Album di guerra

Album di guerra
I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

martedì 9 dicembre 2014

Da Porzus a Ledis al Plauris. Le tappe friulane della guerra di MacPherson

Thomas MacPherson (1920-2014) fu, durante l'ultima guerra,  a capo di una delle più importanti missioni alleate in Friuli che operò nella zona di Porzs per spostarsi poi nel Gemonese (con basi in Ledis e sul Plauris). Il suo paziente lavoro "dietro le linee nemiche"  è stato riscoperto  e oggetto di indagine negli ultimi anni, dalle ricerche di Tommaso Piffer che ha reso noto il contenuto di svariate sue lettere e relazioni conservate negli archivi inglesi,  al materiale documentario pubblicato nel recente "Venzone in guerra",  ai contatti mantenuti con MacPherson da Pietro Bellina con l'auspicio di poter arrivare a un'edizione italiana del libro di memorie "Behind enemy lines"  pubblicato da MacPherson, con Richard Bath, nel 2010.
Ora che MacPherson se ne è andato all'inizio di novembre, c'è da augurarsi che tanti filoni di indagine storiografica avviati non vadano dispersi e vengano anzi portati avanti per riuscire a definire con maggiore precisione tanti aspetti della Resistenza friulana e del ruolo delle Missioni Alleate.
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Il Messaggero Veneto del  9 dicembre ha dedicato un ampio articolo alla scomparsa di MacPherson.


Addio a Thomas Macpherson, lo scozzese che liberò Gemona

La città piange il leggendario ufficiale mandato dagli Alleati a preparare l’insurrezione contro i nazisti. Convinse gli jugoslavi a ritirarsi. Tito anni dopo gli confidò: abbiamo provato a ucciderla tante volte
GEMONA. «Il 3 maggio 1945 una folla festante circonda le autoblinde inglesi appena entrate in paese. Arrampicate sulla torretta di un mezzo si scorgono due uomini discutere decisamente, uno porta il battledress ed il glengarry dei Cameron Highlanders, l’altro la titovka. Il maggiore Thomas Macpherson, scozzese 24 anni, sta trattando con un ufficiale dell’esercito di Liberazione jugoslavo, lo sta convincendo a ritirare la sua avanguardia: la zona è già nelle mani delle truppe britanniche».
Inizia così il racconto di Andrea D’Aronco, laureato in scienze storiche, in ricordo di Sir Ronald Thomas Stewart Macpherson scomparso che se n’è andato lo scorso 6 novembre.
«Una figura saldamente legata alla liberazione del Friuli e ai successivi primi turbolenti mesi di libertà», spiega il ricercatore. La notizia della morte dell’ufficiale britannico non è passata inosservata all’attento storico gemonese: «Chiunque si occupi di questo periodo - prosegue D’Aronco - conosce il personaggio, ma sono in pochi ancora in vita fra quelli che l’hanno conosciuto personalmente: fra questi Ezio Bruno Londero, ex sindaco Dc, che ha lasciato le sue memorie su un libello di qualche anno fa».
MacPherson dopo la fuga da un campo di prigionia in Germania dove era rinchiuso, venne rimandato in Italia nello “Special Operation Executive”, un’istituzione creata segretamente dal Ministero della Guerra economica per interessamento Winston Churchill: con il compito di “dare fuoco all’Europa”.
«Con l’avvicinarsi dell’offensiva alleata sul Po, anche in Friuli era giunto il momento di preparare l’insurrezione, considerando anche l’importanza strategica della statale Pontebbana quale via di ritirata per le truppe tedesche», continua lo storico. Macpherson, stabilitosi a Gemona al Battaglione “Prealpi”, al comando di Pietro Londero “Sardo”, predispose un piano di progressivo controllo del terreno nella zona di Gemona-Artegna e Malborghetto, in modo da bloccare le truppe tedesche che si sarebbero ritirate in massa dall’Italia Nord-Orientale.
Per dare man forte ai partigiani, MacPherson chiese al comando alleato di organizzare un lancio di paracadutisti su Gemona per il 28-29 aprile, ricevendo in risposta un diplomatico “Forse”, tramutatosi poi in un “No” il 2 maggio, con gli Inglesi alle porte di Ospedaletto.
«Testimone della viva acredine fra i comandi di Osoppo e Garibaldi, dell’ingerenza dei partigiani jugoslavi e primo a riferire agli alleati gli eventi di Porzus, il maggiore scozzese - prosegue D’Aronco - si rivelò essere una figura chiave nei problemi del confine orientale: la sua missione, invece di essere sciolta, venne mantenuta in seno alle forze del Governo Militare Alleato con compiti organizzativi (smobilitazione dei reparti partigiani, raccolta delle armi) e consultivi (controllo del confine, rapporti con gli jugoslavi ed ex-comandanti partigiani)». Alcuni anni dopo venne chiamato dal Maresciallo Tito sull’Isola di Brioni, così gli si rivolse: «Ah, Macpherson! Ho aspettato molto questo incontro. Abbiamo provato così tanto ad ucciderla».

