Album di guerra

Album di guerra
I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

sabato 30 aprile 2011

Ricordate a Gemona le giornate della Liberazione e le vittime dell'eccidio di Avasinis

Giovedì 28 aprile, Gemona ha ricordato il 66° anniversario della liberazione dalla dominazione tedesca e dal regime fascista, con due appuntamenti interessanti. Alle ore 18.30 presso palazzo Boton la sezione   di Gemona e Venzone dell’ANPI ha  organizzato un incontro-dibattito dal titolo «Risorgimento e Liberazione a Gemona».  Dopo  l'introduzione del presidente Lorenzo Londero, sono intervenuti un assessore in rappresentanza del  sindaco Paolo Urbani, lo studioso di fatti risorgimentali gemonesi Giuseppe Marini (sulle similitudini fra "i due Risorgimenti"), l’autore del volume "Gemona liberata" Gianfrancesco Gubiani (sugli aspetti ancora poco noti di quelle convulse giornate)  e Grazia Levi (che ha ripercorso  le emozioni vissute dai giovani nei giorni della Liberazione).  Hanno portato il loro saluto anche Urbani per l'associazione  "Pense e Maravee" ed il segretario dell'Anpi  Lodovico  Copetti. 

Alle ore 21, invece, la Cineteca ha proposto  un «Ricordo dell’eccidio di Avasinis». Al cinema Sociale  sono stati proiettati due documentari sui drammatici eventi del 2 maggio 1945: il breve Tatort Avasinis (2003) di Jim G. Tobias, prodotto dalla tv tedesca Medienwerkstatt Franken e.V  e "Avasinis 2 maggio 1945, luogo della memoria" (2007) di Dino Ariis e Renata Piazza . 

Presenti anche diversi Ammistratori comunali di Trasaghis  (è stato ricordato l'impegno del Comune del lavoro di ricerca e nella produzione dei video) e abitanti di Avasinis.


mercoledì 27 aprile 2011

Due documentari a Gemona per ricordare il dramma di Avasinis


Avasinis, maggio '45: il piú cruento eccidio nel Friuli in guerra

Nel 66° della Liberazione proiettati due documentari della Cineteca del Friuli sul massacro di 51 civili compiuto dalle SS in ritirata

