latitante. Ulisse Ducci, esponente della Massoneria romana, fu condannato a dodici anni, Ferruccio Nicoloso a dieci anni. Dieci anni, fu anche la condanna a Luigi Calligaro, nonostante la sua colpa non fosse stata mai provata. Ad Enzo Riva vennero comminati sette anni.
I protagonisti sembrarono appartenere ad un dramma già scritto, guidato da un attento regista che utilizzò il finto segreto del complotto per perseguire il proprio scopo, un segreto di Pulcinella, come un dramma teatrale ispirato ai quei fatti e scritto a New York dall’anarchico Tresca.
Di certo il mancato attentato divenne un momento funzionale alla definitiva presa del potere da parte del fascismo. Mussolini lo utilizzò per schiacciare ogni tipo di opposizione e conquistare definitivamente il potere. Egli sapeva benissimo che l’attentato non corrispondeva ad una ripresa dell’antifascismo, era l’atto di un uomo ardimentoso ma sostanzialmente isolato e sfiduciato e suonava non solo come una protesta contro il fascismo, ma anche contro il re e l’inerzia di tutte le opposizioni aventiniane. Era il tentativo estremo di risolvere la crisi non attraverso le armi della politica ma con un’ultima disperata azione individuale. Un attentato di questo genere non poteva preoccupare Mussolini, anzi, poteva solo essere usato in suo favore.

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