sabato 15 novembre 2014

Addio a Franco Giustolisi. Fu anche a Trasaghis a parlare dell'armadio della vergogna

E' morto il giornalista Franco Giustolisi, autore del libro "L'armadio della vergogna" col quale denunciò l'insabbiamento di tante inchieste sulle responsabilità dei crimini nazifascisti nella seconda guerra mondiale.  Giustolisi fu anche a Trasaghis il  2 febbraio 2006 a presentare il libro in quella che fu una occasione  per ragionare anche sull'eccidio di Avasinis, un altro episodio dai contorni mai compiutamente definiti. 
Quella sera Giustolisi rilasciò anche una videointervista a  Dino Ariis che è stata poi inserita nel dvd "Avasinis luogo della memoria".

Sul ruolo e l'attività di Giustolisi, un ricordo da parte del procuratore militare padovano Sergio Dini che aprì anche una inchiesta specificatamente dedicata alla ricostruzione della vicenda di Avasinis. 


In quei fascicoli anche la storia del Nordest

Di Franco Giustolisi, il ricordo è recente: «Due mesi fa c'eravamo sentiti per l'ultima volta. Anzi più volte, in pochi giorni, per la vicenda dei fucilati di guerra. Negli ultimi 15 anni si era molto legato ai temi dell'armadio della vergogna e dei crimini di guerra. Temi che erano diventati la sua ragione di essere e di scrivere» ricorda il sostituto procuratore padovano Sergio Dini  che, per anni, è stato magistrato militare. 
Nel 1994 venne aperto quello scaffale rimasto incollato al muro in uno sgabuzzino di Palazzo Cesi-Gaddi a Roma. «Quell'anno cominciarono ad arrivare in procura militare i primi fascicoli sui crimini di guerra tirati fuori da quell'armadio della vergogna, una definizione storica coniata proprio da Franco Giustolisi. Denunciai l'occultamento dei fascicoli con un esposto al Consiglio della magistratura militare, chiedendo un'indagine conoscitiva sull'insabbiamento. In quei giorni Giustolisi scrisse un primo articolo sull'Espresso, poi si mise in contatto con me quando seppe della segnalazione. Da lì è nato il nostro rapporto». Sia Dini che Giustolisi, benché in ruoli diversi, furono sentiti dalla Commissione parlamentare d'inchiesta che indagò sul caso. Dai fascicoli estratti dall'armadio della vergogna l'allora pm militare Dini aveva aperto una serie di inchieste sugli eccidi nazifascisti. Tra questi, la strage di Pedescala avvenuta tra il 30 aprile e il 2 maggio 1945 in tre frazioni del comune di Valdastico (Vicenza); l'eccidio di Castello di Godego (Treviso) compiuto da una divisione tedesca in ritirata il 29 aprile del 1945 che massacrò 75 persone rastrellate nei paesi di Sant'Anna Morosina, Abbazia Pisani, Lovari e San Martino di Lupari; infine la strage di Avasinis, piccola frazione di Trasaghis (Udine) dove, il 2 maggio 1945, furono assassinate 51 persone soprattutto donne, vecchi, e bambini. 
«Ultimamente c'era un fascicolo che lo interessava e riguardava la fucilazione di diversi militari italiani da parte dei tedeschi a Spalato, dopo l'8 settembre. Aveva ipotizzato che uno dei responsabili fosse un altoatesino passato con i tedeschi, ribattezzando quella strage come "la piccola Cefalonia"» sottolinea ancora il pm Dini. Giustolisi, nonostante gli anni e la salute, non s'era fermato. «Si stava interessando dei crimini commessi dai militari italiani in Grecia e in Jugoslavia, vicende mai analizzate che, nel 2008, avevo segnalato sempre al Consiglio della magistratura militare. Ne scrisse sull'Espresso e sul Manifesto, ogni tanto gli veniva in mente qualcosa e mi chiedeva aggiornamenti». Non mollava mai Giustolisi. «Era un bravo giornalista che ha avuto il coraggio di alzare il velo su fatti inespressi e inconfessabili». Cristina Genesin