Con la progressiva scomparsa di "chi c'era" sta venendo meno anche la possibilità di raccogliere testimonianze dirette di coloro che hanno vissuto fatti, episodi, tragedie della seconda guerra mondiale. Ecco allora che interviste, reportages, video diventano componenti di un'indagine storica, come i due documentari che la Cineteca del Friuli riproporrà, domani alle 21, al Cinema Teatro Sociale di Gemona, in occasione della commemorazione dell'eccidio di Avasinis. Il primo video, della durata di 92 minuti, si intitola Avasinis 2 maggio 1945, luogo della memoria, edito nel 2007 dal Comune di Trasaghis e dal Centro di Documentazione sul Territorio, con il contributo della Provincia di Udine e della Comunità Montana del Gemonese. La regia, le riprese e il montaggio sono di Dino Ariis e Renata Piazza e la consulenza storica di Pieri Stefanutti. Vengono utilizzate anche riprese e interviste effettuate nel 1990 da Nanni Stefanutti. Il secondo lavoro, Tatort Avasinis.
L'eccidio del 2 maggio 1945, della durata di 12 minuti, è un reportage realizzato nel 2003 dalla televisione bavarese Medienwerkstatt Franken e. V. di Norimberga, con la regia di Jim G. Tobias, filmaker e giornalista. Prende spunto dalle indagini della magistratura bavarese - ancora impegnata dopo oltre mezzo secolo a trovare gli autori delle stragi naziste - sugli ex appartenenti al battaglione SS-Karstwehr di Pottenstein (dall'agosto 1944 denominato Divisione Karstjäger), ritenuti responsabili dell'eccidio di Avasinis. Nei venti mesi della lotta di liberazione in Friuli numerosi furono le strage perpetrate dai nazifascisti nei confronti di civili: Malga Pramosio, Braulins, Paluzza, Ovaro, Torlano, Feletto Umberto...
Quello di Avasinis, frazione del comune di Trasaghis, è considerato come il maggior eccidio di civili in Friuli nel corso della guerra. In quei giorni convulsi, quando nella Pedemontana le truppe degli occupanti stavano ripiegando verso Nord, continuamente minacciate dai bombardamenti alleati e dagli attacchi dei partigiani che occupavano le alture, Avasinis viene a trovarsi su una delle direttrici di quegli imponenti movimenti di colonne di tedeschi e formazioni cosacche. Verso le 10.30 del 2 maggio una squadra di SS, probabilmente Karstjäger/Cacciatori del Carso (unità creata nell'ultimo periodo della guerra, composta prevalentemente da italiani e sloveni, ma anche austriaci e croati, impiegata nella lotta contro i partigiani), piomba sul piccolo paese e nel giro di alcune ore massacra 51 persone, in maggioranza donne, vecchi e bambini.
Le testimonianze di Caterina Di Gianantonio (Catin di Barbin), Cesarino Venturini, Roberto Bellina (il partigiano "Due"), Elena Rodaro, Giacomina Di Doi, Maria Rodaro, Aldo Ridolfo, Giacomo Rodaro, Giovanni Orlando e altri sopravvissuti, fanno rivivere la tragedia attraverso l'evocazione di brevi momenti, dettagli terribili, stati d'animo. Lo spettatore in un primo momento può avere una sensazione di frammentarietà, avvertire la mancanza di una logica, di consequenzialità nella costruzione del primo video, ma proprio questo è il "realismo" di una tragedia della guerra come quella di Avasinis.
Non è la struttura organizzata, coerente e spettacolare della guerra che vediamo al cinema o nelle fictions televisive, dove tutto finisce per tornare chiaro e concluso agli occhi dello spettatore. In queste testimonianze la sinteticità del friulano contribuisce in misura notevole a ricostruire una tragedia collettiva attraverso singoli e isolati momenti forti e, via via che i racconti si incrociano, arrivano a comunicare quello che è lo stravolgimento provocato dallo scoppio della violenza, una diversa percezione del tempo, dello spazio, dei suoni, della realtà.
La proiezione dei due documentari al Sociale concluderà le celebrazioni gemonesi per il 66° anniversario della Liberazione, che avranno inizio alle 18.30 nella sala consiliare di palazzo Boton con un incontro-dibattito cui parteciperanno il sindaco Paolo Urbani, lo storico del Risorgimento Giuseppe Marini, la testimone della Liberazione Grazia Levi e Gianfrancesco Gubiani, autore del volume Gemona liberata.
Carlo Gaberscek
(Messaggero Veneto, 27 aprile 2011)

lunedì 25 aprile 2011

Un contributo di riflessione sul ruolo dell'Italia nella guerra in Jugoslavia


A proposito di espansionismo slavo, 
pulizia etnica e deficit di memoria.

