Album di guerra

Album di guerra
I Partigiani del Battaglione "Prealpi" a Gemona

sabato 30 aprile 2011

Ricordate a Gemona le giornate della Liberazione e le vittime dell'eccidio di Avasinis

Giovedì 28 aprile, Gemona ha ricordato il 66° anniversario della liberazione dalla dominazione tedesca e dal regime fascista, con due appuntamenti interessanti. Alle ore 18.30 presso palazzo Boton la sezione   di Gemona e Venzone dell’ANPI ha  organizzato un incontro-dibattito dal titolo «Risorgimento e Liberazione a Gemona».  Dopo  l'introduzione del presidente Lorenzo Londero, sono intervenuti un assessore in rappresentanza del  sindaco Paolo Urbani, lo studioso di fatti risorgimentali gemonesi Giuseppe Marini (sulle similitudini fra "i due Risorgimenti"), l’autore del volume "Gemona liberata" Gianfrancesco Gubiani (sugli aspetti ancora poco noti di quelle convulse giornate)  e Grazia Levi (che ha ripercorso  le emozioni vissute dai giovani nei giorni della Liberazione).  Hanno portato il loro saluto anche Urbani per l'associazione  "Pense e Maravee" ed il segretario dell'Anpi  Lodovico  Copetti. 

Alle ore 21, invece, la Cineteca ha proposto  un «Ricordo dell’eccidio di Avasinis». Al cinema Sociale  sono stati proiettati due documentari sui drammatici eventi del 2 maggio 1945: il breve Tatort Avasinis (2003) di Jim G. Tobias, prodotto dalla tv tedesca Medienwerkstatt Franken e.V  e "Avasinis 2 maggio 1945, luogo della memoria" (2007) di Dino Ariis e Renata Piazza . 

Presenti anche diversi Ammistratori comunali di Trasaghis  (è stato ricordato l'impegno del Comune del lavoro di ricerca e nella produzione dei video) e abitanti di Avasinis.


mercoledì 27 aprile 2011

Due documentari a Gemona per ricordare il dramma di Avasinis


Avasinis, maggio '45: il piú cruento eccidio nel Friuli in guerra

Nel 66° della Liberazione proiettati due documentari della Cineteca del Friuli sul massacro di 51 civili compiuto dalle SS in ritirata

Con la progressiva scomparsa di "chi c'era" sta venendo meno anche la possibilità di raccogliere testimonianze dirette di coloro che hanno vissuto fatti, episodi, tragedie della seconda guerra mondiale. Ecco allora che interviste, reportages, video diventano componenti di un'indagine storica, come i due documentari che la Cineteca del Friuli riproporrà, domani alle 21, al Cinema Teatro Sociale di Gemona, in occasione della commemorazione dell'eccidio di Avasinis. Il primo video, della durata di 92 minuti, si intitola Avasinis 2 maggio 1945, luogo della memoria, edito nel 2007 dal Comune di Trasaghis e dal Centro di Documentazione sul Territorio, con il contributo della Provincia di Udine e della Comunità Montana del Gemonese. La regia, le riprese e il montaggio sono di Dino Ariis e Renata Piazza e la consulenza storica di Pieri Stefanutti. Vengono utilizzate anche riprese e interviste effettuate nel 1990 da Nanni Stefanutti. Il secondo lavoro, Tatort Avasinis.
L'eccidio del 2 maggio 1945, della durata di 12 minuti, è un reportage realizzato nel 2003 dalla televisione bavarese Medienwerkstatt Franken e. V. di Norimberga, con la regia di Jim G. Tobias, filmaker e giornalista. Prende spunto dalle indagini della magistratura bavarese - ancora impegnata dopo oltre mezzo secolo a trovare gli autori delle stragi naziste - sugli ex appartenenti al battaglione SS-Karstwehr di Pottenstein (dall'agosto 1944 denominato Divisione Karstjäger), ritenuti responsabili dell'eccidio di Avasinis. Nei venti mesi della lotta di liberazione in Friuli numerosi furono le strage perpetrate dai nazifascisti nei confronti di civili: Malga Pramosio, Braulins, Paluzza, Ovaro, Torlano, Feletto Umberto...
Quello di Avasinis, frazione del comune di Trasaghis, è considerato come il maggior eccidio di civili in Friuli nel corso della guerra. In quei giorni convulsi, quando nella Pedemontana le truppe degli occupanti stavano ripiegando verso Nord, continuamente minacciate dai bombardamenti alleati e dagli attacchi dei partigiani che occupavano le alture, Avasinis viene a trovarsi su una delle direttrici di quegli imponenti movimenti di colonne di tedeschi e formazioni cosacche. Verso le 10.30 del 2 maggio una squadra di SS, probabilmente Karstjäger/Cacciatori del Carso (unità creata nell'ultimo periodo della guerra, composta prevalentemente da italiani e sloveni, ma anche austriaci e croati, impiegata nella lotta contro i partigiani), piomba sul piccolo paese e nel giro di alcune ore massacra 51 persone, in maggioranza donne, vecchi e bambini.
Le testimonianze di Caterina Di Gianantonio (Catin di Barbin), Cesarino Venturini, Roberto Bellina (il partigiano "Due"), Elena Rodaro, Giacomina Di Doi, Maria Rodaro, Aldo Ridolfo, Giacomo Rodaro, Giovanni Orlando e altri sopravvissuti, fanno rivivere la tragedia attraverso l'evocazione di brevi momenti, dettagli terribili, stati d'animo. Lo spettatore in un primo momento può avere una sensazione di frammentarietà, avvertire la mancanza di una logica, di consequenzialità nella costruzione del primo video, ma proprio questo è il "realismo" di una tragedia della guerra come quella di Avasinis.
Non è la struttura organizzata, coerente e spettacolare della guerra che vediamo al cinema o nelle fictions televisive, dove tutto finisce per tornare chiaro e concluso agli occhi dello spettatore. In queste testimonianze la sinteticità del friulano contribuisce in misura notevole a ricostruire una tragedia collettiva attraverso singoli e isolati momenti forti e, via via che i racconti si incrociano, arrivano a comunicare quello che è lo stravolgimento provocato dallo scoppio della violenza, una diversa percezione del tempo, dello spazio, dei suoni, della realtà.
La proiezione dei due documentari al Sociale concluderà le celebrazioni gemonesi per il 66° anniversario della Liberazione, che avranno inizio alle 18.30 nella sala consiliare di palazzo Boton con un incontro-dibattito cui parteciperanno il sindaco Paolo Urbani, lo storico del Risorgimento Giuseppe Marini, la testimone della Liberazione Grazia Levi e Gianfrancesco Gubiani, autore del volume Gemona liberata.
Carlo Gaberscek
(Messaggero Veneto, 27 aprile 2011)

lunedì 25 aprile 2011

Un contributo di riflessione sul ruolo dell'Italia nella guerra in Jugoslavia


A proposito di espansionismo slavo, 
pulizia etnica e deficit di memoria.

