Album di guerra

Album di guerra
I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

domenica 22 gennaio 2012

Giornata della memoria: iniziative tra Tolmezzo e Verzegnis

Ecco il calendario delle proposte emerse nell'ambito della "Conca Tolmezzina"  nella rassegna "Memoria Ricordo" in occasione della "Giornata della Memoria":



Venerdì 27 gennaio, ore 18.00:
Centro servizio museali (a lato del museo Gortani di Tolmezzo)
“Intervista a Romano Marchetti”

Presentazione del video realizzato da Fabio Verardo. Interverrà Enrico Folisi e sarà presente Romano Marchetti.
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Teatro comunale Candoni - Domenica 29 gennaio 2012 - ore 18,00
“Ghetto Swingers. Jazz, parole e immagini”
Spettacolo-concerto tratto dal diario del musicista berlinese Erik Vogel. Lettura di Roberto Pagura.
Musiche originali eseguite dal vivo da Armando Battiston(pianoforte) e Paolo Bernetti (tromba)
Immagini prodotte dal vivo di Massimiliano Gosparini.
“Ho scritto questa storia senza odio né spirito di vendetta…
credo nella forte missione di morte jazz, una missione
di fratellanza e di comprensione fra i popoli…
è il simbolo della libertà di espressione e di democrazia,
un potente arma di battaglia per questi ideali
(E. Vogel)”
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TOLMEZZO Sala multimediale di Palazzo Frisacco - Venerdì 10 febbraio 2012 - ore 18,00
“Foibe ed esodo. Una riflessione sulla storiografia recente”
Conferenza del prof. Gian Carlo Bertuzzi, presidente dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia.
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VERZEGNIS, laboratorio teatro didattico
Biblioteca comunale di Verzegnis (Intissans) - Domenica 12 febbraio 2012 - ore 15,00
“La memoria attraverso il legno” Laboratorio manuale per bambini di 5-12 anni

lunedì 16 gennaio 2012

Carnia. Le "storie ignorate" di Lovea e dintorni

E' uscito  recentemente "Carnia. Dalle storie ignorate al mito del cavallino rampante", di Guido della Schiava, un libro di 174 pagine stampato col contributo dei Comuni di Arta Terme e Paularo e della Comunità Montana della Carnia.
Il libro rappresenta un prezioso contributo alla ricostruzione del legame tra la microstoria locale e la più vasta storia  del territorio in generale. Le pagine sugli "incidenti aerei"  accaduti nei pressi di Lovea nella prima e nella seconda guerra mondiale sono dettagliate e precise  e dimostrano come, operando concretamente sul  campo, possano essere raccolti tanti preziosi dettagli che, opportunamente  assemblati, consentono di ottenere una chiara ricostruzione di fatti che, diversamente, risulterebbero slegati. Prezioso anche il lavoro di raffronto delle fonti parrocchiali all'epoca della prima guerra mondiale e interessante (pur se difficilmente dimostrabile) la storia dell'utilizzo del logo del cavallino rampante di Baracca (l'autore ipotizza che il pilota italiano abbia utilizzato come proprio il simbolo di un aereo austriaco abbattuto e che lo stesso sia poi diventato il logo della Ferrari. 
Per quanto riguarda lo specifico della seconda guerra mondiale, oltre all'episodio della  caduta dell'aereo americano del 4 aprile 1945, il libro offre importanti notizie su altri episodi quali l'uccisione di "Fulvia" e del "pastore di Cucco" nel 1944, della presenza di una famiglia ebrea salvata dalla solidarietà dei valligiani,  di vari episodi relativi alla occupazione cosacca e alla ritirata tedesca.