Così fu annunciato a Pola da Benito Mussolini il 22 febbraio del 1920  prima della sua ascesa al potere:
"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come quella slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Non temiamo più le vittime… I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani".
Già nel settembre dello stesso anno disse durante un suo comizio a Pola:
"Per la creazione del nostro sogno mediterraneo, è necessario che l'Adriatico, che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava".
( partigiani Yugoslavi si sono organizzati venti anni dopo, nel 1941).
Il conte Galeazzo Ciano di Cortelazzo, genero di Benito Mussolini, nonché Ministro italiano per gli affari esteri durante la guerra, scrive nel suo diario, in data 5 gennaio del 1942, di aver accolto il segretario del Partito nazionale fascista del Friuli Venezia Giulia Aldo Vidussoni. Egli riporta:
"Mi furono confidate le sue intenzioni cruente contro gli Sloveni. Intende ammazzare tutti. Gli dissi che ce n’erano un milione. ‘Non importa’, rispose risoluto ‘bisogna agire come i nostri predecessori in Eritrea, sopprimendo tutti."
Il 31 luglio del 1942 Mussolini, ora nelle vesti del Duce, annesse, con l’aggressione, il sud della Drava banovina. Queste furono le sue parole in occasione dell’incontro con i comandanti militari, tenutosi a Gorizia, riferendosi alla zona occupata in Slovenia:
"Questo paese è degenerato. Si dovrà eliminare il suo frutto velenoso per mezzo del fuoco e della spada… Agiremo come Giulio Cesare con la Gallia ribelle: bruciando i paesi in rivolta, ammazzando tutti gli uomini oppure mandandoli nell’esercito, portando lontano da casa e riducendo alla schiavitù donne, vecchi e bambini …".
Nel registro di quest’incontro conservato in archivio vi si legge un ulteriore comando del Duce: ‘Non sono contrario all’emigrazione di massa del popolo… Questi popoli si ricorderanno che la legge di Roma è inflessibile. Ordino l’applicazione di questa legge…"
Il comandante del XI corpo dell’Armata Mario Robotti riferì ai suoi subordinati il seguente comando di Mussolini, risalente al 12 agosto 1942: "Le autorità superiori non sono contrarie alla deportazione dell’intero popolo sloveno insediandovi Italiani…, in altre parole: unificazione dei confini nazionali e politici…".
In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene proposta la deportazione della popolazione slovena. "In questo caso scrisse si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all'interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana".
I campi di concentramento e deportazione italiani furono almeno 31 (a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, ecc.), disseminati dall'Albania all'Italia meridionale, centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto. Solo nei lager italiani morirono c.a. 11.000 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (Yugoslavia) ne morirono 1.500 circa. Vi furono internati soprattutto sloveni e croati (ma anche "zingari" ed ebrei), famiglie intere, vecchi, donne, bambini.
A Melada (Zara) in Dalmazia, il 29 giugno 1942 arrivò il primo trasporto, composto da 76 uomini, 103 donne e 44 bambini. In breve, le presenze nel campo salirono a 1.320 persone. In data 15 agosto 1942 erano rinchiusi nel campo 1.021 donne, 866 uomini e 450 bambini, di cui 10 nati nel campo. Molti dei prigionieri vennero via via trasferiti in Italia, alle Fraschette di Alatri in particolare. Il maggior numero di presenze si registrò, al netto dei trasferimenti, il 29 dicembre 1942 con 2.400 prigionieri. Il campo cessò la sua attività il 9 settembre 1943. Le stime dei ricercatori e degli storici valutano in circa 10.000 il totale dei prigionieri passati per Melada, con un numero di morti pari a 954. In questo totale non è possibile sapere se sono compresi i 300 fucilati quali ostaggi.
Altri campi furono organizzati a Mamula e Prevlaka, nel Cattaro, e a Zlarino (Zara).
E’ certo, tuttavia, che il campo più tristemente famoso fu quello di Arbe (Rab), nell’isola omonima, ove alla fine del giugno 1942, dopo aver evacuato forzosamente gli abitanti delle case della zona scelta per l’insediamento del campo, dopo aver allargato una strada, i soldati italiani diedero il via all’installazione di circa mille tende, ciascuna da sei posti.
A proposito ecco un documento del 15 dicembre 1942, in quella data l'Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati "presentavano nell'assoluta totalità i segni più gravi dell'inanizione da fame" ( la morte sopraggiungeva soprattutto per la fame), sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".
Robotti continuò a riportare il comando di Mussolini:
"Totale evacuazione quindi… Ignorate la sofferenza del popolo… Si capisce che la deportazione non esclude l’uccisione di tutti i colpevoli o dei sospettati di attività comunista…".
"Bisogna ricostruire a qualunque prezzo la supremazia italiana ed il suo prestigio, a costo dell’estinzione di tutti gli Sloveni e della distruzione della Slovenia…".
Per questo motivo non stupisce il comando del generale Robotti trascritto a mano dal capo di Stato Maggiore Annibale Gallo il 4 agosto 1942: "Si ammazza troppo poco!"
Troppo poco! Una dettagliata ricerca scientifica ha tuttora rilevato che le autorità italiane d’occupazione 41-43, attraverso l’esercito regolare, ( poi i massacri continuarono da parte nazista e dei reparti fascisti italiani e collaborazionisti sloveni) vi uccisero 1.569 Slovene e Sloveni. I nomi ed i cognomi degli ostaggi uccisi, dei condannati e dei paesani deportati sono archiviati nell’Istituto sloveno di storia contemporanea.
Si seguito solo in una zona ristretta nei pressi di Gorizia, controllata dall’esercito italiano e in cui i partigiani non erano ancora in grado di agire.
07/04/42 Moforte del Timavo e Succoria due civili fucilati 11 case bruciate 287 civili deportati.10/05/42 Succoria 3 civili uccisi.
04/05/42 zona Spodnia Bitnja 28 civili uccisi 117 case bruciate 462 civili internati
21/07/42 Podgrig 5 civili uccisi 6 case bruciate.
8/08/42 Ustie e Uhanje 8 civili torturati e uccisi, 36 civili arrestati 80 case bruciate.
4/12/42 Gradisce 3 civili uccisi e uno sfuggito alla morte.
24/02/43 Predmea 6 civili trucidati e una casa bruciata.
08/03/43 Erzelij tutta la popoazione deportata.
10/03/43 Kozjane paese bruciato.
31/03943 Gaberije, Planina,Sanabor, Bela, tutta la popolazione deportata.
16/05/43 Stijak 13 civili uccisi 31 case bruciate
23/06/43 Vojsko 4 civili uccisi. 20 arrestati 30 case bruciate.
Ecc.......
Va ricordato anche l’accorato appello del Vescovo di Gorizia alle autorità fasciste, in cui si chiedeva di fermare le violenze contro la popolazione civile ritenuta composta da " buoni cristiani".