Così fu annunciato a Pola da Benito Mussolini il 22 febbraio del 1920  prima della sua ascesa al potere:
"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come quella slava, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. Non temiamo più le vittime… I confini dell'Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani".
Già nel settembre dello stesso anno disse durante un suo comizio a Pola:
"Per la creazione del nostro sogno mediterraneo, è necessario che l'Adriatico, che è il nostro golfo, sia in mano nostra; di fronte alla inferiorità della razza barbarica quale è quella slava".
( partigiani Yugoslavi si sono organizzati venti anni dopo, nel 1941).
Il conte Galeazzo Ciano di Cortelazzo, genero di Benito Mussolini, nonché Ministro italiano per gli affari esteri durante la guerra, scrive nel suo diario, in data 5 gennaio del 1942, di aver accolto il segretario del Partito nazionale fascista del Friuli Venezia Giulia Aldo Vidussoni. Egli riporta:
"Mi furono confidate le sue intenzioni cruente contro gli Sloveni. Intende ammazzare tutti. Gli dissi che ce n’erano un milione. ‘Non importa’, rispose risoluto ‘bisogna agire come i nostri predecessori in Eritrea, sopprimendo tutti."
Il 31 luglio del 1942 Mussolini, ora nelle vesti del Duce, annesse, con l’aggressione, il sud della Drava banovina. Queste furono le sue parole in occasione dell’incontro con i comandanti militari, tenutosi a Gorizia, riferendosi alla zona occupata in Slovenia:
"Questo paese è degenerato. Si dovrà eliminare il suo frutto velenoso per mezzo del fuoco e della spada… Agiremo come Giulio Cesare con la Gallia ribelle: bruciando i paesi in rivolta, ammazzando tutti gli uomini oppure mandandoli nell’esercito, portando lontano da casa e riducendo alla schiavitù donne, vecchi e bambini …".
Nel registro di quest’incontro conservato in archivio vi si legge un ulteriore comando del Duce: ‘Non sono contrario all’emigrazione di massa del popolo… Questi popoli si ricorderanno che la legge di Roma è inflessibile. Ordino l’applicazione di questa legge…"
Il comandante del XI corpo dell’Armata Mario Robotti riferì ai suoi subordinati il seguente comando di Mussolini, risalente al 12 agosto 1942: "Le autorità superiori non sono contrarie alla deportazione dell’intero popolo sloveno insediandovi Italiani…, in altre parole: unificazione dei confini nazionali e politici…".
In una lettera spedita al Comando supremo dal generale Roatta in data 8 settembre 1942 (N. 08906), viene proposta la deportazione della popolazione slovena. "In questo caso scrisse si tratterebbe di trasferire al completo masse ragguardevoli di popolazione, di insediarle all'interno del regno e di sostituirle in posto con popolazione italiana".
I campi di concentramento e deportazione italiani furono almeno 31 (a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, ecc.), disseminati dall'Albania all'Italia meridionale, centrale e settentrionale, dall'isola adriatica di Arbe (Rab) fino a Gonars e Visco nel Friuli, a Chiesanuova e Monigo nel Veneto. Solo nei lager italiani morirono c.a. 11.000 sloveni e croati. Nel lager di Arbe (Yugoslavia) ne morirono 1.500 circa. Vi furono internati soprattutto sloveni e croati (ma anche "zingari" ed ebrei), famiglie intere, vecchi, donne, bambini.
A Melada (Zara) in Dalmazia, il 29 giugno 1942 arrivò il primo trasporto, composto da 76 uomini, 103 donne e 44 bambini. In breve, le presenze nel campo salirono a 1.320 persone. In data 15 agosto 1942 erano rinchiusi nel campo 1.021 donne, 866 uomini e 450 bambini, di cui 10 nati nel campo. Molti dei prigionieri vennero via via trasferiti in Italia, alle Fraschette di Alatri in particolare. Il maggior numero di presenze si registrò, al netto dei trasferimenti, il 29 dicembre 1942 con 2.400 prigionieri. Il campo cessò la sua attività il 9 settembre 1943. Le stime dei ricercatori e degli storici valutano in circa 10.000 il totale dei prigionieri passati per Melada, con un numero di morti pari a 954. In questo totale non è possibile sapere se sono compresi i 300 fucilati quali ostaggi.
Altri campi furono organizzati a Mamula e Prevlaka, nel Cattaro, e a Zlarino (Zara).
E’ certo, tuttavia, che il campo più tristemente famoso fu quello di Arbe (Rab), nell’isola omonima, ove alla fine del giugno 1942, dopo aver evacuato forzosamente gli abitanti delle case della zona scelta per l’insediamento del campo, dopo aver allargato una strada, i soldati italiani diedero il via all’installazione di circa mille tende, ciascuna da sei posti.
A proposito ecco un documento del 15 dicembre 1942, in quella data l'Alto Commissariato per la Provincia di Lubiana, Emilio Grazioli, trasmise al Comando dell'XI Corpo d'Armata il rapporto di un medico in visita al campo di Arbe dove gli internati "presentavano nell'assoluta totalità i segni più gravi dell'inanizione da fame" ( la morte sopraggiungeva soprattutto per la fame), sotto quel rapporto il generale Gastone Gambara scrisse di proprio pugno: "Logico ed opportuno che campo di concentramento non significhi campo d'ingrassamento. Individuo malato = individuo che sta tranquillo".
Robotti continuò a riportare il comando di Mussolini:
"Totale evacuazione quindi… Ignorate la sofferenza del popolo… Si capisce che la deportazione non esclude l’uccisione di tutti i colpevoli o dei sospettati di attività comunista…".
"Bisogna ricostruire a qualunque prezzo la supremazia italiana ed il suo prestigio, a costo dell’estinzione di tutti gli Sloveni e della distruzione della Slovenia…".
Per questo motivo non stupisce il comando del generale Robotti trascritto a mano dal capo di Stato Maggiore Annibale Gallo il 4 agosto 1942: "Si ammazza troppo poco!"
Troppo poco! Una dettagliata ricerca scientifica ha tuttora rilevato che le autorità italiane d’occupazione 41-43, attraverso l’esercito regolare, ( poi i massacri continuarono da parte nazista e dei reparti fascisti italiani e collaborazionisti sloveni) vi uccisero 1.569 Slovene e Sloveni. I nomi ed i cognomi degli ostaggi uccisi, dei condannati e dei paesani deportati sono archiviati nell’Istituto sloveno di storia contemporanea.
Si seguito solo in una zona ristretta nei pressi di Gorizia, controllata dall’esercito italiano e in cui i partigiani non erano ancora in grado di agire.
07/04/42 Moforte del Timavo e Succoria due civili fucilati 11 case bruciate 287 civili deportati.10/05/42 Succoria 3 civili uccisi.
04/05/42 zona Spodnia Bitnja 28 civili uccisi 117 case bruciate 462 civili internati
21/07/42 Podgrig 5 civili uccisi 6 case bruciate.
8/08/42 Ustie e Uhanje 8 civili torturati e uccisi, 36 civili arrestati 80 case bruciate.
4/12/42 Gradisce 3 civili uccisi e uno sfuggito alla morte.
24/02/43 Predmea 6 civili trucidati e una casa bruciata.
08/03/43 Erzelij tutta la popoazione deportata.
10/03/43 Kozjane paese bruciato.
31/03943 Gaberije, Planina,Sanabor, Bela, tutta la popolazione deportata.
16/05/43 Stijak 13 civili uccisi 31 case bruciate
23/06/43 Vojsko 4 civili uccisi. 20 arrestati 30 case bruciate.
Ecc.......
Va ricordato anche l’accorato appello del Vescovo di Gorizia alle autorità fasciste, in cui si chiedeva di fermare le violenze contro la popolazione civile ritenuta composta da " buoni cristiani".



Il 30 aprile ricorre il 67° anniversario della strage di Lipa-Croazia, in cui 269 civili furono trucidati da reparti nazisti e fascisti e bruciati, 85 erano bambini con meno di 12 anni.
Furono inoltre decine di migliaia i civili falciati dai plotoni di esecuzione italiani, dalla Slovenia alla "Provincia del Carnaro", dalla Dalmazia fino alle Bocche di Cattaro e Montenegro e in Grecia, senza aver subito alcun processo, ma in seguito a semplici ordini di generali dell'esercito, di governatori o di federali e commissari fascisti.

