Il secolo memorabile di Romano Marchetti l’anima della Carnia
L’ex partigiano dalla lingua tagliente ha compiuto 100 anni «Chiudere il tribunale è andare contro la Costituzione»
di Domenico Pecile
TOLMEZZO. Colto. Cocciuto. Intransigente. Determinato. Ma anche lottatore indefesso e sognatore disincantato. Lo chiamavano il partigiano senza pistola perché lui, l’osovano divoratore di libri, si concedeva altre “armi”. Preferiva le gambe, il cuore e soprattutto la testa. Voleva e sapeva convincere. E soprattutto non aveva e non ha ancora alcun timore reverenziale nei confronti di chi ritiene responsabile di infrangere il suo sogno di libertà e verità.
Romano Marchetti, 100 anni compiuti e festeggiati ieri nella sede consiliare, era e rimane un uomo tutto d’un pezzo che combatte ancora invocando l’articolo 3 della Costituzione che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini e che invita lo Stato a rimuovere gli ostacoli che limitano questo processo.
Lo ha ribadito anche ieri, Marchetti, gridando il suo pessimismo sul futuro della sua Carnia e puntando il dito accusatore contro il premier uscente “reo” di avere avallato la chiusura del Tribunale di Tolmezzo. «Chiudere il Tribunale – sentenzia amaro – significa andare di fatto proprio contro la Costituzione perché quegli ostacoli da rimuovere di cui parla l’art. 3 di fatto diventano insormontabili. Senza Tribunale di Tolmezzo la giustizia non è diffusa in maniera equa su tutto il territorio».
Lo ha detto senza mezzi termini anche al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la sua visita recente visita in Carnia.
Uomo scomodo, Marchetti, dirà più tardi il presidente della Giunta regionale, Renzo Tondo, scomodo ma sempre leale, autentico. No, non ha mai fatto sconti nessuno, soprattutto a chi comandava. Era la vigilia elettorale del 1948 quando entrò in rotta di collisione con uno dei futuri padri della Regione, Tiziano Tessitori. Marchetti – che appoggiava Parri e dunque i frontisti – ricorda così quell’episodio: «Chiudendo la campagna elettorale qui a Tolmezzo, Tessitori disse che trattava gli avversari come amici salvo poi definirci in maniera equivoca indicando il nostro simbolo quelli della man-tenuta. Reagii d’impulso. Qualcuno romanzò che volarono alcuni schiaffi di stampo ottocentesco. Vero è che mio fratello si mise in mezzo tra noi due e successe nulla. Il peggio per me arrivò dopo».
Lui, dirigente dell’Ispettorato dell’Agricoltura, laureato, inventore della «Cattedra di agricoltura ambulante in Carnia», fu convocato a Roma. Volevano trasferirlo d’urgenza a Pavia con la scusa che la sua esperienza era indispensabile colà.
Rassegnato, replicò che almeno fosse trasferito in una città di mare. E finì a Savona. Fu Comelli, agli inizi degli anni Sessanta, subito dopo la nascita della Regione, a richiamarlo in Friuli per affidargli un compito dirigenziale nella neonata struttura regionale.
Ma andò in rotta di collisione anche con l’allora presidente Comelli quando questi fece la legge sulle Comunità montane. «Di fatto – sono ancora le parole di Marchetti – così facendo ha diviso le due vallate, la Canal del Ferro e la Valcanale. Sottraendo dalla Carnia anche Gemona e Venzone. Non solo, ma anche vanificato gli sforzi di Michele Gortani che puntava alla creazione di centri amministrativi autonomi dalla Provincia. Così, quel sogno andò svanito».
Spigoloso, deciso. Ma anche grande tessitore. Come ha ricordato nel suo intervento il professor Pasquale D’Avolio, fu Marchetti il grande tessitore per la costituzione del Comando unico Garibaldi-Osoppo e anche uno degli artefici della grande esperienza della Zona libera della Carnia che egli – sono le parole di D’Avolio – «non vuole definire semplicemente Repubblica partigiana, non perché non si voglia riconoscere il ruolo che le forze combattenti partigiane ebbero nella liberazione del territorio nell’estate del 1944».
Un laico. Un maestro del riformismo. Un grande pensatore che tuttora ha un ruolo politico-culturale in Carnia. «Un maestro per tutti», dichiara uno dei partecipanti all’incontro di ieri.
Il sognatore secondo cui tutti i problemi della Carnia derivano dal fatto della perifericità di una zona rispetto alla quale Udine diventa giocoforza una sanguisuga perché i gangli di tutti i poteri politico amministrativi – ha sempre ripetuto l’osovano senza pistola – derivano dalla concentrazione burocratica del capoluogo friulano somiglianza della realtà romana.
da: Messaggero Veneto, 27 gennaio 2013
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