Il 30 aprile ricorre il 67° anniversario della strage di Lipa-Croazia, in cui 269 civili furono trucidati da reparti nazisti e fascisti e bruciati, 85 erano bambini con meno di 12 anni.
Furono inoltre decine di migliaia i civili falciati dai plotoni di esecuzione italiani, dalla Slovenia alla "Provincia del Carnaro", dalla Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e Montenegro e in Grecia, senza aver subito alcun processo, ma in seguito a semplici ordini di generali dell'esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti.

Dino  Ariis

(Pubblicato nel 2010 sul Blog "Guerra nel Gemonese")

domenica 24 aprile 2011

25 aprile, un manifesto dell'Anpi di Gemona - Venzone

Nella ricorrenza del 25 aprile, la sezione Anpi di Gemona-Venzone ha diffuso un manifesto nel quale ricorda le caratteristiche essenziali della Resistenza nel Gemonese, sottolineando in particolare l'attività dei battaglioni osovani "Ledra" e "Prealpi" (di quest'ultimo viene anche riprodotta la storica bandiera), esprimendo poi  "pubblica riconoscenza a questi combattenti perché, col loro sacrificio e con le loro azioni nel Gemonese, hanno contribuito a liberarci dalla barbarie nazifascista creando le condizioni per la nascita di un'Italia libera e democratica, ispirata ai princìpi e alle regole fissati nella Costituzione".