Dino  Ariis

(Pubblicato nel 2010 sul Blog "Guerra nel Gemonese")

domenica 24 aprile 2011

25 aprile, un manifesto dell'Anpi di Gemona - Venzone

Nella ricorrenza del 25 aprile, la sezione Anpi di Gemona-Venzone ha diffuso un manifesto nel quale ricorda le caratteristiche essenziali della Resistenza nel Gemonese, sottolineando in particolare l'attività dei battaglioni osovani "Ledra" e "Prealpi" (di quest'ultimo viene anche riprodotta la storica bandiera), esprimendo poi  "pubblica riconoscenza a questi combattenti perché, col loro sacrificio e con le loro azioni nel Gemonese, hanno contribuito a liberarci dalla barbarie nazifascista creando le condizioni per la nascita di un'Italia libera e democratica, ispirata ai princìpi e alle regole fissati nella Costituzione".

sabato 23 aprile 2011

La memoria della Todt a Gemona – 4 – Testimonianza di Romeo Gubiani



Nel '44 sono arrivati quelli della Todt (una sorta di Genio militare) a fare i primi lavori sulla pista di aerei di Osoppo, per circa un Km. Io avrei dovuto rientrare sotto le armi (fino all'8 settembre ero a Tolmezzo, da dove sono scappato) e mi mandavano anche le cartoline precetto, ma lavorando con la Todt sapevo che avrei potuto essere esonerato dal servizio militare.
Finita la pista, siamo andati a fare fortificazioni sul Cumieli. Stavano infatti montando delle baracche; c'era un italiano a fare da interprete e lui mi ha fatto assumere. Era l'Impresa Dittus di Konstanz. Mi avevano mandato ancora cartoline-precetto, ma bastava che le presentassi in ufficio per annullarle.
C'erano operai da ogni parte del Friuli, anche persone rimaste tagliate fuori dal fronte. Dopo qualche tempo sono arrivati i cosacchi; uomini, donne, carrette. Nei primi tempi c'erano delle famiglie, anche Moldave, poi li hanno mandati oltre Tagliamento. Sono rimasti quindi solo militari, dell'esercito formato in Russia contro Stalin.
Le relazioni reciproche erano abbastanza buone. C'era qualche piccolo attentato  qualche volta (per esempio una volta, sulla piazzetta, è stato fatto saltare un compressore) ma senza che arrecassero grossi danni. Il bauleiter Finzer alloggiava nelle elementari, col baufuherer Otto e altri ufficiali.
Non c'erano dissidi, coi tedeschi; andavano in giro per le case, conoscevano tutti... Avevano fatto allargare  una galleria (dove tenevano in fresco la birra) come rifugio antiaereo. Tutte le gallerie delle fortificazioni venivano usate quando arrivavano i bombardamenti aerei...




La memoria della Todt a Gemona – 5 – Testimonianza di Noè Polame


Mio zio, mio padre e mio fratello avevano lavorato con la ditta Ceschia per i tedeschi nella pista dell'aeroporto di Osoppo, quando i tedeschi avevano costruito una pista di 4 chilometri. Col treno arrivavano i carri armati, carri da 60 tonnellate,  che venivano caricati a Osoppo su dei Gopta, aerei che avevano tre motori per ala e dodici ruote per lato; dopo il rullaggio, partivano sulla pista e venivano mandati giù a Cassino.
Eravamo una squadra, con la Tomaschitz-Cosano, lavoravamo 12 ore al giorno,  prendevo 930 lire al mese. Partivamo da Venzone e andavamo a lavorare con la Todt a S. Agnese. Passavano i bombardieri... lanciavano dei manifestini, e i tedeschi mi mandavano a raccoglierli, per bruciarli (ma un paio ne ho conservati). 
I partigiani facevano spesso sabotaggi e portavano via materiali.
Il tedesco mi ha poi mandato a Rivoli Bianchi: c'era una macchina per spianare. Io e un altro, con la civiera, andavamo a prendere le pietre per la massicciata. I tedeschi avevano gia pronti  dei pezzi di binario, lunghi 4 metri, per sostituire i pezzi andati distrutti coi bombardamenti (gli aerei alleati venivano fuori dalla "buse di Bordan" per lanciare bombe sulla ferrovia; la prima volta uno dei nostri si é ferito per essere andato a sbattere sulle rocce, con lo spostamento d'aria..)..
Un giorno, eravamo nascosti nella galleria del Crist, dove andavamo a nasconderci durante i bombardamenti. Il bauleiter ci ha ordinato di andare a lavorare anche quando c'era il preallarme: noi ci siamo rifiutati e allora lui ha fatto intervenire un camion di soldati, armati tutti con la machinen pistolen, così, per una settimana, abbiamo dovuto obbedire. Un giorno la seconda puntata di bombardieri ha colpito un tedesco che era di guardia, facendogli portar via la testa. Ci siamo nascosti un buco, tolti la giacca di servizio e messa sulla testa... siamo stati mezzo sepolti dal pietrisco nello spostamento d'aria...
Calata finalmente la polvere, abbiamo visto che il capo stava  facendo l'appello: é stato lui a farmi notare che ero ferito alla testa, che sanguinavo per una scheggia... Sono intervenuti dei mezzi di soccorso tedeschi: due donne mi hanno medicato e mi hanno dato del liquore forte per farmi passare il dolore. I tedeschi ci hanno dato ciascuno dieci centesimi e una pagnotta, permettendoci di andare a riposare per un po'.
Io, poi, - dopo settembre - ho chiesto trasferimento a Venzone. Mi hanno assegnato un altro lavoro.

Il ponte di Rivoli Bianchi bombardato

(Pubblicate nel dicembre 2008 sul Blog "Guerra nel Gemonese")

giovedì 21 aprile 2011

Testimonianze dalla Todt nel Gemonese - II

La memoria della Todt – 1 – Testimonianza di Marcello Copetti

I responsabili della Todt di Gemona, il maggiore Finzer e il capitano Otto, curavano i lavori delle fortificazioni. C'erano diversi partigiani fra i dipendenti della Todt, ma comparivano solo al mattino a firmare il registro delle presenze e poi non si facevano più vedere.
In casa di mio nonno, in via Turisello, era una delle sedi dei tedeschi. Mio padre ci lavorava come macellaio; se serviva vino andavano da Orlando, se servivano sigarette mandavano subito a prenderle al tabacchino. Diversa gente veniva a chiedere della carne e venivano aiutati.
In Borgo Mulino c'era la cucina da campo; allevavano maiali fino agli 80-100 chili poi i capoccia delle SS si riunivano e li facevano macellare.

                                  
                         Marcello Copetti (1940 – 2008)

La memoria della Todt a Gemona – 2 – Testimonianza di Enzo Orlando

Io ho iniziato a lavorare nella Todt nel luglio del 44. Io e i miei fratelli avevamo acquistato  un camion a gasogeno, a carbone di legno: facevamo diversi viaggi (anche fino a Cordovado, dai mulini Variola) per prendere farina e distribuirla alla popolazione.
Tutto il complesso dei lavori, in fondo, era poca cosa; occupare gente serviva solo a che non andassero coi partigiani.
Una sera,  tornavamo da Avasinis, (si era verso l'ottobre del '44) io e Cesare, che era alla guida. Sul camion, nella cabina, c'erano due tedeschi e due ragazze, impiegate ad Avasinis. Dietro, sul cassone, c'eravamo io, l'elettricista Minisini e un altro di Ospedaletto. La strada era interrotta da un calesse cosacco, che urtò il camion. Il cavallo, ferito, venne ucciso da due cosacchi, subito comparsi, col parabellum. Il proprietario del calesse, un ufficiale cosacco, si fece indicare l'autista e, immediatamente, lo prese a schiaffi; poi fece disarmare i due tedeschi. Dopo un lungo parlottare, i cosacchi trattennero il camion e l'autista, rimandandoci a casa a piedi (e sparando anche qualche colpo in aria alle nostre spalle). Arrivai a casa trafelato; con mio fratello, su un altro camioncino, andai a Ospedaletto, dove i due tedeschi erano già arrivati e, inferociti, erano andati a rapporto da Finze. Egli ci affidò una scorta di tre soldati della Wehrmacht, con la quale passammo tutti i paesi di oltre Tagliamento, ma senza trovare traccia né del camion né dell'autista. Questi comparve qualche ora più tardi, raccontando di avere portato l'ufficiale  cosacco e la moglie a Buia, dov'erano di stanza e dove gli avevano anche offerto la cena!
Il giorno successivo venimmo chiamati nell'ufficio di Finze, dove dovemmo raccontare tutti i particolari. L'autista descrisse il viaggio e il luogo dove il cosacco abitava.
Venimmo poi a sapere che due SS erano state mandate a Buia, avevano trovato l'ufficiale cosacco, gli avevano chiesto se effettivamente era stato lui a far disarmare due soldati tedeschi e, avutane la conferma, nonostante quello si giustificasse, attribuendo il fatto a un momento di collera conseguente alla perdita del cavallo, lo uccisero seduta stante a colpi di machine-pistole.