sabato 8 novembre 2014

Prosegue il dibattito sulle rappresaglie tedesche in Carnia




Il Messaggero Veneto, nelle ultime settimane, ha continuato ad ospitare diversi interventi incentrati sul sempre dibattuto argomento delle responsabilità delle rappresaglie tedesche in Carnia nel 1944-45. La discussione era ripresa da un intervento del sig. Simone Lansotti che ha  suscitato  diverse valutazioni, spesso contrastanti. 

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STORIA I tedeschi e le rappresaglie 


Messaggero Veneto,  9 settembre 2014


Il signor Pierpaolo Lupieri, con lettera pubblicata su questa rubrica, invitava il signor Simone Lansotti a riconsiderare le sue convinzioni secondo le quali le rappresaglie tedesche degli anni 1943/45 erano diretta conseguenza degli attacchi partigiani, portando ad esempio l'attacco partigiano che causò l'incendio di Forni di Sotto. Sottolineava altresì Lupieri che «le disposizioni naziste di allora, in spregio a qualsiasi considerazione militare e umana non necessitavano di particolari provocazioni per provocare stragi infamanti». È mia convinzione che qualsiasi rappresaglia attuata sulla popolazione civile incolpevole e inerme sia sempre un atto orrendo e criminale. La Convenzione dell'Aja del 1907 alla quale hanno aderito anche Germania e Italia è però di tutt'altro avviso. L'art. 42 recita testualmente che: "(…) la Potenza occupante (l'esercito tedesco nella fattispecie), al fine di garantire la sicurezza delle proprie truppe e al fine di mantenere l'ordine e la sicurezza (…) può procedere alla cattura e all'esecuzione degli ostaggi". L'Art. 2 della Convenzione di Ginevra del 1929 inoltre, chiarisce che: "Le misure di rappresaglia in guerra sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui esse si verificano, possono essere giustificati (…)". Il signor Lupieri considera poi che "l'attacco partigiano a Forni di Sotto, come quello sul ponte di Nojaris", erano da "intendersi, in qualsiasi contesto, ordinarie e legittime azioni di guerra". Gli fa eco l'Art. 1 della Convenzione dell'Aja 1907: "Un atto di guerra legittimo può essere compiuto solo dagli eserciti regolari, ovvero da corpi volontari (…) che abbiano alla loro testa una persona responsabile, abbiano un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza e portino apertamente le armi". Gli attacchi partigiani pertanto non erano azioni legittime. Consapevole di ciò, il Governo del Sud, presieduto da Badoglio, aveva diramato l'ordine di non fare attentati ai tedeschi per non generare conseguenti rappresaglie. Solo più tardi, lo Stato italiano riconobbe come propri combattenti anche i partigiani. Decreto però non ratificato in sede internazionale. Le convinzioni del signor Lansotti, pertanto, appaiono più che fondate. Per evitare rappresaglie, non bisognava provocarle. I partigiani "sparavano e poi sparivano", Senza accorrere in aiuto alla popolazione, costretta a subire le ritorsioni tedesche. 