sabato 23 aprile 2011

La memoria della Todt a Gemona – 4 – Testimonianza di Romeo Gubiani



Nel '44 sono arrivati quelli della Todt (una sorta di Genio militare) a fare i primi lavori sulla pista di aerei di Osoppo, per circa un Km. Io avrei dovuto rientrare sotto le armi (fino all'8 settembre ero a Tolmezzo, da dove sono scappato) e mi mandavano anche le cartoline precetto, ma lavorando con la Todt sapevo che avrei potuto essere esonerato dal servizio militare.
Finita la pista, siamo andati a fare fortificazioni sul Cumieli. Stavano infatti montando delle baracche; c'era un italiano a fare da interprete e lui mi ha fatto assumere. Era l'Impresa Dittus di Konstanz. Mi avevano mandato ancora cartoline-precetto, ma bastava che le presentassi in ufficio per annullarle.
C'erano operai da ogni parte del Friuli, anche persone rimaste tagliate fuori dal fronte. Dopo qualche tempo sono arrivati i cosacchi; uomini, donne, carrette. Nei primi tempi c'erano delle famiglie, anche Moldave, poi li hanno mandati oltre Tagliamento. Sono rimasti quindi solo militari, dell'esercito formato in Russia contro Stalin.
Le relazioni reciproche erano abbastanza buone. C'era qualche piccolo attentato  qualche volta (per esempio una volta, sulla piazzetta, è stato fatto saltare un compressore) ma senza che arrecassero grossi danni. Il bauleiter Finzer alloggiava nelle elementari, col baufuherer Otto e altri ufficiali.
Non c'erano dissidi, coi tedeschi; andavano in giro per le case, conoscevano tutti... Avevano fatto allargare  una galleria (dove tenevano in fresco la birra) come rifugio antiaereo. Tutte le gallerie delle fortificazioni venivano usate quando arrivavano i bombardamenti aerei...




La memoria della Todt a Gemona – 5 – Testimonianza di Noè Polame


Mio zio, mio padre e mio fratello avevano lavorato con la ditta Ceschia per i tedeschi nella pista dell'aeroporto di Osoppo, quando i tedeschi avevano costruito una pista di 4 chilometri. Col treno arrivavano i carri armati, carri da 60 tonnellate,  che venivano caricati a Osoppo su dei Gopta, aerei che avevano tre motori per ala e dodici ruote per lato; dopo il rullaggio, partivano sulla pista e venivano mandati giù a Cassino.
Eravamo una squadra, con la Tomaschitz-Cosano, lavoravamo 12 ore al giorno,  prendevo 930 lire al mese. Partivamo da Venzone e andavamo a lavorare con la Todt a S. Agnese. Passavano i bombardieri... lanciavano dei manifestini, e i tedeschi mi mandavano a raccoglierli, per bruciarli (ma un paio ne ho conservati). 
I partigiani facevano spesso sabotaggi e portavano via materiali.
Il tedesco mi ha poi mandato a Rivoli Bianchi: c'era una macchina per spianare. Io e un altro, con la civiera, andavamo a prendere le pietre per la massicciata. I tedeschi avevano gia pronti  dei pezzi di binario, lunghi 4 metri, per sostituire i pezzi andati distrutti coi bombardamenti (gli aerei alleati venivano fuori dalla "buse di Bordan" per lanciare bombe sulla ferrovia; la prima volta uno dei nostri si é ferito per essere andato a sbattere sulle rocce, con lo spostamento d'aria..)..
Un giorno, eravamo nascosti nella galleria del Crist, dove andavamo a nasconderci durante i bombardamenti. Il bauleiter ci ha ordinato di andare a lavorare anche quando c'era il preallarme: noi ci siamo rifiutati e allora lui ha fatto intervenire un camion di soldati, armati tutti con la machinen pistolen, così, per una settimana, abbiamo dovuto obbedire. Un giorno la seconda puntata di bombardieri ha colpito un tedesco che era di guardia, facendogli portar via la testa. Ci siamo nascosti un buco, tolti la giacca di servizio e messa sulla testa... siamo stati mezzo sepolti dal pietrisco nello spostamento d'aria...
Calata finalmente la polvere, abbiamo visto che il capo stava  facendo l'appello: é stato lui a farmi notare che ero ferito alla testa, che sanguinavo per una scheggia... Sono intervenuti dei mezzi di soccorso tedeschi: due donne mi hanno medicato e mi hanno dato del liquore forte per farmi passare il dolore. I tedeschi ci hanno dato ciascuno dieci centesimi e una pagnotta, permettendoci di andare a riposare per un po'.
Io, poi, - dopo settembre - ho chiesto trasferimento a Venzone. Mi hanno assegnato un altro lavoro.