     

Vincenzo Orlando (1931 – 2007)

La memoria della Todt a Gemona – 3 – Testimonianza di Antonio Gubiani


Mio cognato sapeva adoperare la pala meccanica e lo avevano mandato a lavorare ai Rivoli Bianchi e poi a Dogna. Ritornato in paese, aveva lasciato la pala meccanica in piazza ma, durante la notte, i partigiani l'hanno fatta saltare. Al mattino dopo lui piangeva! D'altronde doveva pur andare a dormire ogni tanto, non poteva stare sempre a sorvegliarla!
Una volta il Bauleiter Finzer ha ordinato a me e a un altro di costruire un cabina nel borc dal Mulin: l'abbiamo fatta con pali ed assi, perché potessero metterci un trasformatore. Un giorno l'interprete ci ha detto di fermarci, perché il Bauleiter doveva parlare con noi.
E' arrivato, ha tirato fuori la pistola e ci ha chiesto:
- Cosa avere nella tasca?
Il mio socio ha tirato fuori una bottiglia di birra contenente dell'olio preso nel trasformatore: evidentemente un tedesco lo aveva visto e aveva avvisato Finzer.
Ci ha lasciati andare, avvisandoci però che se fosse successo di nuovo ci avrebbe spediti subito in Germania.
C'era una baracca da disfare: io, mio cugino e un altro non riuscivamo mai a finire il lavoro perché venivano continuamente gli aerei a bombardare.
Ci hanno dato l’ordine di smontarla di corsa; in cambio ci avrebbero offerto una pastasciutta. Lavorando di notte, senza interruzioni, in due ore abbiamo finito il lavoro. Non abbiamo voluto la pastasciutta, ci siamo accontentati di una birra.
Avevano messo in funzione una sega circolare e ogni settimana avevamo venti quintali di legna da tagliare per il gasogeno.
Mi hanno chiamato anche la mattina di capodanno, per andare a tagliare la legna!
Nella Todt c'era anche un francese: quando hanno fatto saltare il ponte di Braulins, si era messo a dirigere i lavori di riatto.

Antonio Gubiani (1921 – 2007)



martedì 19 aprile 2011

Testimonianze dalla Todt nel Gemonese - I

GEMONA: I VECCHI OPERAI DELLA TODT HAN QUALCOSA DA RACCONTARE...


Nella proposta di iniziative tese a ricostruire le vicende di Gemona e del Gemonese nel corso della seconda guerra mondiale, proponiamo un nuovo filone.
Partiamo da due appunti scritti da sacerdoti, sulla situazione di Gemona tra il 44 ed il ‘45. Il primo è dell'allora parroco di Ospedaletto, a fornire l’importante dato delle imprese operanti al servizio della Todt:
 il paese di Ospedaletto s’era trasformato in un grande cantiere ove (oltre i comandi dell’O.T., Pionieri ed Enzian) sotto la direzione dell’Impresa Holzmann vi lavoravano altre nove imprese: Goi, Dittus, So-ho-me, Tomaschitz-Cosano, Brigo, Cassi e Lupieri, Perini, Morsello e Sturli.
Il secondo, è quello già citato di prè Pieri Londar, a descrivere l’imponente mole dei lavori predisposti dalla Todt:
"In Cjamparis, sul Cumieli, sul cuel di Dorondon a' vevin dut ben finît: busis, postazions, trinceis, fossalons, galariis, magasens, dut in ordin. Il Cumieli al era tant sbusât ch'al sameave un colepaste. Sante Gnês 'e jere difindude ancje di dôs filis di piramidis..." (I Cosacs in Friul, p. 45).

Ora, dei “reperti fisici” (bunker, gallerie, trincee…) si è già parlato, auspicando la possibilità di attuare iniziative per il loro recupero. Ma altrettanto importante (e probabilmente più urgente)  è dare spazio alla raccolta delle memorie, dei ricordi di quanti nella Todt hanno lavorato: cos’hanno fatto e dove, quale era il rapporto con i tedeschi e con i partigiani…
Qualcosa è stato fatto, ma tanto bisognerebbe fare (e presto, perché i protagonisti sono sempre di meno).
Una volta di più, si ribadisce che le pagine di questo blog ospiteranno volentieri testimonianze di questo tipo. Il materiale (registrazioni, fotografie, documenti acquisiti con lo scanner, trascrizione di interviste…) possono essere inviate all’indirizzo di posta elettronica alessoedintorni@gmail.com   per essere poi pubblicate sul sito.
Dal Blog "Guerra nel gemonese", novembre 2008

domenica 17 aprile 2011

  Una testimonianza sull’estate partigiana gemonese

Poco nota è forse la testimonianza di Italo Zaina che, nell’estate del 1944, era partigiano col Btg Prealpi sulle montagne gemonesi. Il suo racconto di quei fatti consente di chiarire alcuni dettagli su episodi citati in diversi libri (come le memorie di “Rosa” e di “Nino” e la ricerca di G.F. Gubiani). Molto dettagliato, in particolare, è il racconto delle circostanze in cui morì il partigiano “Tito”.
 
Zaina racconta:

L'8 settembre 1944, quasi tutto il Btg.Prealpi, al comando di Bruno, aggira il
Chiampon attraverso un sentiero stretto, di cui un tratto lungo uno strapiombo
sopra Gemona, alle cinque del mattino per tendere un'imboscata alla compagnia
repubblichina, che sappiamo in ricognizione alla "Sella del Cristo" tra il
Quarnan e il Chiampon. In fila indiana stiamo scendendo verso la Sella con in
testa un ragazzone di Vedronza alto quasi due metri (Era un garibaldino, che di
ritorno da una licenza rientrava al suo battaglione, comandato da Furore sulla
Destra Tagliamento, e avendo pernottato al Prealpi, aveva voluto partecipare
all'azione). Io lo seguivo da vicino con in spalla il castello della mitragliatrice
e ricoperto dal mio telo tenda (piovigginava e procedevamo avvolti da banchi
di nebbia). Improvvisamente risuonò una scarica di mitra. Il ragazzo di Vedronza,
colpito in fronte, cade davanti a me; mi getto subito a terra sparando a
casaccio col mitra; sparano anche tutti i miei compagni. Quando li raggiungo,
strisciando, mi accorgo che il mio telo è foracchiato: due proiettili mi hanno
strisciato un polpaccio e l'avambraccio destro. I miei sono convinti che sono
stato ferito, perché vedono sangue uscire dalla mia bocca; li rassicuro spiegando
che, gettandomi a terra ho battuto col mento, rimasto pure escoriato sopra
una pietra, ma per il resto sono indenne. I repubblichini si sono ritirati, sempre
sparando contro di noi che restiamo illesi. Ritorniamo verso il caduto e lo troviamo
privo del mitra, degli scarponi e la testa crivellata; gli sfilo il fazzoletto
rosso (lo conservo ancora) e avvolgiamo la salma nel mio telo-tenda. Ritornati
alla nostra baita avvertiamo la base di Gemona. Verranno le ragazze della filanda
a recuperare il corpo e quando queste giungono in città, vengono fermate
dai fascisti che gettano il caduto in un letamaio: verrà recuperato dopo la liberazione
ed onorato con un solenne funerale.
L'indomani Bruno, per dimostrare che gli uomini del Prealpi non erano stati
intimiditi, ordina un'azione sulla Pontebbana. In quattro uomini, io, Ernesto,
Tarcisio di Gemona e Avon di Venzone, esperto della zona, con una mitragliatrice,
tre canne di ricambio, trenta bombe "sipe" e scorte viveri per un giorno
(polenta, acqua e formaggio) partiamo da Ledis alle 16 del 9 settembre. A
mezzanotte in punto passiamo la vetta del Plauris e dopo una rapida salita in
rettilineo ci riposiamo al riparo del vento gelido per una mezz'ora. Riprendiamo
il cammino in discesa e, verso le cinque, sostiamo presso una baita dove
troviamo ricotta salata che accresce la nostra sete. Alle 15 del 10 settembre
giungiamo sulla Pontebbana quasi di fronte a Moggio, in località Rio Barbaro.
La roccia scende perpendicolare sulla ferrovia, dove bivaccano un gruppo di
tedeschi a torso nudo che vediamo portare i loro cavalli ad abbeverarsi nel torrente
Fella che scorre a fianco della strada.
Rifocillati e riposati mettiamo in opera il nostro piano d'azione: sopra due
grossi tronchi che troviamo nel bosco fitto, innalziamo una muraglia di grosse
pietre sull'orlo del precipizio, lunga due metri e alta uno e attendiamo finché
col binocolo vediamo giungere da Chiusaforte treno militare tedesco; quando
questo, giunge a pochi metri, scaraventiamo sui binari la muraglia di pietre insieme
a grappoli di bombe "sipe" e con la Breda cerchiamo di colpire il carro
officina posto tra la strada e la ferrovia. Immediatamente entrano in funzione,
dal basso, i mortai che colpiscono la zona in cui ci troviamo. Ci ritiriamo tra
gli scoppi delle granate che ci inseguono per ore. A mezzanotte siamo di nuovo
sulla vetta del P1auris. Qui, sfiniti, ci lasciamo scivolare sul pendio ripido
per alcune centinaia di metri, dopo che ci concediamo una breve sosta. Avon
decide di lasciarci per andare a salutare la famiglia a Venzone e noi tre proseguiamo,
giungendo in Ledis nel pomeriggio e prima del riposo stendo una breve
relazione per Bruno.
Prometto qui che io ed Ernesto ci eravamo assuefatti alle marce in Ledis: per
rifornirci di farina di frumento e granoturco, gli uomini del Btg. con l'ausilio di
un mulo ed una marcia di quattro o cinque ore, raggiungevamo i Musi, dove si
trovavano nel bunker le nostre scorte viveri e ritornavamo con un carico di 40
Kg ciascuno, dopo che avevamo diritto ad un giorno di riposo. Nei giorni
normali, il compito più duro era il servizio di sentinella notturno, poiché tutta
la zona era sorvegliata da gruppi che si davano il cambio ogni tre ore e il punto
più lontano era quello disposto verso i Rivoli Bianchi, tra Gemona e Venzone,
dove di giorno disturbavamo con la mitragliatrice i lavori di ripristino della
ferrovia, bombardata ogni giorno dagli aerei alleati. Mettevamo fuori uso il
compressore e prima dell'azione avvertivamo gli operai affinché si mettessero
in salvo dopo la prima bordata innocua. Nelle ore di ozio si istruivano i giovani
all'uso delle armi e degli esplosivi. In Ledis strinsi una fraterna amicizia col
gemonese Celetto: era laureato in filosofia e morirà, stroncate entrambe le
gambe da una bomba, nel grande rastrellamento di fine settembre. (…)

(dal sito www.bassafriulana.org )

Pubblicato il  

• 22/10/2008 

sul Blog "Guerra nel Gemonese"

venerdì 15 aprile 2011

Per una bibliografia sulle vicende della guerra nel Gemonese

Riproponiamo alcuni post pubblicati tra maggio e agosto 2008 sul sito http://blog.ialweb.it/gemonese45 (prima che essi non siano più  visualizzabili) per fornire delle schede bibliografiche  relative a libri che si sono occupate delle vicende della guerra nel territorio del Gemonese. Le indicazioni bibliografiche conservano un discreto valore indicando le caratteristiche di testi utili alla ricostruzione delle vicende.


LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /9/ “Pagine di vita vissuta”

Andrea Mattiussi, “Pagine di vita vissuta. Diario della vita partigiana del patriota «Rosa»”,  edizione f.c. a cura di Donatella Mattiussi, pp 48


Donatella Mattiussi ha dato alle stampe un libricino col diario della vita partigiana del padre Andrea  (+ 1990).  Il diario racconta un’esperienza personale, ma anche consente di fare il quadro di tanti fatti delle vicende gemonesi; può essere ora letto, in parallelo, con il diario di Ezio Bruno Londero,  con cui si integra efficacemente.
Dall’introduzione del prof. Dino Barattin, le caratteristiche dell’opera:
Le Pagine di vita vissuta di Andrea Antonio Mattiussi sono il diario di un giovane partigiano, appartenente alle formazioni dell'Osoppo, in cui sono riportati i fatti più salienti, le impressioni personali maturate tra l'estate del '44 e la primavera del '45 durante i mesi della guerra di liberazione.
"Rosa", questo il nome di battaglia di Mattiussi, sicuramente non avrebbe immaginato che quelle sue frammentarie annotazioni potesse­ro un giorno diventare un libro, ma se furono redatte è perché il giova­ne patriota, allora diciannovenne, era consapevole di vivere un momento drammatico e allo stesso tempo esaltante della propria vita e di quello dell'intero paese.
Pur nella loro essenzialità e semplicità ci possono dire molte cose su quel difficile periodo: la loro autenticità sta nell'essere state scritte a caldo, contemporaneamente allo svolgersi dei fatti, e non una rielabo­razione fatta a posteriori.
Il testo qui pubblicato oltre ad avere per i familiari un valore affettivo, può essere letto quindi come un documento storico di un certo interesse per comprendere lo spirito e  gli ideali che spinsero molti giovani cat­tolici friulani ad aderire al movimento resistenziale: « II destino chiama me ed altri giovani di Azione Cattolica - scrive Mattiussi il 6 agosto 1 944 - a dimostrare che non siamo estranei ai problemi che stanno affliggendo il nostro paese, ma che saremo dei buoni combattenti». Le Pagine, come si è detto, sono caratterizzate dalla semplicità e dalla immediatezza, ma proprio perché descrivono i momenti della vita quo­tidiana raccontano una Resistenza priva di retorica, in cui i sacrifici, le paure, le difficoltà nell'approvvigionamento alimentare, gli estenuanti turni di guardia, le azioni fanno parte di una grande vicenda collettiva che gli storici, privilegiando gli aspetti politici e militari, non hanno ancora compiutamente analizzato.
II valore documentario dello scritto acquista maggiore consistenza nel confronto con altre memorie dell'epoca, offrendo l'opportunità di cono­scere, per quanti non hanno vissuto quegli avvenimenti, la storia di una generazione che ha sofferto più di tutte l'esperienza bellica, ma che è stata protagonista del riscatto nazionale e della ricostruzione fisica e morale dell'Italia intera. Gli elementi portanti su cui si  è fondata la partecipazione di molti giovani cattolici alla lotta al nazi-fascismo sono il senso del dovere verso la Patria  e l'attaccamento ai valori della Chiesa e, nelle annotazioni diaristiche di Mattiussi, tali valori sono costantemente richiamati. L'attaccamento di Mattiussi all'Azione Cattolica è significativo di come il fascismo non fosse riuscito a conquistare completamente le genera­zioni cresciute ed educate sotto l'egida del totalitarismo: un attento stu­dio sulle convinzioni morali degli uomini della Resistenza non può pre­scindere da documenti come questo.
La prima parte del diario riguarda le modalità dell'arruolamento nelle file delle formazioni cattoliche, in cui svolsero un ruolo determinante alcuni sacerdoti operanti nel gemonese, le prime azioni di sabotaggio, gli scontri con il nemico durante i rastrellamenti e si conclude con l'av­vicinarsi dell'inverno del '44. La seconda descrive alcuni episodi del febbraio del '45, a cui seguono i drammatici ultimi mesi d'occupazio­ne tedesca e cosacco conclusasi il 28 aprile con la liberazione di Gemono per opera dei partigiani e con l'arrivo il 2 maggio degli alleati. I primi giorni del dopoguerra sono quelli dell'euforia ma anche della presa di coscienza delle enormi distruzioni che il conflitto aveva causato.
E' una lettura che non si esaurisce in se stessa, ma può stimolare i gio­vani allo studio e all'approfondimento di quegli avvenimenti che stan­no ancora alla base della nostra democrazia”.
Il libretto è arricchito anche dalla presenza, in appendice, del Diario Storico del Btg. Prealpi, dello Statuto e dell’elenco delle principali azioni eseguite dalla formazione partigiana.