Gianni Conedera Ovaro

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RESISTENZA I fatti del 1944 a Forni di Sotto 


Messaggero Veneto,  19 settembre 2014


Sulla pagina delle lettere del vostro giornale, nei giorni scorsi, esce una lettera firmata dal signor Simone Lansotti di Udine ed altra, dello stesso tenore, appare a firma del signor Gianni Conedera di Ovaro, le quali citano e giudicano - a proprio uso e consumo - le motivazioni che hanno portato i nazifascisti ad eseguire l'incendio di Forni di Sotto avvenuto il 26 maggio 1944. Su quanto da questi Signori scritto, mi limito soltanto tre elementari considerazioni. La prima:per ricordargli che il secondo conflitto mondiale fu avviato dal nazismo di Hitler, sostenuto successivamente dal fascismo di Mussolini, per cui ad ognuno le proprie responsabilità. La seconda: per ricordargli a tener ben presente che dopo l'8 Settembre 1943, data dell'Armistizio dell'Italia con gli Alleati, nel Centro-Nord d'Italia venne organizzata la Resistenza con alla guida il Comitato di Liberazione Nazionale (Cln) con sede in Milano, finalizzato alla cacciata dell'Esercito invasore nazista dal territorio Nazionale, per cui guidati da una struttura rispettosa e collaboratrice dell'avvenuto Armistizio. La terza: invito i signori citati a leggere più attentamente e correttamente questa parte di Storia, con particolare attenzione agli eventi che si riferiscono all'incendio di Forni di Sotto, inoltre ad avere maggior rispetto e senza alcuna strumentalizzazione per quella popolazione, che anche con le loro sofferenze, privazioni, e sacrifici ha contribuito a riportare la Libertà e la Democrazia nel nostro Paese, nonché nei confronti di quei tanti cittadini ancora presenti , come il sottoscritto, che quei fatti gli hanno vissuti. 

Gianni Nassivera già Sindaco di Forni di Sotto

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STORIA La guerra e gli eserciti 


Messaggero Veneto,  19 settembre 2014


Ho letto l'ultima lettera di Gianni Conedera e mi pare che abbia dimenticato l'Rsi e la situazione venutasi a creare dopo l'8 settembre 1943. Inoltre ho consultato il testo della "IV Convenzione dell'Aja 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per terra" in: www.difesa.it e non ho trovato l'articolo 42 dallo stesso citato. Su detta fonte io ho trovato solo l'art. 42 nella parte III intitolata: "dell'autorità militare sul territorio dello stato nemico", che così recita: «Un territorio è considerato come occupato quando si trovi posto di fatto sotto l'autorità dell'esercito nemico. L'occupazione non si estende che ai territori ove tale autorità è stabilita e può essere esercitata». Infine la convenzione dell'Aia del 1907 vincolava le potenze contraenti, nel caso della Germania l'impero tedesco, finito dopo la prima guerra mondiale. La convenzione firmata il 27 luglio 1929 a Ginevra è relativa al trattamento dei prigionieri di guerra ed alla loro tutela e non a misure di rappresaglia, come parrebbe leggendo Conedera. Se con "esercito regolare" si intende quello previsto dall'ordinamento di uno Stato, le formazioni partigiane dipendenti dal Cvlai, e riconosciute dal Clnai, agenti come forze militari organizzate, non possono esser definite appartenenti ad un esercito regolare. La causa di numerosi problemi alla popolazione italiana fu la guerra, e chi fece piombare l'Italia in guerra fu il fascismo. 

Laura Matelda Puppini Tolmezzo

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STORIA Rastrellamenti e requisizioni 


Messaggero Veneto,  24 settembre 2014


Rispondo agli interventi che mi vedono chiamato in causa: potrebbe darsi che la popolazione dei paesi rastrellati non consegnasse il bestiame all'ammasso perché, durante la guerra (in)civile, requisizioni arbitrarie ad opera di gruppi come l'intendenza Montes, spalleggiata da Romano il mancino e i suoi, lasciavano poca disponibilità di viveri ai civili, se sommate a quelle regolari del Governo. Queste ultime venivano ridistribuite con le famose "tessere" alla popolazione, le prime finivano nei depositi partigiani, molto spesso nemmeno italiani. Riguardo il dubbio che esprimevo sulla provocazione volontaria di rappresaglie da parte dei partigiani –definita "tesi nazi-fascista"-, allego uno scritto di G.Bocca in "Storia dell'Italia partigiana": "Il terrorismo ribelle non è fatto per prevenire quello dell'occupante, ma per provocarlo, per inasprirlo. Esso è autolesionismo premeditato: cerca le ferite, le punizioni, le rappresaglie per coinvolgere gli incerti, per scavare il fosso dell'odio". Bocca fu comandante partigiano nelle formazioni Giustizia e Libertà… Temo che conclusioni analoghe a quelle che potrebbero nascere da questa lettura, si potrebbero trarre rivedendo in modo meno fazioso altre "azioni di guerra" come la strage di v. Rasella a Roma, o i fatti di piazzale Loreto dell'agosto '44 e molti altri… Concludo: in quel periodo di Santi in giro se ne vedevano pochi e non vestivano tutti la stessa uniforme. 