Il ponte di Rivoli Bianchi bombardato

(Pubblicate nel dicembre 2008 sul Blog "Guerra nel Gemonese")

giovedì 21 aprile 2011

Testimonianze dalla Todt nel Gemonese - II

La memoria della Todt – 1 – Testimonianza di Marcello Copetti

I responsabili della Todt di Gemona, il maggiore Finzer e il capitano Otto, curavano i lavori delle fortificazioni. C'erano diversi partigiani fra i dipendenti della Todt, ma comparivano solo al mattino a firmare il registro delle presenze e poi non si facevano più vedere.
In casa di mio nonno, in via Turisello, era una delle sedi dei tedeschi. Mio padre ci lavorava come macellaio; se serviva vino andavano da Orlando, se servivano sigarette mandavano subito a prenderle al tabacchino. Diversa gente veniva a chiedere della carne e venivano aiutati.
In Borgo Mulino c'era la cucina da campo; allevavano maiali fino agli 80-100 chili poi i capoccia delle SS si riunivano e li facevano macellare.

                                  
                         Marcello Copetti (1940 – 2008)

La memoria della Todt a Gemona – 2 – Testimonianza di Enzo Orlando

Io ho iniziato a lavorare nella Todt nel luglio del 44. Io e i miei fratelli avevamo acquistato  un camion a gasogeno, a carbone di legno: facevamo diversi viaggi (anche fino a Cordovado, dai mulini Variola) per prendere farina e distribuirla alla popolazione.
Tutto il complesso dei lavori, in fondo, era poca cosa; occupare gente serviva solo a che non andassero coi partigiani.
Una sera,  tornavamo da Avasinis, (si era verso l'ottobre del '44) io e Cesare, che era alla guida. Sul camion, nella cabina, c'erano due tedeschi e due ragazze, impiegate ad Avasinis. Dietro, sul cassone, c'eravamo io, l'elettricista Minisini e un altro di Ospedaletto. La strada era interrotta da un calesse cosacco, che urtò il camion. Il cavallo, ferito, venne ucciso da due cosacchi, subito comparsi, col parabellum. Il proprietario del calesse, un ufficiale cosacco, si fece indicare l'autista e, immediatamente, lo prese a schiaffi; poi fece disarmare i due tedeschi. Dopo un lungo parlottare, i cosacchi trattennero il camion e l'autista, rimandandoci a casa a piedi (e sparando anche qualche colpo in aria alle nostre spalle). Arrivai a casa trafelato; con mio fratello, su un altro camioncino, andai a Ospedaletto, dove i due tedeschi erano già arrivati e, inferociti, erano andati a rapporto da Finze. Egli ci affidò una scorta di tre soldati della Wehrmacht, con la quale passammo tutti i paesi di oltre Tagliamento, ma senza trovare traccia né del camion né dell'autista. Questi comparve qualche ora più tardi, raccontando di avere portato l'ufficiale  cosacco e la moglie a Buia, dov'erano di stanza e dove gli avevano anche offerto la cena!
Il giorno successivo venimmo chiamati nell'ufficio di Finze, dove dovemmo raccontare tutti i particolari. L'autista descrisse il viaggio e il luogo dove il cosacco abitava.
Venimmo poi a sapere che due SS erano state mandate a Buia, avevano trovato l'ufficiale cosacco, gli avevano chiesto se effettivamente era stato lui a far disarmare due soldati tedeschi e, avutane la conferma, nonostante quello si giustificasse, attribuendo il fatto a un momento di collera conseguente alla perdita del cavallo, lo uccisero seduta stante a colpi di machine-pistole.