• 1/8/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /8/ “ I cosacs in Friûl”

Pieri Piçul (Pietro Londero), “ I cosacs in Friûl”,  Comun di Glemone, 1999, pp 98


Nel 1999 il Comune di Gemona ha opportunamente pubblicato in volume una serie di articoli che Pieri Piçul (mons. Pietro Londero, 1913-1986) aveva presentato sul periodico “Int Furlane”  tra il 1969 ed il 1971, arricchendoli di materiale documentario e fotografico relativo all’esperienza dei cosacchi in Friuli.
Il testo è espressamente definito dall’autore “ricuarz personai”, non ha quindi la pretesa di offrire un quadro storico completo e definitivo. I ricordi di Pieri Piçul fanno comunque luce su tanti aspetti della storia del Gemonese fra il 1944 ed il 1945, alternandosi la spicciola rievocazione dell’esperienza personale con pagine di più ampio respiro, dove vengono descritte situazioni e contesti anche con dovizia di particolari, sulla luce di informazioni assunte anche da altri testimoni diretti nell’immediato dopoguerra. Molto preziose risultano quindi, per quanti si occupano di questi periodi, le pagine  relative all’arrivo dei cosacchi, al conseguente insediamento, all’attività dell’organizzazione Todt, ai giorni duri della ritirata. Il testo, come tutto il friulano di Pieri Piçul, è assai ricercato ed espressivo.
Il libro, la cui edizione è stata coordinata da Toni Costantini, si avvale anche di un interessante corredo iconografico (con immagini di Alfredo Cargnelutti, Eleonora Nonini, Luciano Boezio, Ercole Casolo, Grazia Renier, Giovanni Serravalli e Carlo Venturini). 

• 5/7/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE / 7 / "Novocerkassk e dintorni "


Pieri Stefanutti, Novocerkassk e dintorni. L'occupazione cosacca della Valle del Lago (ottobre 1944 - aprile 1945), Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, 1995, pp. 222


"Questo splendido libro di Pieri Stefanutti è stato pubblicato nel 1995 ma conserva tuttora la novità e il fascino di una storia incredibile e quasi da tutti ancora ignorata: quella della occupazione cosacco-caucasica della Carnia nel 1944-45. Ritengo che questo lavoro rappresenti l’opera locale più documentata e completa sull’argomento, anche se la ricerca effettuata è limitata ai soli tre Comuni di Cavazzo, Trasaghis e Bordano.
Il libro parte da una premessa di ordine storico che inquadra esattamente il periodo che si va a raccontare, delineando il contesto locale e regionale di riferimento; si affronta poi il problema cosacco, con i suoi risvolti (rapporti col nazismo tedesco e con il comunismo sovietico) che peseranno e condizioneranno l’esito finale di questa operazione e di questo Popolo.
Vengono poi tratteggiate l’opera e le azioni dei partigiani, contro i quali era stata appunto predisposta dal feldmaresciallo Kesserling in persona l’ operazione "Waldlaüfer", vera e propria offensiva nazista-cosacca contro le brigate partigiane. Lo scontro tra partigiani e cosacchi è immediato ma le forze che si fronteggiano sono impari: i partigiani sono costretti alla ritirata ed alla diaspora sui monti, per tutta la durata dell’autunno e dell’invero, mentre i paesi di Carnia vengono occupati manu militari dalle truppe cosacco-caucasiche e georgiane, spalleggiate dalla truppe tedesche e dalle residue milizie fasciste locali.
Il racconto si snoda poi attraverso la descrizione della quotidianità che si vive fianco a fianco con le truppe occupanti; perfino i nomi dei paesi vengono russificati: Cavazzo Carnico verrà ribattezzato Jekaterinodar, Alesso diventa Novocerkassk mentre Trasaghis si tramuta in Novorossisk.
Queste però sono solo mutazioni superficiali ed epidermiche perché i carnici conservano inalterati le proprie tradizioni, i propri atteggiamenti, il proprio carattere anche se costretti a dividere TUTTO con i nuovi venuti: dalla casa alla stalla, dai campi ai prati ai pascoli, dagli animali alle derrate alimentari…
Le caratteristiche della occupazione cosacca, il ruolo della Resistenza, il dramma delle popolazioni inermi, la tragedia finale costituiscono le tematiche dominanti dell’opera, che va a collocarsi accanto ad altre opere in tema, che anche nella nostra Biblioteca sono ormai presenti in numero rilevante.
L’iconografia merita una segnalazione speciale: foto inedite rendono maggiormente pregevole questo lavoro preciso, approfondito, esauriente…
Lo stile dell’autore è asciutto, quasi cronachistico, non concedendo quasi nulla alla retorica o alla agiografia, ma limitandosi ad enumerare fatti e circostanze, inserendo brani riferiti da fonti originali, con sobrietà e precisione.
L’elenco delle fonti e della bibliografia offre infine spunti significativi per coloro che intendono accostarsi a questo argomento, che negli ultimi anni ha visto una fioritura senza precedenti di lavori e di fruttuosa ricerca.


• 19/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /6/ “Gemona liberata”

Gianfrancesco Gubiani, “Gemona liberata”, Link, 2004, pp 164

                                    

Gemona liberata, il libro di Gianfrancesco "Gianni" Gubiani, pubblicato
dalle "Edizioni Link", come primo volume della collana "Gotis di Storie", rappresenta un segnale assai positivo delpercorso di ricostruzione delle vicende storiche del territorio gemonese. Sono pagine preziose, quelle di Gubiani, poiché è costante l'intento, quasi didascalico, di affiancare la ricostruzione dei fatti gemonesi con quelli di più vasto respiro, su scala regionale e nazionale.
L'aspetto più importante, probabilmente, è che si tratta del lavoro di un gemonese che ha saputo coinvolgere, trascinare, raccogliere la testimonianza di tanti suoi concittadini i quali, per la prima volta, hanno accettato di rievocare quei fatti lontani. "Non è più cronaca e non è ancora storia" sembra sottolineare opportunamente nell'introduzione il prof. Casolo, a proposito delle indagini sul periodo della guerra. Eppure il mix adottato da Gianni è efficace: predispone un quadro generale di riferimento, si appoggia sulla documentazione scritta, compie un'integrazione basata sulle fonti orali. Così emergono parecchi elementi chiarificatori che aiutano a far luce su diversi episodi. I più ignificativi, forse, rappresentano proprio le pagine sulla Liberazione, che Gianni affronta con taglio quasi investigativo (...) e  la strage di Taboga del 29 aprile 1945, sulla cui indagine Gianni confessa le motivazioni personali e ideali che lo hanno portato a cercare di definirne il contesto e che nelle pagine del libro vengono descritte analiticamente.
E' per questo che bisogna plaudire a questo lavoro e auspicare che venga ripreso e ulteriormente approfondito.
Non sembri strano un discorso del genere di fronte a un libro di 164 pagine: adesso che Gemona dispone di unquadro organico di riferimento, all'interno di esso sarà possibile operare per definire con maggiore compiutezza i tanti altri episodi, pur rilevanti, che nel libro vengono riportati sinteticamente.