Sul libro, si è così espresso il prof. Piutti: 

La Carnia di Guido Della Schiava.
E’in edicola la nuova fatica letteraria di Guido della Schiava. Dopo l’originale e piacevole “Onorevole Pescivendolo” simpatica e curiosa presa in giro di personaggi locali, Guido fa un salto di qualità nell’impegno e negli obiettivi che si assume, e pubblica ora il frutto di una non facile ricerca, condotta con meticolosità, volta a ricostruire alcuni momenti significativi della storia del suo paese, Lovea di Arta Terme. Già nella copertina si anticipa in una sintesi molto efficace il contenuto. Carnia, dalle storie ignorate al mito del cavallino rampante è il titolo. Da un lato quindi l’obiettivo di fissare sulla carta le storie dei paesi per evitare che vadano dimenticate, ora che s’è persa la tradizione e quindi il piacere del raccontare. Dall’altro la volontà di mettere in evidenza i momenti nei quali la grande storia si incrocia con la piccola storia. E infatti un sottotitolo a margine riassume in una sorta di indice i temi trattati: le guerre, i disastri aerei, Francesco Baracca, Benito Mussolini, la gente comune, il logo Ferrari. Un mix che può far pensare ad un guazzabuglio di fatti accostati a caso e che invece costituisce la vera originalità del libro. Guido cerca di cogliere il riflesso che hanno lasciato nella storia locale i personaggi della grande storia, per far sì che da questo riflesso tragga importanza anche quello che è soltanto il quotidiano d’un piccolo paese. Punta la sua attenzione sui momenti della guerra, perché è quella la circostanza nella quale l’uomo al di là del rango, delle origini, della ricchezza, si trova a misurarsi con la morte, in una discriminante assolutamente individuale tra vigliaccheria ed eroismo. Carnia e non Lovea è giustamente il titolo del libro perché la storia d’uno dei paesi diventa emblematica della storia del territorio, e la storia del paese alle falde del Sernio, nella ricostruzione di Guido, si incrocia e si fonde con quella della Carnia. Centrale nel libro la figura di Francesco Baracca, eroe nazionale dell’aviazione. Una figura che viene ricostruita in tutta la sua Francesco Baracca ricorda come una delle sue “belle vittorie” l’abbattimento di un d’un aereo, finito nel Selet di Lovea. Ma il Selet è oggi un intrico di liane che copre i prati abbandonati, regno dell’edera, che si insinua nel muro degli stavoli. La storia di Baracca così si insinua nella storia dei luoghi, delle donne che si recavano ogni giorno ad accudire le bestie, dei prati che venivano falciati dei campi coltivati con grandi fatiche, in una parola, d’una Carnia che non c’è più. E come impigliate nel ricordo del grande aviatore, tornano a galla le storie della gente comune, o quella di Pra Rinaldo, il prete Archimede, le immagini della prima guerra mondiale, negli stralci dei diari dei preti del tempo, e quelle della seconda, con l’aereo che si schianta sul Sernio, ma anche le figure del Pastòr di Cuc e di Fulvia uccisi dai partigiani. E l’aereo abbattuto da Baracca nella prima guerra mondiale riporta, come fosse un eco, al rumore di quello che si è schiantato contro il Sernio nella seconda guerra mondiale, recuperato e trasformato in tanti arnesi di uso comune, dai bravi artigiani di Lovea. O all’episodio di fine guerra, con la scena dei paracadute che piovono sulla campagna del paese e con il bombardiere americano che si schianta tra gli stavoli del paese. La povera donna intenta alla mungitura “aprì a stento la porta e si affacciò all’uscio: di fronte, a pochi metri dall’ingresso della stalla, c’era la punta dell’enorme ala del bombardiere che quasi poteva toccare allungando il braccio” Momenti di spavento e di paura, ma anche occasione per dimostrare la l’umanità d’un paese che rischia cercando di nascondere gli aviatori perché non vengano trovati dai cosacchi, con Pra Rinaldo che non fa in tempo a vestire d’una sua tonaca uno dei malcapitati cercando di farlo passare per prete.. Come nel racconto così anche nella interessante documentazione fotografica, le immagini di rilievo nazionale si mescolano a quelle locali. Fianco a fianco, solo per fare un esempio, si trova Baracca che posa nel Salèt accanto all’aereo abbattuto e la prima squadra di calcio del paese di Lovea che giocava nel campo di calcio realizzato nei pressi del punto ove era finito l’aereo. Ma poi, come s’è detto, da Lovea l’obiettivo si apre sulla Carnia. Così Carducci che racconta della sua gita fino a Paularo, diventa una guida per riscoprire le bellezze della Val Chiarsò. Mentre Benito Mussolini soldato in Carnia nella prima guerra mondiale diventa una guida per conoscere la Carnia dei torrenti che “urlano tra le gole dei monti” e “intanto ad Illegio arriva il re” a controllare assieme a Cadorna i lavori della nuova strada per Lunze. Ma su tutti i racconti pare aleggi insistente ancora l’ombra di Francesco Baracca che volteggia nella val Chiarsò ed abbatte il suo quarto aereo. Che invece sarebbe il quinto. E “secondo il rituale bellico-cavalleresco del tempo la quinta vittima consentiva al pilota da caccia di assumere la qualifica di asso, ed era usanza che, a ricordo dell’avvenimento venisse adottata come insegna quella dell’ultimo nemico abbattuto. Era il cavallino rampante insegna della città di Stoccarda, che così divenne insegna dell’aereo di Baracca e che poi i genitori dell’eroe affidarono ad Enzo Ferrari. Un piccolo paese Lovea, ma anche altri piccoli paesi sono diventati famosi perché vi si sono svolti fatti importanti. Qui potrebbe aver avuto origine il mito del cavallo rampante della Ferrari. Guido ci crede. E s’immagina già il pellegrinaggio di tanti fans della Ferrari, a vedere il posto dove è nato il mito…Perché no?..  (da http://piutti.blogspot.com)