Simone Lansotti Udine

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STORIA Gli inglesi e i boeri 


Messaggero Veneto,  10 0ttobre 2014


Relativamente a quanto scrive il signor Lansotti nell'ultima sua, ricordo che la politica degli Inglesi verso i Boeri, e in generale quella dei colonizzatori verso le popolazioni colonizzate, propongono una riflessione ben antecedente a fatti resistenziali su cosa si commise verso i civili e relative motivazioni. Quando i Boeri, in Sudafrica, passarono alla guerriglia, le truppe inglesi cominciarono ad applicare la strategia della terra bruciata. Distrussero e incendiarono numerose fattorie e imprigionarono vecchi, donne, bambini in "concentration camps", ove morirono a migliaia. E gli Inglesi non furono gli unici, nelle colonie e territori occupati o da occupare, a commettere nefandezze sui civili inermi, basta vedere cosa fecero altri popoli, europei e non. Ma nessuno, in questi casi, disse che la colpa di simili tragedie erano i "ribelli", come nel caso della Resistenza Italiana. Tale tesi è poi quella sostenuta da Priebke, ed è la tesi difensiva nazista, e probabilmente fu anche quella di molti altri, per giustificare a se stessi le atrocità compiute verso le popolazioni, sposando il concetto della "responsabilità allargata". Infine le formazioni combattenti partigiane friulane, come altre, erano prevalentemente composte da militari allo sbando dopo l'8 settembre '43, considerati dall'Rsi disertori, e da renitenti alla leva, che si sentivano vincolati al codice etico militare che richiedeva di non arrendersi senza combattere. 

Laura Matelda Puppini Tolmezzo

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STORIA Rappresaglie e convenzioni 


Messaggero Veneto,  20 0ttobre 2014


Recentemente sono state pubblicate due lettere in contraddittorio e contestazione alla mia precedente, a firma di Gianni Nassivera, già sindaco di Forni di Sotto, e Laura Matelda Puppini. Nassivera scriveva che ho citato "a proprio uso e costume le motivazioni che hanno portato i nazifascisti ad eseguire l'incendio del suo paese il 26 maggio '44 e di "aver maggior rispetto per la popolazione di Forni di Sotto". Egregio signor Nassivera, chi cita testualmente articoli di Convenzioni Internazionali per porre in risalto quali reazioni (rappresaglie) si sarebbero potute logicamente aspettare in seguito alle azioni di guerriglia compiute da gruppi armati (partigiani) non considerati, all'epoca dei fatti, legittimi combattenti, non può essere accusato di alcun uso strumentale, tanto più se costui è animato solamente da interessi di ricerca storica e non già da smania di appariscenza della propria figura sociale, seppur modesta, come quella di una carica politica comunale. Credo che il maggior rispetto per la popolazione di Forni di Sotto sia nel dire apertamente la verità, che quell'incendio poteva e doveva essere evitato non compiendo azioni avventate e pericolose per i civili inermi e incolpevoli, e non facendogli credere oggi, "che le loro sofferenze, privazioni e sacrifici", come da lei asserito, sono stati mali obbligatoriamente necessari per la conquista della libertà. Alla signora Matelda Puppini che ha scritto che "la Convenzione dell'Aja è relativa al trattamento dei prigionieri di guerra (…) e non a misure di rappresaglia, come sembrerebbe leggendo Conedera", rispondo che sulla mia lettera avevo citato anche la Convenzione di Ginevra, particolare evidentemente sfuggitole. La Convenzione dell'Aja, tuttavia, prima del 1949, non prevedeva, come dalla stessa Matelda asserito, alcuna norma che vietava l'esecuzione sommaria di civili. Anzi, nessun ascolto trovò la proposta del delegato olandese che chiedeva che i catturati in territori occupati potessero essere uccisi solo dopo regolare processo. Le vicissitudini militari durante la seconda guerra mondiale si svolsero al di fuori di qualsiasi regolamentazione internazionale dei diritti dei civili. Il tribunale di Norimberga, nelle sentenze dei processi ai crimini nazisti, sanciva, a conferma di quanto contemplato dalla Convenzione di Ginevra, appunto, che "Le misure di rappresaglia in guerra, sono atti che, anche se illegali, nelle condizioni particolari in cui esse si verificano, possono essere giustificate". Il diritto alla rappresaglia era previsto anche dal codice britannico "British Manual of Military Law" e da quello americano "Rules of Land Warfare 1940". Nel 1947, i magistrati britannici, nel processo al generale tedesco Alber Kesselring, sancirono che "Nulla impediva che una persona innocente potesse essere uccisa a scopo di rappresaglia". Infatti, con queste sentenze, mettevano al riparo anche loro stessi per i massacri di civili compiuti con i bombardamenti su Dresda e "consimili". A Berlino, l'Armata Rossa che occupava la città, minacciò come rappresaglia, l'uccisione di 50 ostaggi tedeschi ogni russo ucciso. 