(dalla presentazione di Pieri Stefanutti pubblicata su “Pense e Maravee”)

• 13/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /5/ Ledis e i “Fazzoletti verdi”

Giorgio Zardi, Ledis e i “Fazzoletti verdi”, F.I.V.L. - A.P.O, 1988, pp 16

«Tra il Monte Cjampon e la Venzonassa, dove la Valle del rio di Lon s'immette in quella di Moèda, oltre cinquant 'anni fa, i partigiani "osovani" e la popo­lazione di Gemona hanno eretto una chiesetta votiva in memoria dei trentun caduti per la libertà della zona, dei quali sedici, com­preso monsignor Faustino Lucardi, appartenevano al batta­glione "Prealpi " che in quel luo­go fu costituito ed ebbe sede per­manente. Primi a salire lassù in clandestinità, nell'agosto 1944, nove patrioti superstiti dal gran­de rastrellamento tedesco di Pielungo. L'unità andò via via cre­scendo sino a raggiungere un organico di circa centoventì combattenti. Fu inquadrata nel­la 1° "Brigata "Osoppo", guida­ta dal capitano Francesco de Gregorì, lo sfortunato coman­dante "Bolla ' assassinato nelle malghe di Porzus. Nella vicina malga "Confin" trovò anche ospitalità e collaborazione una delle sei missioni inglesi paraca­dutate in Friuli: quella del mag­giore Vincent Hedley (Turker), sostituito nel novembre 1944 dallo scozzese Mac Pherson che, assieme all'allora tenente Godfrey Goddard (Taylor), al marconista H. Hargreves (Turner) e al sergente Nicolas Brent (Nicolas), operò in quel settore sino alla fine della guerra.
Fu appunto nel freddissimo inverno 1944-45 che Pietro Londero (Sardo), comandante di quel nucleo osavano, impegnò chi fosse sopravvissuto agli eventi bellici, al ricordo della memoria dei compagni caduti, nella costruzione di una chiesa nella valle di Moèda che tutti chiamano di "Ledis "per la vici­nanza del Monte e della forcella omonimi. La sorte ha voluto che fosse lo stesso Londero ad assol­vere quel compito. Il manufatto, inaugurato il 29 settembre 1946, fu distrutto dal terremoto del 1976 assieme all'attiguo ri­fugio edificato appena quattro anni avanti. Ambedue i fabbrica­ti sono stati riattati e, dal 1986, resi agibili. Tali eventi non han­no tuttavia impedito l'annuale celebrazione di cerimonie di ri­cordanza che negli anni hanno assunto il valore di rito e tradi­zione unitamente a significato escursionistico per la caratteri­stica bellezza della valle, ieri co­me oggi, ricca di faggete e di un interessante sottobosco».

Il testo (preso da un articolo a firma G.A. apparso sul “Messaggero Veneto” il 27 agosto 1999, può essere utile a sintetizzare bene il  volumetto Ledis e i “Fazzoletti verdi” uscito a firma di Giorgio Zardi nel 1988 a cura della F.I.V.L. e dell’A.P.O., dove vengono proprio ricostruite le vicende storiche e le motivazioni che portarono alla costruzione della chiesetta di Ledis in memoria degli osovani caduti.

• 4/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /4/ La gente del forte e i cosacchi

Nicoletta Paternò,  La gente del forte e i cosacchi — Storia di un Co­mune friulano 1944-1945,  Magma ed., Udine 1994, 224 pp

Gli anni duri della guerra —1944-1945 — in Friuli non sono stati uguali per tutti: i bombardamenti hanno colpito le popolazioni delle aree d'importanza strategica o mi­litare, mentre le rappresaglie dei tedeschi hanno infierito sugli abitanti delle zone teatro di attentati e sabotaggi. Osoppo, paese ricco di storia — dalle imprese dei Savorgnan sotto la Serenissima alle gior­nate del 1848 contro gli au­striaci —, è stato uno dei più martoriati. Ha subito l'occu­pazione casacca, uno spezzonamento che ha causato 58 vittime civili, lo scoppio della polveriera, rastrellamenti e deportazioni e, infine, la com­pleta distruzione del forte.
Questo calvario è raccon­tato da Nicoletta Paternò, osoppana d'adozione, in un libro (La gente del forte e i cosacchi — Storia di un Co­mune friulano 1944-1945), che è stato presentato nella sala consiliare. (…) Il volume è il risultato di una lunga e minuziosa ricerca che la giovane studiosa ha fatto tra gli archivi per ricostruire vi­cende che, a cinquant'anni di distanza, appaiono sbiadite. Nicoletta Paterno ha rintrac­ciato e confrontato documenti, ha parlato con i superstiti, riuscendo a precisare date, cifre, situazioni (ma non sem­pre: curioso è l'esempio dell'assalto alla polveriera del 16 luglio 1944, del quale esistono più versioni che differiscono in molti particolari, anche non secondari).
(…) Dal­l'avvincente rievocazione so­no emersi episodi, considera­zioni, valutazioni che hanno coinvolto anche il pubblico. La convivenza tra la "gente del forte " e i cosacchi, arrivati a centinaia il 25 agosto '44, con donne e bambini, carri e ca­valli, fu abbastanza pacifica e senza gravi contrasti. «Come spesso accade durante le guerre — scrive Nicoletta Pa­ternò —, anche in mezzo alle più grosse crudeltà e difficol­tà, c'è spazio per i rapporti umani e la reciproca com­prensione». Così accadde negli otto mesi dell'occupazione e, alla fine, 20-25 degli "armati civili russi" — come li aveva definiti il commissario prefet­tizio De Simon — rimasero a Osoppo, nascosti e aiutati dalla popolazione.
L'opera della Paternò è stata molto apprezzata anche per la ricerca dell'obiettività, per l'esposizione pacata, i giudizi super partes. Va preci­sato che l'autrice, tra le tan­tissime fonti (archivi storici, Anpi, Apo, biblioteche, car­teggi del Tribunale di Udine), ha consultato anche l'Istituto storico della Rsi. Ottima col­laborazione ha trovato all'Ar­chivio di Stato di Udine, da parte della direttrice Ivonne Pastore, che le ha messo a di­sposizione tutta la documenta­zione, purtroppo non abbon­dante. Come ha precisato la stessa dottoressa Pastore, ne­gli archivi è più facile trovare materiale del medioevo che del Novecento; molto è andato perduto proprio a causa delle guerre, ma talvolta anche per l'imprevidenza e l'incuria di enti e istituti.

(dalla recensione di M.B. sul “Messaggero Veneto” del 7 marzo 1995)


• 2/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /3/ Memorie di un esodo

P. Stefanutti, S. Di Giusto, D. Tomat,  Memorie di un esodo.  I giorni dello sfollamento dell’ottobre 1944 e dell’occupazione cosacca nel Comune di Trasaghis,  Comune di Trasaghis, 2003, 102 pp
 