     

Vincenzo Orlando (1931 – 2007)

La memoria della Todt a Gemona – 3 – Testimonianza di Antonio Gubiani


Mio cognato sapeva adoperare la pala meccanica e lo avevano mandato a lavorare ai Rivoli Bianchi e poi a Dogna. Ritornato in paese, aveva lasciato la pala meccanica in piazza ma, durante la notte, i partigiani l'hanno fatta saltare. Al mattino dopo lui piangeva! D'altronde doveva pur andare a dormire ogni tanto, non poteva stare sempre a sorvegliarla!
Una volta il Bauleiter Finzer ha ordinato a me e a un altro di costruire un cabina nel borc dal Mulin: l'abbiamo fatta con pali ed assi, perché potessero metterci un trasformatore. Un giorno l'interprete ci ha detto di fermarci, perché il Bauleiter doveva parlare con noi.
E' arrivato, ha tirato fuori la pistola e ci ha chiesto:
- Cosa avere nella tasca?
Il mio socio ha tirato fuori una bottiglia di birra contenente dell'olio preso nel trasformatore: evidentemente un tedesco lo aveva visto e aveva avvisato Finzer.
Ci ha lasciati andare, avvisandoci però che se fosse successo di nuovo ci avrebbe spediti subito in Germania.
C'era una baracca da disfare: io, mio cugino e un altro non riuscivamo mai a finire il lavoro perché venivano continuamente gli aerei a bombardare.
Ci hanno dato l’ordine di smontarla di corsa; in cambio ci avrebbero offerto una pastasciutta. Lavorando di notte, senza interruzioni, in due ore abbiamo finito il lavoro. Non abbiamo voluto la pastasciutta, ci siamo accontentati di una birra.
Avevano messo in funzione una sega circolare e ogni settimana avevamo venti quintali di legna da tagliare per il gasogeno.
Mi hanno chiamato anche la mattina di capodanno, per andare a tagliare la legna!
Nella Todt c'era anche un francese: quando hanno fatto saltare il ponte di Braulins, si era messo a dirigere i lavori di riatto.

Antonio Gubiani (1921 – 2007)



martedì 19 aprile 2011

Testimonianze dalla Todt nel Gemonese - I

GEMONA: I VECCHI OPERAI DELLA TODT HAN QUALCOSA DA RACCONTARE...


Nella proposta di iniziative tese a ricostruire le vicende di Gemona e del Gemonese nel corso della seconda guerra mondiale, proponiamo un nuovo filone.
Partiamo da due appunti scritti da sacerdoti, sulla situazione di Gemona tra il 44 ed il ‘45. Il primo è dell'allora parroco di Ospedaletto, a fornire l’importante dato delle imprese operanti al servizio della Todt:
 il paese di Ospedaletto s’era trasformato in un grande cantiere ove (oltre i comandi dell’O.T., Pionieri ed Enzian) sotto la direzione dell’Impresa Holzmann vi lavoravano altre nove imprese: Goi, Dittus, So-ho-me, Tomaschitz-Cosano, Brigo, Cassi e Lupieri, Perini, Morsello e Sturli.
Il secondo, è quello già citato di prè Pieri Londar, a descrivere l’imponente mole dei lavori predisposti dalla Todt:
"In Cjamparis, sul Cumieli, sul cuel di Dorondon a' vevin dut ben finît: busis, postazions, trinceis, fossalons, galariis, magasens, dut in ordin. Il Cumieli al era tant sbusât ch'al sameave un colepaste. Sante Gnês 'e jere difindude ancje di dôs filis di piramidis..." (I Cosacs in Friul, p. 45).

Ora, dei “reperti fisici” (bunker, gallerie, trincee…) si è già parlato, auspicando la possibilità di attuare iniziative per il loro recupero. Ma altrettanto importante (e probabilmente più urgente)  è dare spazio alla raccolta delle memorie, dei ricordi di quanti nella Todt hanno lavorato: cos’hanno fatto e dove, quale era il rapporto con i tedeschi e con i partigiani…
Qualcosa è stato fatto, ma tanto bisognerebbe fare (e presto, perché i protagonisti sono sempre di meno).
Una volta di più, si ribadisce che le pagine di questo blog ospiteranno volentieri testimonianze di questo tipo. Il materiale (registrazioni, fotografie, documenti acquisiti con lo scanner, trascrizione di interviste…) possono essere inviate all’indirizzo di posta elettronica alessoedintorni@gmail.com   per essere poi pubblicate sul sito.
Dal Blog "Guerra nel gemonese", novembre 2008

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