Gianni Conedera Ovaro

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venerdì 12 settembre 2014

A 70 anni dalla Zona Libera di Carnia: un convegno a Paluzza

L'ANPI Sezione Val Bût in collaborazione con SPI-CGIL Lega di Tolmezzo
organizzano

la   FESTA DELLE RESISTENZE
che celebrerà il  70° anniversario  della nascita della “ZONA LIBERA DELLA CARNIA”  tramite il Convegno dal titolo LA RESISTENZA  … IERI … e … OGGI” che si terrà  a

 PALUZZA (Ud)   sabato 13  SETTEMBRE   presso il  CE.S.F.A.M  alle  ore 09.45
Piazza 21/22 Luglio 1944


PROGRAMMA del CONVEGNO

Ore  09.30  accreditamento partecipanti
Ore  09.45  saluto autorità
prof. Zannini Andrea        UNIVERSITA’ DI UDINE
prof. Rosa Daniela           STUDIOSA DI STORIA DI GENERE E AUTRICE
Garibaldi Renato             CARNIAINMOVIMENTO
Vivarelli Daniela              SEGRATARIA PROVINCIALE  S.P.I.  CGIL
Moretuzzo Massimo         CE.VI./FORUM BENI COMUNI ECONOM. SOLIDALE
Dott. Calligaris Alberto     MEDICO PEDIATRA                 
Cautero Francesco           LIBERA video/foto
Dott.sa Schiratti Paola     PRESIDENTE ASS.NE DONNE RESISTENTI
Rossetto Massimo            MANDINAMASTE
                                          DELEGATO  CGIL                                                        
Vitti Massimo                  AMNESTY INTERN.
Lepre Marco                    LEGAMBIENTE video

Coordina e conclude prof. Daniel SPIZZO UNIVERSITA’ DI TRIESTE con la collaborazione della dott.sa Annalisa BONFIGLIOLI            
             

PROGRAMMA DELLA FESTA DELLE RESISTENZE

Ore  09.45  Convegno
Ore  13.30  chiusura convegno
Ore  14.30  Coro Popolare della Resistenza di Udine

a seguire: possibilità  di visita:
alla Galleria "Enrico De Cillia" di Treppo Carnico, dov'è stata allestita dall'Anpi  la Mostra  Antologica di Guido Tavagnacco "Il pittore e la Resistenza" prolungata fino al 30 settembre. Maggiori informazioni sul sito: http://www.carniamusei.org/evento-dettaglio.html?entityID=2721&page=1
al Museo della  Grande Guerra  a Timau
alle Centrali idroelettriche di Paluzza

Ore  18.00  concerto del gruppo “QUIDEL”
Ore  21.00  concerto con CISCO (già voce dei MODENA CITY REMBLERS)
 
DURANTE LA GIORNATA

Mercatino artigianale
Stend Associazioni umanitarie, ambientali etc.
Stend culturali

domenica 24 agosto 2014

Dibattito sulle rappresaglie tedesche in Carnia

Il Messaggero Veneto, nelle ultime settimane, ha ospitato diversi interventi incentrati sul sempre dibattuto argomento delle responsabilità delle rappresaglie tedesche in Carnia nel 1944-45.