Presentazione dell’allora Presidente del Consiglio Regionale, Alessandro Tesini

Sfogliando quella ricerca, assieme alle immagini di una popolazione
attonita davanti alle truppe occupanti, a cavalieri dalle strane divise che
attraversano le familiari contrade delle vostre borgate, ai cavalli che si abbeverano
alle note fontane, alle immagini tristi di un esodo di donne e uomini scacciati
dalle loro abitazioni , immagini così particolari ed insieme comuni a tanti destini
anche di un passato recente, uno scabro ma efficace testo ci ricorda le tappe di
quelle vicende e ci richiama alle responsabilità storiche delle forze che le hanno
determinate.
Il “Litorale Adriatico (Adriatisches Kusterland) con il quale la Germania
nazista incorporò anche queste terre direttamente nell’amministrazione del Raich;
i pieni poteri assunti sin dal 1943 dell’Alto Commissario Rainer; la totale
sottomissione delle forze collaboratrici al comando germanico, ivi comprese le
milizie di quella Repubblica di Salò che, avendo supinamente accettato la
sovranità tedesca , non potevano definirsi, come in altra parte del Paese, Guardia
Nazionale Repubblicana, ma, più semplicemente e vigliaccamente, Milizia per la
Difesa Territoriale di un territorio che non era più Italia.
E ancora: la solenne promessa fatta dai nazisti “…ai cosacchi del Don, del
Kublan, del Terek e degli altri eserciti…” con un proclama il 10 novembre 1943 di
affidare, quale compenso per i servigi resi sul campo di battaglia, qualora il loro
ritorno nella terra dei padri fosse stato reso impossibile, un’altra terra e tutto ciò
che potava loro consentire una vita autonoma, avendo successivamente
individuato il Friuli come il luogo dove “far risorgere la vita cosacca”.
L’arrivo delle prime tradotte cosacche e il loro ammassamento tra Osoppo
ed Amaro preludeva alla grande offensiva contro le Zone Libere del Friuli e della
Carnia, vere e proprie spine nel fianco, sia dal punto di vista militare che
politico, per gli eserciti di occupazione. I successi della lotta partigiana non
potevano più essere tollerati né poteva essere consentita alcuna forma di
solidarietà tra la popolazione e le forze della Resistenza.
L’occupazione del territorio da parte delle truppe cosacche aveva, secondo
l’alto comando nazista, un doppio valore strategico: la difesa delle principali vie di
comunicazione e , con l’espulsione di parte consistente dei residenti della zona e
l’impossibilità, per quanti rimasti, di qualsiasi forma di collaborazione con le forze
partigiane, il pieno controllo della regione.
E così nelle prime giornate di ottobre del 1944 truppe tedesche e
collaborazionisti italiani ( a cui il parroco di Avasinis ricorderà come “avrebbero
dovuto, un domani, risponderne alla storia” ) con, al seguito, i cosacchi con i loro
carriaggi e cavalli, occupano progressivamente gli abitati di Braulins, Trasaghis,
Avasinis, Peonis, Alesso.
I residenti costretti ad abbandonare le loro case si rifugiano in parte negli
stavoli della montagna sovrastante o, nella maggioranza attraversano il
Tagliamento reso impetuoso dalle piogge autunnali per cercare ospitalità nei
comuni vicini quali Osoppo, Gemona, San Daniele giù sino alla Bassa Friulana.
Le fotografie rintracciate nel Museo di Storia Moderna di Lubiana e
pubblicate nel libro che rievoca l’esodo della popolazione di Trasaghis e
l’occupazione cosacca del comune, pur essendo tecnicamente assai più povere se
confrontate agli attuali mezzi di rappresentazione , ci comunicano un’emozione
intensa
Dietro i carri, i cavalli, le divise, i volti degli abitanti, donne e uomini che
conoscete o avete conosciuto, cui siete in grado di dare un nome, capaci di
suscitare un ricordo, dentro l’immobilità di quelle scene fissate in un tempo
tanto diverso dal nostro, avvertiamo la straordinarietà dell’evento, la sua
drammaticità e, nel contempo, la fragilità dei suoi protagonisti, vittime o carnefici
fossero, travolti, come oggi sappiamo, da una vicenda immensamente più grande
di loro.
Per il testo completo dell’intervento, vedi:

• 1/6/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /2/ Memorie di “Nino”

Ezio Bruno Londero, Memorie di “Nino”, partigiano della “Osoppo”, edito nel 62° anniversario della Liberazione di Gemona, pp. 48, a cura di Pietro Bellina, con DVD allegato a cura di Giacinto Jussa, Gemona 28 aprile 2007
                                      
Il lavoro si caratterizza innanzitutto per la formula, abbastanza nuova: un documento cartaceo abbinato a un video. Si tratta di due strumenti a volte ritenuti contrapposti che qui hanno la possibilità di integrarsi pienamente, anche grazie al paziente lavoro di Giacinto Jussa che ha trasformato la ripresa di un'intervista in un video elegante e organico.
Anche la parte cartacea ha avuto una sua evoluzione: nata come una sorta di promemoria delle azioni partigiane e, in generale, dell'attività e della vita quotidiana delle formazioni partigiane gemonesi dell'Osoppo, in particolare del Btg. Prealpi,  ha subito un primo approfondimento da parte di E.B. Londero  stesso, con l'approfondimento narrativo e documentario di alcuni episodi maggiormente significativi . Pietro Bellina e Lorenzo Londero lo hanno poi convinto ad aggiungere alcune note sulla sua esperienza di vita di giovanissimo emigrante e ha operato alcune  integrazioni al  racconto per puntualizzare lo svolgersi di determinati avvenimenti anche ricorrendo ad altre fonti.
Così, dopo aver  conosciuto importanti dettagli sulla esperienza personale dell’autore, nel quadro dell’emigrazione gemonese degli anni '20, con un brusco salto, si passa al rimpatrio, inatteso, per prestare servizio militare in Italia,  e quindi ai concitati momenti seguiti all' 8 settembre 1943, con la cronaca del rientro a Gemona da Tarcento attraverso Maniaglia, con rapidi ma efficaci tratti nella descrizione del disfacimento dell'esercito.
Poi, sempre con uno stile sobrio e asciutto, viene dato conto della nascita della Resistenza, dei primi contatti con don Pancheri degli Stimmatini, della costituzione del Btg. Edelweiss, che sarà il precursore del Btg. Friuli.  In rapida successione, il racconto di Londero ripercorre la vita quotidiana delle formazioni partigiane, la partecipazione alla battaglia per la difesa della Zona Libera Orientale, il periodo dell'inverno trascorso sui monti tra Gemona e Venzone assieme alla Missione alleata e, infine, i giorni della Liberazione. (…)
Siamo dunque di fronte innanzitutto a una testimonianza di vita: scelte di impegno che, a distanza di tanti anni, vanno ancor di più apprezzate. Poi, per i ricercatori di storia, vi è la soddisfazione per un contributo documentario notevole che viene ad arricchire la stagione di studi che si sta faticosamente cercando di comporre. Si può in sostanza giungere ora a un complesso incrocio, confronto e sintesi su fonti diversificate, sia orali sia d'archivio, capaci di far giungere alla completa definizione dei fatti che hanno interessato il territorio in quei difficili anni.

(dalla recensione di Pieri Stefanutti pubblicata su “Pense e Maravee” n. 61, maggio 2007)


• 24/5/2008 - LIBRI SULLA GUERRA NEL GEMONESE /1/ Ali sull’Alto Friuli

                                          
Ali sull’Alto Friuli: nuovi dati per capire i bombardamenti  dell’ultima guerra sul Gemonese
Un nuovo tassello si aggiunge alla ricostruzione storica delle vicende del Gemonese nel corso delle guerre del ‘Novecento.
E’ stato infatti presentato il 23 maggio, a Gemona, nella sede della Comunità Montana, il libro di Michele D’Aronco Ali sull’alto Friuli: i bombardamenti aerei Alleati (edizioni Aviani&Aviani). Si tratta di un testo di 264 pagine corredato da decine di foto inedite in bianco e nero e a colori, che raccontano in particolare la storia dei bombardamenti anglo-americani in Alto Friuli e l’evoluzione dell’aeroporto di Osoppo nel secolo scorso. Il libro è frutto di un lavoro durato diversi anni,  arricchito dalle ricerche effettuate da D’Aronco negli archivi Usaf, che gli hanno consentito di pubblicare materiale e aneddoti sconosciuti.
Il percorso storico del testo inizia dalla Prima Guerra mondiale con l’aeroporto di Cavazzo Carnico per descrivere poi l’utilizzo della pista di Osoppo prima da parte della Regia aeronautica, poi della Luftwaffe e quindi dell’Aviazione nazionale repubblicana. La situazione complessa fece diventare l’aeroporto di Osoppo un obiettivo strategico, quindi un bersaglio privilegiato dei bombardieri anglo-americani. D’Aronco riporta anche le varie incursioni alleate, avviate con l’obiettivo di danneggiare le piste di atterraggio e i ponti sull’alto Tagliamento, facendo riferimento inoltre al passaggio dei Cosacchi, al deposito di munizioni di Spilimbergo, al forte di Osoppo e alla linea ferrovia Pontebbana, con la difficoltà da parte degli aerei americani nel colpire il ponte di Dogna.
Di particolare interesse, per il Gemonese,  le pagine dedicate alle vicende dell’aereoporto di Osoppo, dei bombardamenti su Gemona e sulla Pontebbana (soprattutto marzo e aprile 1945), il bombardamento su Alesso del 26 aprile 1945 di cui, per la prima volta, vengono chiarite le circostanze ispiratrici (la richiesta partita dalla missione americana dell’OSS “Battle” operante in zona).
Il libro di D’Aronco dimostra, una volta di più, l’importanza di un lavoro di ricerca allargato, aperto ai contributi più diversificati e rappresenta una tappa assolutamente rilevante di questo percorso.

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