sabato 7 gennaio 2012

Sergio Romano, sul "Corriere della Sera", affronta il tema della fine dei cosacchi, dalla Carnia alla Drava

Le vicende della Carnia del 1945 e la fine dell'occupazione cosacca vengono riprese sulla stampa nazionale nella rubrica "Lettere al Corriere" tenuta da Sergio Romano.


TOLMEZZO Si erano arresi senza combattere. Una pagina di storia tragica della Carnia 
Romano: «I cosacchi furono traditi dagli alleati»

Sabato 7 Gennaio 2012, Il Gazzettino
TOLMEZZO - (D.Z.) «Gli alleati tradirono i cosacchi, pur dopo che questi ultimi stanziatisi in Carnia, si arresero volontariamente senza combattere alle truppe britanniche del generale Alexander»; lo fecero «perché in loro prevalsero considerazioni politiche e forse, banalmente logistiche: troppe persone senza patria da dover alloggiare, nutrire, vestire» ma alla fine «lo spettacolo di tante persone votate all'ennesima purga staliniana turbò per molto tempo le loro coscienze». Così uno dei maggiori storici italiani, Sergio Romano, è ritornato su una delle tragedie dimenticate della Seconda Guerra Mondiale, ovvero il suicidio di massa e la riconsegna all'Armata Rossa delle truppe cosacche nel maggio 1945 nella valle della Drava austriaca. Lo ha fatto sullo sprone di un lettore che giovedì lo ha pungolato sul suo spazio delle lettere nel Corriere della Sera. Con il titolo "Quando gli alleati tradirono i cosacchi di Tolmezzo", Romano ha cercato di ricostruire in sintesi la breve storia di questo popolo, «circa 35 mila persone, tra soldati e gruppi familiari, che si erano accordati con l'esercito tedesco durante la ritirata: erano nella provincia di Udine vicino alla frontiera austriaca da quando Alfred Rosemberg, ministro nazista dell'Est e grande teorico dell'antisemitismo aveva concesso loro, qualche mese prima, una zona di residenza da utilizzare come base strategica. Avrebbero dovuto opporsi all'avanzata degli Alleati verso l'Austria». 