Una mappa delle stragi 
(Messaggero Veneto, 27 luglio 2014)

Si è ricordato, in questi giorni, l'eccidio della Valle del But, perpetrato su persone inermi da afferrati aguzzini nazi-fascisti, si sono ricordati, localmente e non unitariamente, altri eventi qui avvenuti, sempre per stessa mano: per esempio l'incendio di Forni di Sotto, ai cui abitanti si imputava, pure, la mancata consegna di bestie all'ammasso. «I violenti bagliori illuminano l'enorme nube che occupa ormai tutto il cielo e tingono di riflessi sanguigni le rocce del Tinizza e le catene dei monti tutt' intorno (...). - scrive Mario Candotti - Forni di Sotto brucia come un' immenso braciere! Le vampe dell'incendio si riflettono anche dentro di me». Il 9 giugno veniva dato alle fiamme Esemon di Sotto, il 21 luglio 1944 Bordano. Molte furono le vittime delle centinaia di stragi efferate nazifasciste e cosacche a danno di civili: Enzo Firmiani in "Le stragi nazifasciste del 1943- 1945. Memoria, responsabilità e riparazione" (Carrocci 2013) a pagina 9 scrive di un numero di morti fra i 10.000 ed i 15.000. Alle vittime di questa barbarie ed a questi atti di distruzione non è stato dato però il giusto riconoscimento. Fascicoli dei crimini nazifascisti risultarono occultati e vi furono numerose ed inspiegabili segretazioni di documenti . È importante, quindi, come sta facendo l'Anpi nazionale, predisporre una mappa complessiva delle stragi e giungere anche su questi aspetti ad una memoria condivisa, e ad una giornata del ricordo.
Laura Matelda Puppini Tolmezzo

La verità per Forni 
(Messaggero Veneto, 2 agosto 2014)

Spettabile Redazione, spesso ho modo di leggere in questa rubrica commenti o trattazioni sulle stragi nazi-fasciste che, unite alle stragi dei partigiani e degli anglo-americani, contribuirono ad insanguinare la nostra amata regione durante l'ultima guerra. Lo spunto per scrivere oggi mi viene dalle parole di una signora di Tolmezzo che lamenta una scarsa memoria condivisa sulle rappresaglie italo-tedesche, tra cui cita l'incendio di Forni di Sotto. Vorrei fare una considerazione ed una domanda estensibili ad accadimenti assimilabili. Ho sotto mano la prima edizione del volume di Gino Pieri "Storie di partigiani" edito da Del Bianco nel settembre del 1945. I fatti di Forni sono narrati dall'autore come riferiti dalla testimone oculare Elsa Fazzutti, in arte "Vera", partigiana. La rappresaglia fu provocata da un'imboscata tesa ai danni di una colonna di tedeschi che doveva rastrellare i giovani della zona sottrattisi agli obblighi di leva. L'attacco ebbe luogo in località Volte Scure, a poca distanza da Forni. La nostra fonte dice che i tedeschi furono messi in fuga con forti perdite, dopo oltre un'ora di scontri. Suppongo che i partigiani sapessero quale sarebbe stata la reazione degli avversari, che non facevano mistero della consuetudine alla rappresaglia, come risultava dalla martellante propaganda del tempo... La sera dello stesso giorno i tedeschi tornarono, pare addirittura con carri armati, dando alla popolazione un quarto d'ora per liberare il paese prima che iniziasse la sua distruzione, che ebbe luogo senza intoppi....ed è questo il punto. Se i "patrioti" sapevano che la vendetta sarebbe stata automatica, certa ed in quali modalità si sarebbe compiuta, perché attaccare nei pressi del paese? E perché non intervenire mentre gli invasori teutonici devastavano tutto? Dico: volevano impedire il rastrellamento dei giovani, hanno ottenuto la distruzione dell'intero abitato e non hanno cercato di impedirlo? Questo risulta dal racconto della Fazzutti dal quale apprendiamo che i partigiani scesero dai monti una volta finito tutto - senza aver sparato un colpo - per organizzare i soccorsi. Non è che la rappresaglia fosse ciò che si voleva ottenere - in questo ed altri casi - al fine di una successiva contropropaganda? Incendiare un paese, coinvolgendo dei civili in operazioni di questo tipo è certamente esecrabile. Ma anche restare a guardare che brucia, dopo averne provocato l'incendio non è un'azione nobilissima!
Simone Lansotti Udine