Questo il testo integrale della lettera arrivata al Corriere e della risposta di Romano:


QUANDO GLI ALLEATI TRADIRONO I COSACCHI DI TOLMEZZO

Una tragedia dimenticata: il suicidio di massa e la riconsegna all’Armata Rossa delle truppe cosacche e delle loro famiglie che dopo essersi insediate nella Carnia italiana si spostarono alla fine della Seconda guerra mondiale, nel maggio 1945, nella valle della Drava austriaca. È veramente difficile accedere a fonti sulla vicenda; qual è la sua conoscenza dei fatti?

Lorenzo Puccetti , 
QUANDO GLI ALLEATI TRADIRONO I COSACCHI DI TOLMEZZOCaro Puccetti,
Il caso dei cosacchi di Tolmezzo è soltanto il capitolo di una più grande tragedia: quella dei cittadini sovietici (due milioni secondo alcune fonti) che gli Alleati, sulla base degli accordi di Yalta, consegnarono all’Urss dopo la fine della guerra. Molti erano disertori dell’Armata Rossa e avevano combattuto con i tedeschi nelle file dell’esercito del generale Vlassov. Altri erano stati «collaborazionisti », a vario titolo, e appartenevano generalmente a gruppi sociali e nazionali — i cosacchi, i georgiani, gli ucraini, i baltici, i tedeschi del Volga, i ceceni e altre nazionalità caucasiche— che si erano battuti contro i Rossi durante la guerra civile, sino al 1921, e non avevano mai smesso da allora di considerare l’Unione Sovietica come una potenza coloniale. Avevano accolto la Wehrmacht come un esercito di liberazione e ne avevano condiviso le sorti.

I cosacchi di Tolmezzo erano circa 35.000 e formavano un piccolo popolo composto, più o meno in parti eguali, da soldati e da gruppi familiari che si erano accodati all’esercito tedesco durante la ritirata. Erano nella provincia di Udine vicino alla frontiera austriaca, da quando Alfred Rosenberg, ministro nazista dell’Est e grande teorico dell’antisemitismo, aveva concesso loro, qualche mese prima, una zona di residenza da utilizzare come base strategica. Avrebbero dovuto opporsi all’avanzata degli Alleati verso l’Austria, ma si arresero senza combattere alle truppe britanniche del generale Alexander dichiarando che il loro solo nemico era Stalin e che soltanto per questo avevano deciso di combattere a fianco dei tedeschi. Dopo qualche scambio di messaggi fra lo Stato maggiore, il ministero della Guerra e il Foreign Office, il governo britannico, tuttavia, decise di rispettare l’impegno di Yalta e raggruppò i cosacchi di Tolmezzo, insieme ad altri contingenti russi, georgiani e croati, accanto alla città di Lienz nella valle austriaca della Drava. Quando venne il momento della consegna ai sovietici vi furono sommosse, scioperi della fame e numerosi tentativi di suicidio. Anche gli inglesi, nel frattempo, si erano resi conto di ciò che sarebbe accaduto ai loro prigionieri non appena avessero attraversato la cortina di ferro. Ma a Londra prevalsero considerazioni politiche e, forse, banalmente logistiche. Gran parte dell’Europa centrale, in quei mesi, era divenuta un enorme accampamento di profughi, disertori, fuggiaschi, militari sbandati: un popolo di «displaced persons », gente senza casa e senza patria, che occorreva alloggiare, nutrire, vestire e, per evidenti ragioni di ordine pubblico, separare dal resto della popolazione. Ma lo spettacolo di tante persone votate all’ennesima purga staliniana turbò per molto tempo le coscienze di coloro che li avevano consegnati ai sovietici. Troverà il racconto di quella vicenda, caro Puccetti, nei libri di Nicolaj Tolstoj e in un libro di Nicholas Bethell intitolato «The last secret» (l’ultimo segreto), apparso a Londra nel 1974 e tradotto in francese l’anno seguente. Non credo che ne esista una edizione italiana.


(da: http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/12_Gennaio_05/QUANDO-GLI-ALLEATI-TRADIRONO-I-COSACCHI-DI-TOLMEZZO_c5066408-3767-11e1-8a56-e1065941ff6d.shtml )

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