Era la tesi dei nazifascisti 
(Messaggero Veneto, 18 agosto 2014)

Vorrei rispondere a una lettera che mi chiama in causa pubblicata il 2 agosto 2014. Ritengo che il signore in questione avrebbe fatto bene a leggere in modo preciso le mie parole. Quando io, che devo contenere le mie lettere, come richiesto, in 1500 battute, scrivo un «pure», lo scrivo a ragion veduta. E io ho scritto: «ai cui abitanti si imputava, pure». L'azione partigiana contro i nazifascisti del 24 maggio 1944 è nota e fu azione di guerra contro gli occupanti nazisti che fece tre morti tedeschi. Consiglio comunque, sull'incendio di Forni di Sotto, i volumi di Erminio Polo, che ha ampiamente trattato l'argomento. La tesi che ogni azione contro la popolazione fosse causata dai partigiani è la versione dei fatti divulgata dai nazifascisti che compirono infamie dovunque. E ci si è dimenticati che si era in guerra, e che i partigiani formavano l'esercito di liberazione italiano dall'occupante e dal fascismo, colluso con lo stesso, e che la Resistenza fu fenomeno europeo. Scrive Nuto Revelli che la popolazione non avrebbe voluto né tedeschi né i partigiani, ma quella guerra non era certo stata causata dai partigiani, spesso militari italiani reduci da vari fronti, in Carnia quasi tutti carnici, che volevano per sé e per gli altri solo una vita migliore. Ripropongo quindi una giornata del ricordo di tutte le vittime delle stragi nazifasciste e rimando al volume curato dall'Anpi nazionale.
Laura Matelda Puppini Tolmezzo

Tra attentati e rappresaglie 
(Messaggero Veneto, 21 agosto 2014)

Il lettore Simone Lansotti ripropone l'annosa questione degli attentati partigiani che avrebbero scatenato oggettivamente conseguenti e pesanti rappresaglie tedesche. Cita l'esempio dell'incendio di Forni di Sotto come esaustivo di questa quasi obbligata regola del contrappasso. Seppur l'attacco a reparto combattente a Forni, cosi come quello di due mesi dopo sul ponte di Noiaris, fossero da intendersi, in qualsiasi contesto, ordinarie e legittime azioni di guerra e non certo puro banditismo, va rammentato che le disposizioni naziste di allora, in spregio a qualsiasi considerazione militare ed umana, non necessitavano di particolari "provocazioni" per scatenare stragi infamanti. Bastava scovare un renitente o un disertore alla leva in qualsiasi fienile per deportare o massacrare l'intera famiglia che lo ospitava. In Carnia, se vuole, abbiamo molteplici casi che potremmo segnalargli. Se poi guardiamo cosa successe a Cefalonia o Marzabotto non possiamo certo concludere che l'esercito germanico concedesse attenuanti a chi si batteva regolarmente alla luce del sole. L'intera Europa subiva queste tristi ripercussioni. Valga, per tutti, l'esempio di Lidice in Boemia, laddove fu scoperto che il paese diede solo i natali ad uno dei coraggiosi partigiani cechi che mise fine all'ingloriosa vita del nazista inventore delle camere a gas: Reinhard Heydrich. Tutti i maschi sopra i 16 anni furono fucilati in cinque ore, tutti i bimbi deportati, tutte le donne schiave nei campi di lavoro. Il lettore Lansotti riveda le sue convinzioni, non sempre nascondersi o girarsi dall'altra parte, giovava.
Pierpaolo Lupieri Tolmezzo

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